Recensione a Canto per Falluja – regia di Rita Maffei
L’ininterrotta dimensione di morte e terrore, da cui l’Iraq non ha ancora potuto svegliarsi, è una buia notte che dura da trent’anni. Anni di guerra, dittatura, torture, embargo, ancora guerre e occupazione. Territorio che non conosce – nè ricorda – tregue, i cui pochi abitanti rimasti sono i sopravvissuti che non sono riusciti ad emigrare altrove. Solo tra chi se ne è andato si può rintracciare una testimonianza di cos’era e cos’è l’Iraq. Sono, infatti, i racconti di alcuni iracheni profughi in Giordania che hanno fornito le basi per il dettagliato e forte lavoro di Francesco Niccolini. Il drammaturgo italiano scrive Canto per Falluja spinto dalla volontà di Simona Torretta: l’operatrice umanitaria dell’organizzazione “Un ponte per…” che, dopo aver subito il drammatico sequestro a Baghdad nel 2004, continua tenace la sua missione. Nel 2006 decide di coinvolgere Niccolini e l’attrice e autrice Roberta Biagiarelli in un altro viaggio: li porta con sé in Giordania, alla ricerca di un Iraq concreto fatto di ricordi, emozioni e testimonianze, per riuscire finamente a raccontare verità storiche riguardo alle vicende irachene.
Grazie, poi, all’incontro con Rita Maffei e il CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, Canto per Falluja prende forma scenica e vince il Premio Enriquez 2009. La “città delle cento moschee” è scelta come prova della devastazione irachena, testimone – per il famoso attacco con le bombe al fosforo – delle violazioni e della cieca violenza dell’esercito statunitense. La vicenda del dramma è ambientata a Falluja nel novembre 2004: un sopralluogo di marines finisce in strage e un soldato rimane bloccato in casa di un’irachena bendata. Lei è un’antropologa, donna colta, madre di quattro figli (ora morti o dispersi), lui un immaturo e inconsistente trentenne arruolatosi per noia e andato a Falluja controvoglia. Da qui comincia il confronto, dialogo sincero e sofferto tra individui che – anche parlando la stessa lingua – non si capiscono, si attacano, feriscono fisicamente, ma si raccontano. Incontro tragico e surreale in cui punti di vista inconciliabili si pongono vicendevolmente domande dirette: fatte di curiosità, d’ira e di provocazioni. Ma le tremende regole della guerra sono sorde a tutto ciò che è scomodo e lontano dagli obiettivi prefissati, che si tratti di arte e cultura, umanità o vita, non c’è mai differenza. Arduo trovare un lieto fine nella morte causata dalla guerra.
Lo spettacolo di Rita Maffei è intenso, curato e semplice; la scena, scarna ed essenziale, è efficace (con qualche riserva su titolo di testa e proiezioni finali) e, nonostante palco e sala del Teatro dei Filodrammatici siano poco adeguati alle esigenze della scenografia e di una piena fruizione, la magia del teatro riesce: un angolo di Falluja è davanti agli occhi del pubblico. “Magia” fin dal primo ingresso del soldato (Paolo Fagiolo) che imbraccia il mitra. Tra gli attori sicuri e d’esperienza presenti sul palco, spicca Roberta Biagiarelli, che con la sua forza fa vivere una donna irachena concreta, ma allo stesso tempo eroica e tragica, dall’impeccabile intensità. Sottile e poetico il fascino casto e tutto arabo che emana da semplici gesti e portamento.
Peccato la scarsa affluenza di pubblico.
Visto al Teatro dei Filodrammatici, Milano
Agnese Bellato