Una piazza che si anima di arte, che vive della performatività degli artisti che per una sera coabitano uno spazio pubblico, in cui le voci dei bambini si sommano e accostano alla gestualità dei danzatori. Dalle piazze ai musei, dalle chiese agli edifici in disuso (o ex industriali), la messa in discussione dello spazio teatrale e dell’osservatore ideale è divenuta per la performance una questione assodata che vibra tuttavia di una necessità e di una prospettiva che permane tanto nel lavoro di un artista, quanto nelle proposte culturali di un paese. Si è aperto così Contemporanea Festival 16.
Lo scorso 23 settembre, Piazza Santa Maria delle Carceri a Prato ha ospitato Danse de nuit del coreografo francese Boris Charmatz, già noto in Italia nonché presente in quest’occasione grazie al network Finestate Festival. Impegnato da anni in un’indagine che ridefinisce la relazione tra luogo, arte e pubblico – la cui massima sintesi è rappresentata dal Musée de la danse – Centre chorégraphique national de Rennes et de Bretagne di cui è direttore artistico – Charmatz ha presentato al festival un lavoro appositamente ideato per spazi urbani.
Sei danzatori con partiture autonome richiamano il pubblico in stazioni disegnate dalla loro presenza. Il tappeto sonoro creato dalle loro voci appare inizialmente confuso, sovrapposto, mixato, fino a farsi ritmo, composizione ed elemento d’unione, per una drammaturgia composta da pensieri riconducibili alla contemporaneità, in una “glossolalia improvvisata dai danzatori”, come si legge nelle note di regia. È così che il primo concetto che raggiunge il pubblico in maniera più nitida riguarda Charlie Hebdo e il disegnatore Charb, ma emergono anche estratti da Starfucker di Tim Etchells in cui star hollywoodiane vengono immaginate impegnate in scene inusuali e slegate dalla loro celebrità. Frasi come lampi di pensiero che trovano corrispondenza nella veloce dinamica gestuale. Parole sovrapposte, intermittenti, a volte sfuggevoli, spinte fino all’incomprensibile, enunciate da corpi i cui gesti conservano piena vitalità per tutta la rappresentazione.
Il movimento del pubblico segue lo sviluppo del lavoro divenendo esso stesso corpo fluttuante, ricettore di un ipotetico disegno che, pensato a volo d’uccello, traccia nella piazza cerchi e ellissi che si dissolvono continuamente per lasciare posto a nuove figure. A illuminare la “danza di notte” di Charmatz, luci viventi, fari portati a spalla da alcuni interpreti che si muovono tra pubblico e performer, creando un ulteriore elemento di connessione nella complessa struttura che, pur lasciando piena conduzione alla danza, non accetta lo sguardo unidirezionale e passivo dello spettatore e intende il palcoscenico come superficie da coabitare. Una questione su cui gli spettacoli ospitati al festival affondano con ulteriore precisione nel secondo fine settimana (Contemporanea Festival 2016 a Prato: Spettatori/Attori di Roberta Ferraresi).
Dall’uso della voce al respiro, dalla necessità di seguire fisicamente il continuo ricostituirsi della scena nel lavoro di Charmatz, fino al gravoso fluttuare del pensiero in The Forgetting of Air di Francesca Grilli. Quest’ultima performance ha debuttato al MAXXI di Roma lo scorso 11 ottobre, ma è stata presentata in anteprima al festival di Terni e a Contemporanea. Le silenziose stanze dell’Istituto Culturale Lazzarini di Prato hanno accolto i quattro performer per una drammaturgia del respiro, divenendo luogo di un candore asfittico.
The Forgetting of Air è un ulteriore tassello della ricerca sulla voce che Francesca Grilli sta sviluppando da tempo (solo per citare alcune opere, Enduring Midnight; Palco; Fe2O3, Ossido ferrico), raggiungendo ora un delicato bilanciamento tra la forza poetica e politica che, se alla 55a Biennale Arte di Venezia dialogava e “corrodeva” la materia inanimata del ferro, mira ora, con grande incisività, all’anima dello spettatore.
La tragedia della migrazione contemporanea, con i suoi sbarchi, le sue morti e i suoi sopravvissuti, viene privata di retorica e moralismi. Lo fa lasciando emergere dalla nebbia i corpi neri degli interpreti, che reiterano – con piccoli spostamenti nello spazio – un’unica azione: respirare all’interno di un megafono. È questo uno strumento artigianale e allo stesso tempo magico, che richiama per forma e materia l’uomo di latta di Alice nel Paese delle Meraviglie, ed è l’unico elemento della scenografia assieme al basilare tubo che attraversa a terra la stanza e lascia fuoriuscire aria emettendo – a tratti – un rumore meccanico della macchina.
Un ritmo casuale sembra dettare la presenza dei performer, in cui sono praticamente assenti momenti di incontro. Non vi è alcun punto di vista predefinito, gli spettatori possono muoversi o stanziare, accerchiando la scena, fino ad accorgersi che, seppure protetti e con le spalle ben puntate al muro, nessuna posizione potrà negare la responsabilità di una presenza. E anche questo avviene senza alcuna violenza: un semplice avvicinarsi del performer che per una piccola pausa può sedersi tra il pubblico, aspettare un segnale invisibile (forse dettato solo da un sentire personale), appoggiarsi alla parete guardando ciò che sta accadendo e continuare a respirare senza l’amplificazione del mezzo scenico, valorizzando quel gesto vitale compiuto da ogni presente.
Il rimando teorico di Francesca Grilli guarda al pensiero di Luce Irigaray, alla concezione del respiro come primo gesto di autonomia del vivente, “respirare senza dipendere dal respiro altrui”. The Forgetting of Air pone in evidenza come ciò che dovrebbe corrispondere alla libertà di un individuo viene costantemente dimenticato o oppresso, una libertà che viene ridotta fino a invalidare la dignità e i diritti dell’essere umano.
e gli occhi non videro, non videro la luce
non videro la messe, che altri non l’avesse
e il cielo fece nero, e urló la nube al cielo
e s’affamó d’abisso, che tutti ci prendesse […]
S.S. dei Naufragati, Vinicio Capossela
Il contrasto buio/luce (nero/bianco) è un elemento importante nell’impianto visivo della performance ideata da Francesca Grilli: la piccola stanza, con le pareti chiare e satura di vapore, lascia immaginare all’orizzonte quella “pozzanghera” di mare che non cessa di essere al centro di un dibattito politico che arranca nel trovare soluzioni e sostegno per far fronte alle tragiche morti del Mar Mediterraneo. Ma il respiro affannato che risuona al suo interno, non è quello della politica che in The Forgetting of Air tace. L’artista scarnifica la parola e si affida al silenzio del respiro e allo sguardo, “all’abilità di vedere nell’oscurità ciò che, nonostante tutto, appare”. Ed è forse questo che emerge con maggior forza, e che trova corrispondenza nella possibilità del singolo spettatore di stabilire la durata della performance: un lento prevalere della prossimità tra pubblico e performer sull’iniziale e gravoso fluttuare del pensiero nell’abisso del mare, un mare al quale non possiamo delegare alcuna responsabilità sulla vita di coloro a cui non riusciamo a garantire la sopravvivenza. Né il respiro.
di Elena Conti
Per approfondire
> Intervista a Francesca Grilli di Piersandra Di Matteo (Artribune)
> Intervista a Francesca Grilli di Giuseppe Di Lorenzo (dal laboratorio “Per uno spettatore critico” curato dalla redazione di Altre Velocità)
Contemporanea Festival 16 su Il tamburo di Kattrin
> Tamam Schud: l’irrisolto di Nicoletta Lupia
> Contemporanea festival 2016 a Prato: Spettatori/Attori di Roberta Ferraresi