Recensione a Frost/Nixon – di Teatro dell’Elfo (regia Elio De Capitani/Ferdinando Bruni)
Quattro round “senza esclusione di colpi” in uno sfavillante e minimale studio televisivo stile anni settanta tra poltroncine a rotelle – capaci di dar vita a un’automobile, un ospedale, un aereo – e una moltitudine di piccoli schermi: Frost/Nixon, nuova produzione del Teatro dell’Elfo, realizzata insieme al Teatro Stabile dell’Umbria, in scena fino al 10 novembre all’Elfo Puccini di Milano, poi in tournée, è stato celebrato dalla critica come uno dei punti più alti della compagnia, che proprio con questo lavoro festeggia i 40 anni di vita.
Un dramma incalzante e vitale, congegnato come un thriller e rifinito nei minimi dettagli nel raccontare il potere e la sua manipolazione, la politica e il suo rapporto con i massmedia. Primo caso di giornalismo-spettacolo in un’epoca in cui i processi non si facevano in televisione, scritto dal drammaturgo e sceneggiatore inglese Peter Morgan (autore di The Queen e sceneggiatore de L’ultimo re di Scozia) da cui Ron Howard ha tratto un film nel 2008, affidando il ruolo dei protagonisti agli stessi attori che l’avevano rappresentato sui palcoscenici di Londra e Broadway: Michael Scheen (Frost) e Frank Langella (Nixon).
A essere tratteggiati, con humour e ambiguità, sono gli eventi che portarono alle quattro epocali interviste che nel 1977 Richard Nixon concesse al giornalista britannico David Frost, anchorman apolitico affamato di audience, e che si conclusero con la confessione – autentica o machiavellicamente progettata, non lo sapremo mai – che tutta l’America stava attendendo sul caso Watergate: Nixon, in diretta televisiva, crollò, quasi ipnotizzato, nel buco nero che Frost e il suo staff gli aveva creato intorno, ammettendo che aveva commesso un atto illegale perché “un presidente a volte è costretto ad andare contro la legge”.
Fu naturalmente la sua fine politica e il più grande successo nella storia della televisione, con oltre quattrocento milioni di spettatori.
A portarlo a teatro in Italia per la prima volta – firmandone insieme anche la regia – sono oggi Elio De Capitani, nei panni di Nixon, “caimano americano”, divo di gomma borioso e sfrontato, ossessionato dalla riabilitazione della sua immagine politica, terribilmente noioso negli “sproloqui presidenziali”, nascondendo dietro aneddoti spiritosi sui potenti – a cui tutti ridono, spesso fuori luogo – una profonda solitudine e angoscia, e Ferdinando Bruni, ambiguo e “performer” da talk-show patinato, ex comico sicuro di sé, mondano e vanesio, interessato soltanto all’audience e a tavoli nei ristoranti vip.
In scena, accanto ai due protagonisti, ci sono Luca Torraca, Alejandro Bruni Ocana e Andrea Germani a interpretare il competente staff di Frost, e Nicola Stravalaci, severo e rude, nei panni del portavoce di Nixon, che tenta disperatamente di impedirgli di confessare sull’onda dell’emotività.
Particolamente riuscito, con una speciale funzione di narratore che gli consente di uscire continuamente dal personaggio e rivolgersi direttamente al pubblico, è il personaggio di James Reston junior, collaboratore del New York Times che contribuì in maniera determinante con le sue ricerche al buon esito dell’operazione, interpretato con convinzione dal giovane Bruni Ocana. Diventa lui nella drammaturgia di Morgan e nella scattante messinscena dell’Elfo la personificazione, essenziale e vigorosa, dell’impegno politico militante, della verità e della giustizia, seppure mediatica.
Il risultato è uno spettacolo che incalza e sconcerta per un’ora e cinquanta minuti, tra giri di denaro, sponsor e investitori, con i monitor in scena che, come ironiche e libere associazioni, restituiscono il logo della Casa Bianca, il simbolo dell’Ibm e della Mercedes, un biscotto, la cartina dell’America, il Nixon di Andy Warhol, Playboy, la dentiera del presidente e un ottimo utilizzo delle luci, firmate da Nando Frigerio.
Il paradosso – già nell’opera di Peter Morgan e poi nell’interpretazione malinconica e carismatica di Langella (vincitore di un Tony Award) – è che il Nixon teatrale, altezzoso e caparbio, possiede “una certa grandezza che forse il Nixon della realtà non aveva” . E del resto nemmeno Frost (morto lo scorso agosto), precursore della tv britannica per la sua satira politica e sottile (tra i suoi autori c’erano i futuri Monty Python), entrato poi nell’Olimpo del giornalismo, non era poi così sprovveduto come sembra nella pièce . Così De Capitani e Bruni, ben consapevoli che “a teatro i cattivi vincono sempre” caratterizzano maggiormente i due personaggi modificandone e attualizzandone il carattere sulla falsariga dei biechi potenti di casa nostra, più seducenti e caciaroni, smargiassi e sempliciotti. E la tragedia si tramuta farsa. E fa paura.
Visto all’Elfo Puccini, Milano
Maddalena Peluso