22-26 luglio 2013: le porte della fortezza si aprono, le celle si trasformano. Dalì, Kafka, Beckett, Leopardi, Artaud: poeti visionari, scrittori dell’assurdo, creatori di mondi onirici, danno il nome agli spazi scenici. Jean-Paul Sartre, con il saggio dedicato al drammaturgo francese, suggerisce il titolo del nuovo lavoro di Armando Punzo, Santo Genet commediante e martire, un primo movimento – in prima nazionale – ideato per i 25 anni della Compagnia della Fortezza. La maîtresse de Le Balcon ci attende nel cortile del Maschio, allarga le labbra vermiglie in un sorriso malizioso, più e più volte. Il volto incorniciato di rose rosse, le mani velate di pizzo, ci chiama a sé: è Madame Irma che ci invoglia a scostare le tende del bordello, è Armando Punzo che ci invita – ancora una volta – nella casa di reclusione, insieme ci portano in un luogo segreto, in un teatro clandestino, in un castello interiore.
Soffia il vento, stridono i gabbiani, mentre attraversiamo una passerella delimitata da statue umane, marinai in canotta a strisce e pantaloni bianchi, bicipiti in mostra e tatuaggi. Ci attendono nei salons, gli oltre sessanta detenuti-attori, disertori, transgender, vescovi, spose, generali, personaggi rubati all’opera di Genet, che si raccontano con frasi estrapolate da Diario del ladro, da Il Miracolo della rosa, da Querelle de Brest. Si è liberi di girare, di curiosare, di lasciarsi affascinare o di sfuggire, di spiare e farsi carezzare. Sempre diverso è il percorso, per scene che si sovrappongono, si ripetono, s’incrociano. Affacciano su un corridoio, le cinque stanze: pareti damascate, drappi di velluto, cornici dorate, abat-jours, candelabri, rose in ogni angolo, fra le dita e dietro le orecchie, e specchi, specchi ovunque, sul soffitto, sulle pareti, specchi seguiti da specchi, specchi che guardano specchi. E poi spose dentro teche di vetro come sante imbalsamate, geishe che intonano canti fra il roteare di ombrellini, lupi di mare scolpiti nel fisico e duri nel volto, madonne velate, crocerossine, e lo Stilitano di Aniello Arena, bocchino, frangetta, pelliccetta, cotone nella braga.
Attraversa, questo spettacolo, le strade e i mercati del Barrio Chino di Barcellona, i sordidi locali parigini, l’atmosfera brumosa del porto di Brest, e restituisce ambiguità e erotismo, volgarità e sfarzo, sonorità orientali, simbologie religiose, e la poesia della parola genetiana. Quando, sul finale, Divine consegna a un microfono il monologo di Notre Dame des Fleurs “credo nel mondo delle prigioni, nelle sue turpi abitudini. Accetto di viverci, come accetterei, morto, di vivere in un cimitero, a patto di viverci da autentico morto”, è Genet a parlare, con il suo carico di vissuto, con la sua attrazione per gli emarginati trasformati in eroi, è Armando Punzo a parlare, forte di un viaggio ‘nell’impossibile’, un percorso raccontato – per immagini e parole – nel libro È ai vinti che va il suo amore, storia di un teatro che aspira a diventare stabile, e che, in quest’ultima edizione del festival, interamente realizzata in carcere, ha accolto circa 250 spettatori al giorno. Perché è nell’alterità che si ritrova se stessi, perché Genet ci invita a “non voler esser belli, essere qualcos’altro”.
Visto a Volterra Festival 2013
Rossella Porcheddu
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