Recensione a The History Boys – testo di Alan Bennett, regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
È accostabile a quello che potrebbe essere uno spettacolo cinematografico The History Boys, andato in scena come ultimo appuntamento della stagione al Teatro Sperimentale di Ancona. La regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani è una grandiosa macchina programmata e pensata alla perfezione, con cambi di scena e attori tutti sempre a vista: si canta, si recita e si riflette sul testo scritto da Alan Bennett, vincitore di numerosi premi tra cui anche il prestigioso Tony Awards for Best Play nel 2006.
Ambientato a Sheffield negli anni ’80, il testo ricorda per alcuni aspetti The dead poet society – meglio conosciuto in Italia come L’attimo fuggente – dato che i protagonisti sono un gruppo di giovani ragazzi, il preside e i tre professori Hector, Irwin e Mrs Lintott; questi ultimi tre possiedono un proprio e specifico metodo di insegnamento, volto alla crescita e alla maturazione dei giovani, non solo professionalmente, ma soprattutto umanamente. In attesa di entrare nei prestigiosi college di Oxford e Cambridge, la classe, tutta rigorosamente al maschile, sperimenta i diversi approcci alla materia storica, alla grammatica, alla letteratura e all’economia, citando versi poetici, musiche e film. Il magnifico Elio De Capitani – che veste i panni dell’eccentrico professore di inglese Hector – accompagna i propri studenti all’interno delle vaste arti culturali, tra gare fatte di citazioni, impersonificazioni in protagonisti di romanzi o sceneggiature; il tutto in un’ilarità, un entusiasmo e un amore incondizionato dei ragazzi nei suoi confronti e per le discipline che si trasformano in esperienza di vita. Il suo è un tentativo non nozionistico, ma spassionata volontà di emozionare, dare libertà e capacità di giudizio di fronte all’ostacolo più difficile che non è dato dagli esami di ammissione ma da tutti gli episodi che compongono la stessa vita. Ed ecco che il cast di giovani e bravissimi attori – di recente insigniti del premio Ubu come migliori attori under 30 – si destreggia fantasticamente in un’atmosfera di grande coesione e giocosità, dando anche prova delle proprie doti canore e coreografiche, modificando una scena che ben si adatta a una classe, a una palestra e a un ufficio di presidenza.
Un metodo di insegnamento, quello di Hector, molto particolare a cui si affianca l’altro, non meno ortodosso, del giovane professor Irwin, un pacato Marco Cacciola, che spinge i ragazzi a utilizzare le nozioni letterarie apprese fino a quel momento quasi come “citazioni da cioccolatino”, per mostrare la propria cultura e accostarle a materie che si occupano di tutt’altro. Tra Irwin e Hector c’è un iniziale scontro che si risolve in una collaborazione dettata dal bisogno di approcciare la realtà e le questioni «entrando dal lato e non dalla porta principale», mettendo tutto in discussione, trovando nuove strade di analisi della storia.
In questo testo pluripremiato e ben diretto turba però l’insistenza delle molestie, seppur leggere, di Hector nei confronti dei ragazzi: mentre i giovani ci scherzano su, una volta scoperti gli episodi dal preside, il professore è costretto alla pensione anticipata; ma in fondo gli viene perdonato tutto subito, come se toccare le parti intime degli studenti fosse una leggera marachella, che inizialmente desta stupore e fastidio ma poi viene subito dimenticata. Non sembra insomma così importante da mettere in discussione il grande nutrimento che Hector ha apportato allo spirito dei ragazzi con il proprio tipo di insegnamento. Accarezzare i genitali dei giovani, mentre si guida la moto a tutta velocità, è molto diverso sì dai tanti episodi che si sentono oggi di molestie (soprattutto vengono in mente quelli in sedi religiose) e non paragonabile per la gravità, ma pone una pesante ombra sul testo: come la religione anche la letteratura nutre lo spirito, ma sembra che a quest’ultima disciplina possano essere perdonati certi fatti. Perché? Inoltre se il primo tempo dello spettacolo ha un testo tutto in ascesa, dove i ragazzi brillano per intelligenza e la scuola ritrova l’importanza perduta (ossia quel ruolo di formatore di anime e di coscienze principe della società), nella seconda parte si scivola in simulazioni di interrogazioni dove gli studenti sembrano tornare indietro e non aver appreso nulla; cosa ancor più fastidiosa è che si gira, a parte alcune lezioni-perle splendide, forse un po’ eccessivamente intorno alle marachelle sessuali. Gli insegnamenti di Irwin e la loro bellezza decadono di fronte alle insistenti attenzioni di uno studente che tenta di trascinarlo dentro una storia amorosa, troppo insistita e un po’ ripetuta, rendendo così meno interessante lo svolgimento della pièce.
Nonostante l’accelerazione e la reiterazione che subisce la storia nella seconda metà, resta il fatto che The Hystory Boys è sicuramente un grande spettacolo in cui meritano di essere citati tutti i giovani e bravissimi “scolari”: Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Angelo Di Genio, Loris Fabiani, Andrea Germani, Andrea Macchi, Alessandro Rugnone e Vincenzo Zampa, l’unica ma imponente donna in scena (Ida Marinelli) e lo stralunato preside Gabriele Calindri; dotato di una regia splendida e impeccabile, contrariamente al testo che lascia aperti e irrisolti alcuni interogativi – e ben vengano! – non di secondaria importanza.
Visto al Teatro Sperimentale, Ancona
Carlotta Tringali