Presentazione dell’incontro con Susanne Franco.
Un bel racconto di O. Henry inizia così: «I moti della natura vogliono essere circolari; rettilinei quelli dell’arte. […] Quando cominciammo a muoverci lungo linee rette e far svolte ad angolo, la nostra natura cominciò a mutare». Si intitola
La quadratura del cerchio.
Partendo da questo presupposto, sembrerebbe che artista sia chi riesce a creare un punto di contatto tra la curva del cerchio e la retta del quadrato che lo inscrive.
La tecnica Graham domina la circolarità in maniera praticamente perfetta. È curioso il modo in cui questo metodo investe le fluidità corporee: fondandosi sull’articolazione tra addome e bacino, punti-culla della maternità, ne intercetta la potenza dinamica creando una sovrastruttura motoria dal forte riverbero geometrico. Il gesto è controllato, preciso come il risultato di un’operazione matematica: previsto in ogni sfumatura, ossigenato nella sua pienezza.
Attorno al corpo Graham ruota un’ortografia estetica impeccabile: silhouette atletica disegnata da tutine aderenti, presenza statuaria, gestione impeccabile dell’impulso del movimento. Quasi un cyborg fatto solo di materiale umano, ma con un sottotesto di forti – se non problematiche – pulsazioni psicologiche. Questo apparato formale, infatti, si integra alla ricerca di una comunicazione emotiva che si fonda su un personale recupero del concetto di ‘natura’. Cestinati i costumi ingombranti e la sclerodermia della tecnica accademica, il corpo si riappropria di se stesso restando lontano dalla danza libera alla Isadora Duncan, ma inscrivendo l’emozionalità all’interno dell’apparato muscolare, in una sorta di mappa corporea vitruviana.
«Martha Graham era una danzatrice, coreografa, intellettuale e americana»: questa prospettiva a fuochi multipli è il materiale vivo della riflessione di Susanne Franco, critica di danza e docente allo IUAV di Venezia, sabato 23 maggio per il penultimo appuntamento di Open Doors. Si indaga il ruolo complesso di Graham nella costruzione dell’identità artistica americana (quest’ultimo termine non è un aggettivo, ma un’attribuzione di appartenenza culturale e sociale), a partire dai modelli culturali adottati dalla coreografa. Viene proiettato Night Journey, composizione per tre personaggi principali ispirata alla tragedia di Edipo, ma filtrata dal corpo fisico e psicologico di Giocasta. Interpretata dalla stessa Graham, Giocasta è il cardine attorno a cui ruota il percorso narrativo, che si conclude rifluendo nel punto d’inizio, secondo una logica circolare che riecheggia dinamiche freudiane e junghiane.
Erede di Ruth St. Denis e Ted Shawn, Martha Graham si stacca dalla loro compagnia a metà degli anni Venti per portare avanti una propria linea di sperimentazione coreografica che porterà alla prima scintilla della modern dance. Ed è qui, forse, l’aspetto più interessante: non la tecnica in sé ma lo spirito di indipendenza mirato e consapevole che ne fa una sorta di pioniera, una donna di frontiera tra le linee rette della città.
Visto al Teatro Piccolo Arsenale, Venezia.
Agnese Cesari