Recensione a Obludarium – di Petr e Matěj Forman
Il grande tendone del circo Forman è un poligono ligneo che come un piccolo diamante s’adagia placido, in questa fine di settembre, ai piedi del Duomo di Pistoia, nella piazza principale della città toscana, attorniato da un furgone, bracieri in cui arde un fuoco che taglia il fresco della sera, vecchi musicisti di strada parigini, in abiti gualciti, scarpe di vernice, posseduti dal demone del jazz. Questo è l’accampamento nomade di Obludarium, spettacolo leggendario e longevo dei fratelli praghesi Petr e Matej Forman, figli del regista Miloš, con cui il Funaro, in collaborazione con l’Associazione Teatrale Pistoiese, il Comune e il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, apre la sua stagione. Per festeggiare il primo lustro della sua attività, il centro culturale pistoiese assesta una volta di più ad un livello altissimo la propria proposta teatrale, che ospiterà nei prossimi mesi Peter Brook, Cristiana Morganti, Cuocolo/Bosetti, fra molti, a corredo della consueta programmazione didattica e formativa. E questo primo atto non può che sorprendere.
Adamantina è fuor di dubbio la qualità di ciò che il tendone cela e svela a chi vi fa ingresso, dopo un breve stazionamento nel carrozzone impregnato di odore di fumo e incenso di un mangiafuoco ebete, quasi impiccato vivo. Lo spazio del circo, cinto da una platea sviluppata su due piani, in cui tubi innocenti e legno delineano quasi un teatro all’italiana dalle atmosfere gitane e tipiche dell’Europa orientale, diventa dunque una pedana rotante, una riproduzione su scala microscopica del ben più sconfinato mondo di Obludarium, che in ceco significa “sovrannaturale”, e ciò dell’universo della meraviglia che attinge egualmente dalle suggestioni dell’infanzia e dall’immaginario fatato e spietato dell’età adulta. Veniamo introdotti a questa dimensione del possibile – e dello spettacolo al suo grado più alto ed artigianale – da un presentatore-maschera che si esprime in una lingua composita, un gramlot vagamente indoeuropeo da imbonitore e mattatore a un tempo, emblema del sistema circense, in cui tutto è fatuo, appeso a un filo.
In questo spazio circolare sormontato da una piccola orchestrina zigana, si alternano allora in un succedersi frenetico ed ipnotico non tanto i classici numeri del circo, ma le loro declinazioni più immaginifiche e sognanti, in un melange tra teatro fisico, danza, teatro di figura al sommo grado, cabaret, coniugate ad un certo gusto del grottesco e della bizzarria. Come in un’allucinazione felice i freaks di Barnum fanno da contrappunto a grandi figure clownesche dalle gigantesche teste vuote di cartapesta, le domatrici di cavalli fluttuano nell’etere in magnifiche girandole, sorrette e sollevate da un contrappeso umano, i lanciatori di coltelli trafiggono le assistenti, i forzuti sollevano fanciulle-fuscello con sforzi sovrumani. In un affresco onirico e potente marionette, sirene degli abissi, cavalli di legno imbizzarriti si inseguono in una rocambolesca e toccante poesia, che commuove, incanta e capovolge ogni logica ed ogni aspettativa. Meraviglia e bassezza umana di un mondo spesso crudele suscitano risate e lacrime. Due ore corrono via rapide, incalzanti, piene di stupore e desiderio di vedere ancora, nel buio costellato dai brillii delle dinamo azionate dal pubblico con una manovella. Si è tutti, pubblico e artisti, attori, danzatori e acrobati tesi verso il comune sforzo di rendere reale la magia, di viverla, dentro il tendone, per un paio d’ore o poco più, costituire un’enclave utopica solidale e determinata a salvaguardare la purezza dell’incantamento, almeno per un po’.
L’apparato effimero, finito lo spettacolo inusitato animato dai suoi protagonisti, illuminato dalla luce cruda delle lampade, torna ad essere ciò che è – un contenitore suggestivo ma nudo –, gli attori struccati sembrano più piccoli, irriconoscibili, quasi insignificanti rispetto alla maestà che rivelavano sulla scena. All’apparir del vero noi miseri cademmo. Ma per due ore, la finzione è stata l’unica possibile verità ed in quella abbiamo vissuto, leggeri e le cinque repliche coronate da una sesta speciale e straordinaria, testimoniano quanto la fantasia, nonostante tutto, superi sempre la realtà!
Visto a Piazza del Duomo, Pistoia
Giulia Morelli