Il luogo dell’errore. Così Francesca Montanino di Off Rome definisce Parabole fra i sanpietrini, la rassegna che dall’8 febbraio anima il Forte Fanfulla, circolo Arci nel quartiere romano del Pigneto. Sì, perché ad alternarsi in scena, fino al 25 maggio, saranno giovani compagnie desiderose di trovare uno spazio d’azione e di sperimentazione, di confronto e di scambio. Non un palcoscenico prestigioso, né convenzionale, ma un’area protetta, che accolga nuove idee e attutisca eventuali, e leciti, scivoloni. Un teatro di cui “C’è bisogno”, come dice il sottotitolo di questa seconda edizione, mettendo l’accento sulla mancanza di visibilità e la difficoltà a circuitare delle realtà definite “off”. A scegliere e ospitare lavori in fase di studio, spettacoli inediti, attori e attrici provenienti da diverse regioni d’Italia, un gruppo tutto al femminile, formato da Francesca Montanino e Giulia Taglienti, fondatrici di Off Rome, Martina Parenti e Tiziana Cusmà, che nel 2012 si sono unite al progetto, e Maria Zamponi del Forte Fanfulla. Dodici gli appuntamenti in programma, sempre a cavallo del week end, e tanti gli eventi collaterali: dalle presentazioni di libri a vari workshop; da Parabole extra, focus dedicato a quattro compagnie romane, alla trasferta torinese, in una logica di scambio e collaborazione con le Officine Corsare e la rassegna Schegge. Il Tamburo di Kattrin, media partner della rassegna, si propone di seguire l’intera programmazione, di raccontare le immagini viste, le parole ascoltate, le atmosfere vissute. Dodici incursioni nel teatro off e dodici “pillole di critica”, che cresceranno come un diario, settimana per settimana, aggiornando questo post.
A inaugurare la manifestazione, venerdì 8 febbraio, 20ChiaviTeatro con Sopra il cielo di San Basilio. Narrazione e interpretazione si alternano per un racconto che si nutre di realtà, perché nato da una serie di laboratori realizzati nelle scuole della periferia romana. Un attore, Ferdinando Vaselli, un musicista, Sebastiano Forte, e un illustratore, Lorenzo Terranera, tessono una trama di parole, note e immagini, una storia di immigrazione e di integrazione, di intolleranza e di identità. Uno spettacolo che strappa sorrisi amari, che mette in gioco personaggi (forse) troppo caricaturali, ma al quale bisogna riconoscere un valore sociale.
È un viaggio nel passato quello intrapreso da Marco Gobetti con 1863 – 1992 | Di Giovanni in oltre – Storia d’Italia e di persone da Giovanni Corrao a Giovanni Falcone, in scena il 14 febbraio. Si parla di legalità, di poteri forti dello Stato, si chiama in causa il mito, la reincarnazione, ci si ispira a Platone, si legge Esiodo. Ci si interroga sull’oggi e sul domani senza dimenticarsi di ciò che è accaduto ieri. Tante le immagini che l’attore torinese tenta di evocare, imboccando in continuazione lo spettatore, tante le parole macinate, e poche – o nulle – le pause, quelle che permettono al dubbio di insinuarsi e all’attesa di crearsi.
Immerso in una vasca di alcol, circondato da pareti e pavimenti di carta, Roberto Galano è un fragile ubriacone e uno scrittore tormentato, interprete del monologo Bukowski. A Night with Hank del Teatro dei Limoni, andato in scena il 28 febbraio e il 1 marzo. Dalla bocca fluisce amaro, volgare, tagliente, il testo di D. Francesco Nikzad, che si nutre di citazioni e mostra il lato nascosto del personaggio. Il corpo è scosso da scatti d’ira, la voce vibra roca di insulti e risate, ingrossando un fiume di perversioni e debolezze. Per una pièce dalle tinte fosche, intrisa di dolore e di poesia, sostenuta dall’intensità e dall’irruenza di un attore solo, come solo è l’uomo.
Non succede nulla, come niente accade nei drammi beckettiani cui Mario Jorio, autore di Prima ero schizofrenica…ora siamo guarite, dichiaratamente si ispira. Protagonista del quarto appuntamento di Parabole, dal 7 al 9 marzo, è stata la condizione umana, quella di una vecchia (ricordiamo Rockaby) dal corpo cadente, seduta in una stanza di oggetti (un omaggio a Giorni Felici). S’alternano follia e lucidità, si confondono fantasie e ricordi, si libera, nel finale metateatrale, il giovane corpo di Sarah Pesca, a mostrare la dicotomia tra finzione e realtà. Scorre il tempo e fluisce il monologo, che però non incide, non colpisce, non penetra in profondità.
Raccontare la storia d’Italia e la vicenda di un uomo. Questo si propone di fare la compagnia torinese Il Cerchio di Gesso, che tra il 4 e il 6 aprile ha portato in scena M. Una cosa nostra, ispirato al romanzo-verità Mi chiamo Maurizio sono un bravo ragazzo e ho ucciso 80 persone, che restituisce la vita del pentito catanese Maurizio Avola. Non sembra riuscire nell’intento questo spettacolo, che resta ancorato a cliché, condisce di un’ironia stonata fatti violenti e luttuosi, non possiede quel carattere di urgenza che vorrebbe raggiungere, e non rivela l’umanità del personaggio. Poco chiaro appare il percorso, poco definita la ricerca, poco efficace la comunicazione.
Ha ritmo, musicalità, bellezza La salute degli infermi della Compagnia Barone Chieli Ferrari, al debutto nazionale dal 18 al 20 aprile. Essenziale la drammaturgia, che prendendo spunto dai racconti di Cortàzar ci svela, poco a poco, la storia di un figlio scomparso e di una madre inferma, di un dolore evitato e di una realtà negata, tra vita e morte, menzogna e verità. Misurati i gesti, asciutti i dialoghi, lunghi gli sguardi. Un castello di lettere e francobolli, per inscenare una falsa corrispondenza, un anello nuziale per alimentare il sogno, un cappotto grigio per non dimenticare. Gioco di allusioni e illusioni, di silenzi eloquenti e respiri profondi. Congegno sottile, calibrato e incisivo come la puntina di un giradischi.
Uno sgabello. Un uomo. Una trama sfaccettata, che delineando una vicenda, ne abbozza altre. Così L’aiutante di Brušek, scritto da Carlo Cenini, prima tappa del progetto In Cuniculum, ispirandosi al romanzo di Akif Pirinçci, Felidae, sembra indagare i problemi etici sulla sperimentazione animale. Ma il monologo interpretato da Stefano Detassis, andato in scena dal 9 all’11 maggio, illustra anche la parabola di una cavia umana, racconta una solitudine, rivela una perdita, descrive le proprietà di una pomata che cicatrizzando le ferite del corpo non riesce a sanare quelle dell’animo. Si tratta, però, di fragili frammenti, deboli tracce. Ripetitiva è la struttura scenica, sfilacciato, si mostra, il tessuto drammaturgico, sconnesso appare il sentiero.
È sovraccarico, di suoni e di rumori. È traboccante di bidoni e di luci stroboscopiche Senso Comune del Teatro dei Venti, in seconda serata dal 9 all’11 maggio. Spettacolo volutamente disturbante, agito in uno spazio claustrofobico, immagine di una realtà napoletana periferica e degradata, tra canzoni neomelodiche e icone religiose. Arrabbiate sono le parole, nel monologo duro, gergale, disgustato di Antonio Santangelo. Palpabile la violenza, nelle teste percosse, affogate, riverse. Percepibile l’incomunicabilità, in quella pastasciutta consumata in silenzio, con lo sguardo incollato al piatto. Vite interrate, allucinate, avvelenate. Esistenze condannate, imprigionate in un tempo che si reitera senza avanzare, saldate a un’oscurità incapace di aprirsi alla luce.
Grattugiano, tagliuzzano, imburrano, le giovani cuoche del ristorante “Besame Mucho”, studentesse fuori sede e precarie alle prese con discount in fallimento, cibo biologico, consumo equo e solidale. Affrontano con ironia Elisabetta Granara, Elisa Occhini e Sara Allevi tematiche attuali, i sistemi di alimentazione e di distribuzione, tra ossessioni vegetariane e fissazioni ecologiste, brand da boicottare e punti da accumulare. Musica, ritma, mastica parole il Gruppo di Teatro Campestre con Civediamoaldìperdì, replicato dal 16 al 18 maggio, spettacolo fresco, armonico, digeribile più degli alimenti che riempiono oggi le nostre tavole e affollano le corsie dei supermercati. Pièce culinaria, ritratto leggero di tempi e generazioni incerte, tra voci che risuonano dal passato e passi, lenti e incespicanti, verso il futuro.
Una piscina gonfiabile. Un ombrellone colorato. Sedie sdraio a comporre un semicerchio. Vacanzieri immersi nel tedio dell’estate, bagnanti annoiati dall’amore e dalla vita. Così Woody Neri riscrive Il gabbiano di Cechov, nel dis-adattamento che ha chiuso la rassegna. In scena il 24 e 25 maggio, GabbiaNo ovvero Dell’Amar per Noia pur alludendo allo spazio aperto immaginato dal drammaturgo russo, delinea un luogo chiuso, una gabbia fisica e mentale che isola i personaggi, costringendoli a un ridondante movimento circolare, precludendo loro ogni possibilità di evasione. La compagnia Vanaclù restituisce la snervante ritualità del quotidiano, tratteggia con ironia vite senza gioia, senza tuttavia descrivere con incisività la vanità, la gelosia, l’incomunicabilità, il disgusto, quel ‘morire dentro’ che è proprio dei personaggi.
Dodici spettacoli, quattro appuntamenti extra con compagnie romane, quattro date torinesi e tre serate a sorpresa, durante le quali Fabrizio Ferracane ha masticato il siciliano arcaico di OraProNobis. Ventotto repliche e settecento spettatori per la seconda edizione di Parabole fra i Sanpietrini, che ha visto alternarsi, da febbraio a maggio, riscritture cecoviane e omaggi beckettiani, drammaturgie originali e affilati monologhi. Festival di teatro indipendente privo di finanziamento alcuno, che si avvale di un piccolo organico, che opera in uno spazio non convenzionale. Palcoscenico fertile per lavori già rodati, zona di passaggio per spettacoli ancora abbozzati. Terreno di contaminazione e sperimentazione. Luogo dell’errore. Perché, più che consegnare verità, c’è bisogno – come recita il sottotitolo della manifestazione – di porsi e porre domande, sollevare dubbi, sconvolgere certezze.
Visti al Forte Fanfulla, Roma
Rossella Porcheddu