Fra gli spettacoli in programma nell’edizione 2012 del Festival del Teatro Due c’è stata una serata, quella del 21 novembre, interamente dedicata al teatro-danza italiano e internazionale, con un assolo di Balletto Civile e il ritorno dei fiamminghi Peeping Tom. Entrambi con lavori che esprimono le pressioni di un teatro-danza che – a differenza delle tendenze più segnate del momento che sembrano sperimentare interazioni fra voce e gesto, nel contesto di quella che sembra la ricerca di una grammatica inedita – si concentra sulla potenza atavica dell’immagine e si lascia andare al racconto, così come a una certa cifra introspettiva e intimistica, tutta rapita dalle vertigini del soggetto. Ma l’obiettivo qui non è forzare in un contenitore unico esperienze quanto mai diverse – per provenienza, formazione, estetica e logica –, quanto andare a cogliere le manifestazioni di una sensibilità particolare che da diversi anni Teatro Due sta esprimendo su certi versanti del teatro-danza.
Peso piuma, ideato da Michela Lucenti, che la vede in scena con le musiche originali live di Luca Andriolo, è il nuovo solo di Balletto Civile: assediata da un cerchio di scarpe femminili, la danzatrice intreccia movimento, canto e orazione, nella cifra ormai distintiva del gruppo in residenza al Teatro Due dal 2009. Il soggetto è quello di una “irriverente invocazione anarchica” e inanella macerie di tante guerre; la forma quella di un’epica che si costruisce di frammenti poetici e pochi suggestivi segni visivi, sostenuti da una partitura coreografica che – presente tanto nel lavoro di Balletto Civile quanto in quello, precedente e fondativo, dell’Impasto – ragiona sulla rielaborazione di gestualità e movimenti quotidiani. L’ambiente è quello di un piccolo deserto: un pavimento di terra rossa, che pian piano si accumula sul corpo della danzatrice, luci basse e dirette, un accompagnamento dalle derive folk. La voce interpreta frammenti che rimandano a invocazioni e preghiere, prima al padre e poi alla madre, in un miscuglio di misticismo, intimità e ritualità arcaiche. Tutto è avvolto in una impostazione estremamente materica – la grana della voce è sottolineata, la polvere del terreno ben visibile, il gesto netto e potente – che sembra mirare all’incontro fra la latenza di un passato archetipico e i segni dell’immaginario contemporaneo, anche questa, istanza alla base di alcuni lavori della compagnia. Ma, più che volta alla dimensione della narrazione collettiva, del racconto di fondazione o dell’inquadramento, tramite una piccola storia, di una genealogia possibile della situazione di una comunità, è un’epica rotta, fatta sui sentimenti e sull’individuo, intrappolata in un assedio (delle scarpe, certo, ma anche della deriva intima del soggetto), in cui la comunicazione si declina in un insieme di stimolazioni emotive e vibra accanto a quelle sensibilità che si lasciano trascinare dal succedersi delle immagini.
Un’impostazione simile è presente anche in 32 rue Vandenbranden della formazione fiamminga Peeping Tom, diretta da Gabriela Carrizo e Franck Chartier: immagini di grande potenza e pressione emotiva importante, sono sostenute da una struttura narrativa ben delineata, quella dell’incrocio di strade che dà il titolo allo spettacolo, in cui si affollano le strane esistenze dei 6 performer in scena – una donna incinta e un pretendente, un gigolò orientale, una giovane coppia. La creazione lavora sui dispositivi che tradizionalmente definiscono la soggettività (la casa, la famiglia, le relazioni sociali) e si esprime tracciando con poche pennellate i profili di alcuni stereotipi (la madre, la donna single, la coppia borghese, il gigolò) sprofondati nella propria irriducibile incomunicabilità, tanto negli assoli che nei numerosi passi a due, in cui spesso non si stabilisce alcuna dialettica. Niente è come sembra nella suggestiva luce del Nord in cui si sviluppa questo spettacolo, continuamente riconvertito fra le polarità dell’iperealismo e del surreale, del grottesco. Tutto è giocato sul rapporto fra interno ed esterno (le case e la strada), su un voyeurismo senza scrupoli frantumato nei vari centri coesistenti sulla scena, all’interno di cui i performer fanno davvero di tutto: dal canto lirico al contorsionismo, dal passo a due alle derive verso una performatività da body art fino al karaoke. Le diverse situazioni, che la compagnia costruisce abitualmente a partire dai materiali sviluppati dal singolo performer, sono esplorate attraverso dispositivi di decostruzione, spesso di ispirazione cinematografica, sempre sospesi fra inquietudine e ironia, fra acrobazia e segmentazione (del gesto e del corpo, delle relazioni, della storia e del personaggio), insomma fra Totò e Derrida, che hanno reso celebre la cifra del gruppo. Una incalzante complicazione a diversi livelli stravolge tanto lo sviluppo dello spettacolo che la soggettività dei personaggi e la partitura coreografica, dando vita a prove di eccezionale virtuosismo, quasi esasperato, in cui si incontrano una dimensione arcaica (con, ad esempio, figure ancestrali di maternità) e un gusto precisamente postmoderno.
Un intenso lavorìo su immagini che potrebbero tessere relazioni fra passato e contemporaneità; la seduzione della piccola magia dell’artigianato teatrale, che, con la sua irriducibile semplicità, dà vita a suggestivi “effetti speciali”; un’epica della soggettività capace di eludere limiti geografici, temporali e culturali, intrisa di quell’incomunicabilità individuale che spesso è tratto distintivo delle micro-narrazioni dei nostri tempi; lirismo, poesia visuale, canti, tutti elementi che confluiscono in un approccio coreografico multidisciplinare che fa del movimento l’innesco di una ricerca sul soggetto e su come si definisce, di volta in volta, secondo le relazioni che costruisce. Il punto, forse, in entrambe le creazioni, infatti, è quello spazio che separa le cose, siano esse i performer o gli oggetti di scena: l’incrocio di strade che separa le case in 32 rue Vandenbranden, il piccolo rettangolo assediato di Peso piuma; ovvero dell’ambiente in cui gesto, parola e movimento si riattuano ogni volta: come se la presentazione di uno spettacolo avesse a che fare con la creazione di un mondo vero e proprio, strano ma estremamente reale, che si mostra in tutta la sua autonomia alla platea di spettatori lì per osservarlo.
Visti a Teatro Festival Parma, Teatro Due
Roberta Ferraresi