Ci sono due tipi di sale cinematografiche: quelle dove il cinema si consuma come merce, oggetto di mercato e quindi soggetto a leggi, convenzioni, messaggi, e quelle dove ancora si consuma un’esperienza umana, un contatto diretto con quello che lo schermo mostra, bidimensionale nella sua natura, ma la cui forza ci circonda, ci abbraccia e ci trasporta effettivamente in un mondo fuori dal tempo grazie proprio alla concretezza del suo significato. Solitamente queste sale sono semivuote, l’ingresso è gratuito nel tentativo di sfuggire a logiche commerciali, scavalcando le dinamiche prodotto/consumatore.
Questo è successo un lunedì qualsiasi, il 22 marzo,in una sala di un alloggio studentesco padovano, il collegio Ederle, dove ogni lunedì del mese dei ragazzi, membri dell’associazione studentesca ASU, organizzano proiezioni di film scelti nell’ampio raggio della produzione cinematografica mondiale, senza discriminazioni di registi o tematiche: il MONDAYSCREEN. E in questa sede un ospite d’onore ha reso la serata umana, dove per umano si intende una dimensione che pone l’artista allo stesso livello dello spettatore, una persona come tante che occupa una poltrona e si gusta un film in una serata di pioggia, con le vie della città vuote. Al di là della critica tecnico-estetica, è stata la presenza di Alvaro Bizzarri in occasione della proiezione della sua pellicola Lo stagionale (1971), a rendere la serata un evento di una portata significativa, nonostante il numero di spettatori non potesse minimamente competere con quello delle multisale dove abitualmente consumiamo immagini. Un nome rimasto sconosciuto in Italia ma che ha ricevuto riconoscimenti da registi come Elio Petri ed Ettore Scola e attori del calibro di Gian Maria Volontè (aneddoti tra l’altro sussurrati durante il dibattito che ha seguito la proiezione, timidamente). Bizzarri affronta nei suoi film una condizione che più che mai oggi si fa sentire nella nostra dimensione quotidiana: l’immigrazione, vista però attraverso gli occhi degli emigrati italiani in Svizzera negli Anni ’70. Il regista racconta la sua esperienza, il suo percorso, mostrandosi come essere umano prima che cineasta. L’aspetto che sconvolge è la genuinità che questa personariesce a trasmettere nei suoi film: film rimasti lontani dal mercato italiano, forse per la scomodità dei messaggi politici che contengono (che rivela ancora una volta la lungimiranza dei nostri governanti per nasconderci chiavi di interpretazione e punti di vista “pericolosi), forse per il disinteresse versoun cinema dolcemente sincero, che si avvicina allo spettatore in punta di piedi per colpirlo direttamente al cuore. Primi piani e zoom vengono utilizzati continuamente da una parte per avvicinarci all’interiorità dei protagonisti, dall’altra per allargare lo sguardo su una condizione che riguardava un popolo, quello italiano, che negli Anni ’70 costituiva per la Svizzera un serbatoio di manodopera, come rimarcato nel film. Ne Lo stagionale, Bizzarri ripercorre infatti la storia di un italiano in Svizzera che lotta per tenere con sé il figlio, scontrandosi con istituzioni e leggi discriminatorie. Basti ricordare infatti che durante gli Anni ’60-’70 le famiglie immigrate vivevano in una condizione di emarginazione passiva che li portava a progettare il rimpatrio. Non vanno dimenticate iniziative contro l’inforestierimento come quelle di James Schwarzenbach, soggetta ad un referendum nel 1970: se accettata, l’iniziativa avrebbe limitato il numero di lavoratori stranieri in Svizzera (il 54% dei quali erano italiani) al 10%, ed avrebbe comportato la deportazione di 300.000 stranieri nell’arco di quattro anni. La proposta ottenne il 45% dei voti (registrando un’affluenza alle urne record – 75%) e non fu accettata, ma comportò comunque una riduzione dei permessi di lavoro disponibili.
Un tema più vicino di quanto siamo disposti ad ammettere, un tema che va al di là di qualsiasi considerazione estetica in seguito a fatti come quelli di Rosarno, o a leggi e decreti sicurezza vari che alimentano in Italia una clandestinità che di fatto sembra nascere dal nulla, fomentata come arma di strumentalizzazione di menti e coscienze. Eppure, è proprio la presenza del regista a dare speranza: poter dialogare con chi, nonostante tutto, guarda al futuro con fiducia nell’essere umano e nella sua potenza di cambiare gli eventi che sembrerebbero sommergerlo ha dato un valore aggiunto al film stesso, a quarant’anni di distanza dalla sua creazione. Un periodo durante il quale sembrano essere cambiate molte cose, ma che rivela ancora una paura insita nelle persone ad accettare il diverso, o ad accettarlo solo come valvola di sfogo e capro espiatorio. Eppure l’arte serve proprio a ricordarci tutto questo: lottare per quello in cui crediamo. Ed è commovente che alcuni artisti siano ancora disposti a ricordarlo attraverso la loro presenza, avvicinandosi al pubblico e donando le loro vite a sconosciuti nei quali ripongono la massima fiducia.
Visto al Collegio Ederle, Padova
Giulia Tirelli