Feste infinite in piscine dorate: i mondi superficiali di Michieletto

Ha spazzato via le convenzioni teatrali, sollevando  polemiche a non finire – soprattutto tra i loggionisti della Scala di Milano – per un Ballo in maschera in chiave “politica” sullo sfondo di una campagna elettorale americana, e feroci critiche per un Falstaff ambientato nella casa di riposo per musicisti “Giuseppe Verdi” di Milano e una Bohème dark che l’ha reso celebre al festival di Salisburgo, con una Mimì borderline che ricorda nel trucco e negli eccessi Amy Winehouse.
Così nel giro di pochi anni «le temerarie ambientazioni dei suoi spettacoli, la sua predilezione per la cronaca invece che per la storia, il suo gusto per il kitsch e il triviale hanno fatto piazza pulita di molte convenzioni operistiche» tanto da valergli – spiega Roberto Borghi su Il Giornale – l’appellativo di “rottamatore delle cariatidi del melodramma”.
Da tempo in Germania Damiano Michieletto è considerato la “nuova stella della lirica mondiale” e il 5 aprile ha debuttato all’Opera di Lipsia con un The Rake´s Progress (La carriera di un libertino) di Stravinskij – in coproduzione con il Teatro La Fenice che lo metterà in scena a fine giugno in apertura del Festival Lo spirito della musica di Venezia – riscuotendo «dieci minuti di applausi (e due buuu ai quali Michieletto risponde con un bacio) benché – spiega Valerio Cappelli, inviato a Lipsia per il Corriere della Sera – la sua visione incline a un’idea di narrazione forte sbatta con le pretestuosità tedesche del regietheater».

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Foto Serena Pea

L’opera si apre in un sereno ambiente campeste tra barbecue e aria domestica. Ma le inquietudini del libertino, legate sopratutto alla sfera sessuale, trasformano ben presto la scena in un bordello: gli attori, in lingerie e parruccona, si tuffano in una piscina piena di glitter dorati tra feste sfrenate, paiettes e lustrini fino all’orgia di gruppo. Mascha Drost sul web di Deutschlandfunk commenta:  «sesso di gruppo sul palco – ahi ahi ahi! – probabilmente pensato per rendere lo spettacolo più stuzzicante. Ma più che stuzzicante è sesso da repressi, piatto, di plastica, insomma, vorrei ma non posso».
Certo è che per Michieletto «la chiave del lavoro registico – come scrive Fabio Cherstich su Vogue – è portare l’energia della vita sulle tavole del palcoscenico. Nel teatro musicale come nel teatro d’attore la sua è un’operazione di rimozione della patina retorica e convenzionale per scoprire l’attualità del messaggio dei classici».
Un’operazione che sembra proprio funzionare – soprattutto tra il pubblico più giovane  – tanto che nel giugno 2015 Michieletto chiuderà la stagione della Royal Opera House di Londra con la sua versione del Guglielmo Tell di Rossini – direttore d’orchestra il grande Antonio Pappano che in un’intervista su L’Avvenire ne ha elogiato la “sensibilità contemporanea ma non provocatoria” – e quest’estate tornerà per la terza volta al festival di Salisburgo – primo italiano dopo Strehler e Ronconi – con La Cenerentola con Cecilia Bartoli. E gli impegni lavorativi – svela Anna Bandettini su Repubblica – vanno avanti fino al 2019.
Un simile fuoriclasse – e per di più appena 38enne – il Piccolo Teatro non poteva proprio lasciarselo sfuggire: gli sarà affidata una produzione nella prossima stagione e – come svela Sara Chiappori su Repubblica Milano – si tratta di una storia di morte, avarizia e lussuria, Divinas Palabras, tragicommedia datata 1919 del drammaturgo e poeta spagnolo Ramòn del Valle-Inclàn.

Foto Kirsten Nijhof

Foto Serena Pea

Proprio pochi mesi fa il Piccolo Teatro Grassi ha ospitato a Milano la sua versione de L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’ – produzione Teatro Stabile del Veneto e Teatro Stabile dell’Umbria, in tournée il prossimo anno nel centro-sudclassico della letteratura russa definito fin dal suo debutto nel 1836 una “farsa vergognosa”, intramontabile caricatura delle autorità locali e della burocrazia corrotta.
Ambientandola in un paesino ai confini dell’ex impero sovietico, sicuramente dopo il 1989 – Michieletto tratteggia una nazione sospesa e intontita, inchiodata tra povertà e arrivismo, tra struggente poesia e violenza senza scopo, popolata da una sarabanda di personaggi volgari e voraci, corrotti e tracotanti, tra videogame, luci a neon, soldi sporchi, tappezzeria scrostata, vodka a fiumi, ricchezza ostentata, donne appariscenti e tigrate – i costumi sono di Carla Teti – fino al rabbioso finale – anche qui le scene sono di Paolo Fantin – in un’enorme piscina gonfiabile, simbolo di un mondo di plastica che rincorre disperato finti svaghi, in realtà noiosi e alienanti.
«Come tutti i dissacratori – spiega Roberto Borghi su Il Giornale – Michieletto è un massimalista: gli odori e i sapori della storia di Gogol’ vengono esaltati fino all’inverosimile e, com’è lecito aspettarsi, il regista ci aggiunge del suo. Ma, diversamente che nella lirica, nella prosa la dissacrazione e il kitsch sono da tempo la norma, a volte parecchio stucchevole, non la trasgressione».
Ed è così che Anna Bandettini su Repubblica gli contesta di restare “alla parodia che non allude a niente, con gli attori costretti a troppi ammiccamenti” mentre Sara Chiappori su Repubblica Milano nota come «accelera sul pop giocando con il ritmo della partitura e l’immediatezza dell’effetto comico, ma rischia di rincorrere la gag restringendo la profondità di campo a un meccanico gioco di macchiette».
In effetti, ne L’Ispettore Generale, come spesso nella lirica, Michieletto «fa dei personaggi  delle figurine quasi da “cartoon” – riflette Andrea Porcheddu su Linkiesta – verso una lettura quasi bidimensionale, esplicitamente frontale» così che li vediamo «come fossero in un acquario… agire, sbattersi, maneggiare soldi sporchi, danzare in una festa groove e triviale.  E se nell’Opera c’è la musica a garantire la profondità, a dare spessore e risvolti emotivi ai personaggi – conclude Porcheddu – qui le parole hanno l’effetto contrario, ovvero di mostrare l’inconsistenza e la vacuità di quel mondo».
«Si direbbe che Michieletto – spiega Claudio Facchinelli su Corriere Spettacolo – abbia riversato in Gogol’ la leggerezza di ritmo e la malizia di certe pagine pucciniane. Né disturbano alcuni sobri scostamenti dal testo originale laddove, per esempio attribuisce alla figlia del sindaco, la maldestra, bruttina Mar’ja Antonovna, il ruolo di una sorta di silenzioso personaggio coro».

Foto Kirsten Nijhof

Foto Kirsten Nijhof

Che sia lirica o prosa, dunque, l’approccio a “contestualizzare” di Michieletto – considerato da molti “abile e furbetto” – non cambia. In fondo «una va nutrire l’altra e ci si misura – spiega Michieletto nell’intervista a Maurizio Porro sul Corriere della Sera – da una parte budget e grandi numeri, coro, macchinisti; dall’altra economia, pochi attori e fantasia sacrificata, ma si affina la sensibilità. Il problema – riflette il regista – è che gli attori non vanno all’opera, i cantanti non seguono la prosa e i due pubblici son divisi».
Non è improbabile che ci penserà proprio lui ad unirli. Negli applausi o nei fischi poco importa.

Maddalena Peluso