“Aggiornamento disponibile”. Un messaggio chiaro, noto e quotidiano apre Joseph di Alessandro Sciarroni, in scena presso il CSC Garage Nardini di Bassano del Grappa. Uno spettacolo che diverte e scherzacon il pubblico, senza mai abbandonarsi a facili giochi di prestigio accattivanti, sviluppando piuttosto un discorso coerente sui nuovi specchi della società contemporanea. Monitor, tablet e webcam si trasformano in veri e propri strumenti di narcisismo attraverso i quali proiettarsi in un mondo che ci vuole reali e “costruiti” allo stesso tempo, abili non-comunicatori i cui status e tweet definiscono più ciò che si vuole che gli altri vedano, che ciò che si è. Un meccanismo contorto che trasforma lo strumento della libera espressione in mezzo della finzione per eccellenza, amplificando gli schemi comportamentali della vita quotidiana.
E se Sciarroni riesce a restituire il senso di un mondo alla deriva tra server e flussi di dati attraverso una poetica del corpo che si serve di ironia e impeccabile preparazione tecnica, al Teatro Remondini la serata prosegue con tre frammenti tutti internazionali. Sul palco si succedono gli spettacoli di Tabea Martin con Duet for two dancers*, Howool Baek con NOTHING for body e Jolika Sudermann con Pulse. Lavori che si servono di registri linguistici differenti per declinare il corpo in poetiche dirompenti. Se infatti la coreografa e danzatrice coreana dà vita a uno spazio in cui articolazioni, falangi e cartilagini divengono veicoli di espressività capaci di costruire prospettive e frammenti di creature immaginarie fatte di giochi di luce — ma ancor più di ombre — i quattro performer di Pulse tessono una trama di riprese e sovrapposizioni di fotogrammi coreografici, scivolando in un sistema di ripetizioni che lasciano spazio a fugaci scatti di armonia collettiva.
*Per problemi logistici abbiamo perso lo spettacolo di Tabea Martin. Ci scusiamo con l’artista e con i lettori.
Approfondimento a Dreams Doubts Debts di Gribaudi/Musso e Nel Lago di Senatore/Mabellini
Dreams Doubts Debts – foto di Giancarlo Ceccon
In uno scambio generazionale, stiamo assistendo costantemente al manifestarsi della necessità di alcuni artisti di relazionarsi con nuove esperienze, di confrontarsi con linguaggi altri che consentano di intersecare poetiche e portare a maturazione – o a mettere in discussione – il percorso artistico. Le frequenti collaborazioni in teatro sono indicative di una concezione di gruppo fondata sulla coralità paritaria e rispettosa del lavoro di ogni componente: questo è ciò che si è visto a B.Motion – la sezione di Operaestate di Bassano del Grappa dedicata al linguaggio teatrale e coreutico contemporaneo – che ha presentato un’interessante anteprima di due progetti nati dalla collaborazione tra coreografe e autori teatrali.
Il primo, presentato l’1 settembre al Garage Nardini, Dreams Doubts Debts, si origina e approda nel sociale. Commissionato a Silvia Gribaudi da MAG Venezia (cooperativa che opera nel campo della finanza mutualistica e solidale), il lavoro ha innescato nella danzautrice il desiderio di coinvolgere l’autrice Giuliana Musso nell’indagine sulle problematiche delle nuove povertà e dell’indebitamento. Il prologo allo studio interpretato dalla Musso – presentazione del progetto, che è anche un avvicinamento al tema affrontato – si colloca nella costruzione drammaturgica come dichiarazione dell’impossibilità del lavoro di aderire interamente alla dimensione teatrale assegnata a spettacoli presentati all’interno di festival: Dreams Doubts Debts, allo stato attuale, è la ricerca di una possibile comunicazione, di un linguaggio che metta a conoscenza dell’esistenza di uno sportello dedicato a coloro che vivono in prima persona il dramma rappresentato. Il percorso che ha portato a questo primo studio si è sviluppato in relazione diretta con gli strati sociali disagiati, in una capacità di ascolto e coinvolgimento che caratterizza la poetica di entrambe le artiste. Il passaggio dal racconto alla rappresentazione del dramma dell’indebitamento si è tradotto in scena nella continua contrapposizione tra pieni “illusori” e vuoti: l’inseguimento di sogni vani, il desiderio di successo e onnipotenza vede Silvia Gribaudi relazionarsi con l’unico elemento scenico presente, una scala di legno al cui vertice è posta una macchina di bolle di sapone. Il disfacimento a cui porta l’attenzione a beni effimeri corrisponde al crescendo espressivo del movimento: ripetizione e accelerazione di gestualità che affaticano e lasciano cadere il soggetto in un vortice dal quale sembra impossibile riemergere. L’apice di un dramma al quale Gribaudi non può aderire perché – come racconta l’autrice – la sua danza è comunicazione, è movimento fisico che intende stimolare movimento di pensiero, consegnando al pubblico la possibilità di scoprire nel dramma un’apertura. E l’apertura di Dreams Doubts Debts si rivela non tanto nell’invito a ricominciare, quanto in una presa di coscienza delle proprie condizioni economiche che, nell’imbarazzo e nella paura di fronte al disagio dell’indebitamento, possa lasciare emergere il coraggio di affrontare la realtà.
Nel lago – foto di Giancarlo Ceccon
Da un teatro sociale ad un metateatro – intriso di slittamenti nella realtà – è il passaggio che si compie al Teatro Remondini sabato 4 Settembre con la presentazione dello studio Nel lago nato dall’incontro tra Ambra Senatore e il regista Sandro Mabellini. L’inevitabile rinvio al balletto più acclamato della storia della danza del XIX secolo, viene sfruttato dagli artisti con un’ironia tagliente e una contestazione artistica che chiama in causa le molteplici versioni dell’opera offerte dai maestri del Novecento. Appropriandosi di un tema radicato nell’immaginario collettivo, Senatore si diverte a comporre una partitura coreografica in cui l’osservazione sul presente si accosta a elementi propri dell’opera originaria (come la struttura in quattro atti), ma dichiarando immediatamente la necessità della scelta nel confronto con Mabellini: la contrapposizione iniziale di ruoli e di formazione esplicitata dal prologo – in scena Senatore, danzatrice e Mabellini, attore – consente di procedere, nei successivi quadri, ad un dialogo serrato in cui relazionare le diverse poetiche. La costruzione drammaturgica si sviluppa alternando la presenza dei due autori, l’uno intento a rappresentare con il proprio linguaggio ciò che gli viene chiesto dall’altro. In tal modo «Ambra chiede a Sandro» di raccontare lo spettacolo visto la sera prima, una versione “contemporanea” del Lago dei cigni: le parole dell’attore ripercorrono la rappresentazione e danno vita a un divertente momento non privo di riflessioni sul teatro. A seguire, nel terzo quadro, «Sandro ha chiesto ad Ambra» di costruire alcune immagini in movimento che evochino concetti quali l’esposizione allo sguardo, la mercificazione del corpo, la cancellazione dell’identità che vede l’individuo cadere vittima di una trasfigurazione animalesca pur di raggiungere visibilità. Il perseguimento di sogni effimeri, influenzati da una cultura massmediatica, irrompe così anche nel lavoro di Ambra Senatore: l’illusione di voler essere un cigno viene ironicamente frantumata in un gioco che dichiara la frivolezza di ambizioni nate da una cultura che ha posto nella perfezione tecnica e nella costrizione del corpo femminile la base di un sapere coreutico. L’anagramma del nome della danzatrice, scritto su un pannello, funge da rivelatore di un concetto chiave del lavoro e dalla scritta ‘Ambivo al cigno. Ambra Senatore’ il risultato a cui si giunge in epilogo è ‘Ambivo al cigno e sembro anatra’. Un’anatra meravigliosa, verrebbe da dire, che con la sua forza e ironia travolge continuamente lo spettatore.
Elemento comune di entrambi gli studi è l’esplorazione delle coreografe nel linguaggio testuale. Le tante parole – che siano presenti perché ritenute necessarie all’espressione o originate dall’intensità del gesto stesso – affiancano il movimento in maniera equilibrata ma in un rispetto che può correre il rischio di fissare a terra anche quei frammenti che la danza lascia poeticamente vibrare.
Corpi-carne in esposizione, che vanno verso una decomposizione. Corpi simil-velati, trasparenze verticali che mostrano una giocosa eleganza. Corpi che nascondono la loro natura dietro travestimenti, ingannando l’immaginario collettivo e rivelando la propria fisicità una volta spogliati delle vesti. Corpi che cercano un’identità, cambiando se stessi per passare verso un altro stato, un’altra immagine che rifletta il proprio Io. Corpi che ritornano al primitivo e al bestiale mescolandosi al materico, alla terra-torba da cui provengono e in cui un giorno ritorneranno. Corpi statuari e corpi deboli, indifesi, ma depositari di una purezza disarmante. Il nudo in scena si rivela in molti lavori presentati a B.Motion Danza 2010: la fisicità diventa una fonte inesauribile da interrogare, si sente il bisogno di “mettersi completamente a nudo” forse per trovare un punto di contatto con chi è seduto in platea.
Marco D'Agostin
Una necessità e un modo scelto dagli artisti per trattare argomenti che forse altrimenti non riuscirebbero a comunicare: un corpo nudo è portatore di verità, riesce a parlare anche semplicemente mostrandosi in tutta la sua vulnerabilità. È più semplice da colpire, da attaccare: i segni di violenza rimangono ben visibili e fissi nello sguardo del pubblico. Come in Co(te)lette di Ann Van den Broek dove le tre donne in scena iniziano ad infliggersi dei colpi: impossibile non empatizzare immediatamente, un dolore attraversa il pubblico messo di fronte a tale bombardamento. Riesce a veicolare le proprie emozioni in maniera diretta anche nel momento in cui le parole vengono meno, come nell’altro lavoro We solo men della coreografa olandese, in cui una sorta di boy-band di fronte ai tanti microfoni presenti in scena non può esprimersi a voce, ma solo con il linguaggio dei segni portato all’esasperazione; il corpo e il gesto diventano l’unico mezzo di espressione e di comunicazione. E sempre nella stessa pièce si svela il gioco del travestimento: chi si pensava fosse uomo – con tanto di basette e baffetti al volto e movimenti stereotipati tipici di una popstar – una volta denudato sorprende un pubblico che all’improvviso si ritrova a dover rivalutare tutto ciò che fin lì aveva visto. La sorpresa arriva anche con Marco D’Agostin, il giovanissimo vincitore del Premio GD’A Veneto 2010, che con Viola riesce a mutare il proprio corpo, da uomo a donna, creando l’immagine suggestiva di un corpo androgino che scompare lentamente dentro una luce fioca; in una posizione che ricorda il Cristo in croce, D’Agostin si priva di una sessualità ben specifica che lo caratterizzi, creando un’immagine di piena purezza che ricorda una pittura quattrocentesca. In The son dei greci Oktana Dance Theatre il corpo ritrova la sua natura primitiva: è solo, con la sua nudità, immerso nella torba, in un istinto primordiale che lo spinge a fondersi con la terra e riportare così la propria carne alle origini, alla creazione, ma anche alla sua fine. La matericità diventa simbolo di nascita ma anche di un ritorno definitivo, di morte.
Non è suggestione ma è disarmante la sensazione che suscita Alessandro Sciarroni nel suo spettacolo Your girl: in una tenera semplicità data dal solo mostrarsi nudi in scena in posizione statuaria,i fisici di Chiara Bersani e Matteo Ramponi si fanno portatori di diversità e vulnerabilità. Le due presenze sceniche acquistano un valore aggiunto in quanto diverse tra loro: la “Diversità” non trova un contrasto con la “Normalità” o la “Perfezione”, perché sono proprio queste definizioni qui a cadere; se la chiusura data dalle categorizzazioni mentali spinge a pensare che solo un corpo perfetto – e poi anche qui: che cos’è la perfezione in un corpo? – può farsi carico di emozioni, in Your girl sono le presenze sceniche dei due corpi a riempire di significato la pièce.