Recensione a Enrico 4 – Michele Di Mauro
«Chi è l’autore? – di Enrico 4, di Enrico IV, dell’immaginario collettivo che ci si può costruire intorno – Son trecento!». È proprio Michele Di Mauro, autore e interprete di Enrico 4, ad indicare, dalla scena, la pluralità in agguato nel suo spettacolo. Nelle Scuderie del Palazzo Comunale di Radicondoli è andato in scena questo monologo musicale all’origine del quale si trova l’Enrico IV di Pirandello, ma che si sviluppa poi secondo un montaggio del tutto personale di brani (teatrali, ma anche letterari, cinematografici, musicali) intorno al tema della follia del re. Del testo pirandelliano è trattenuto soltanto lo spunto, a mo’ di innesco, la vicenda che conduce Enrico alla pazzia: il protagonista, invitato a una festa in maschera, si traveste come il re inglese; in seguito a una caduta da cavallo, batte la testa e, al risveglio, crede di essere proprio il mitico personaggio. Di questo evento rimangono, in scena, poche parole strappate, un cavallino a dondolo di legno e la corona dorata che a volte Di Mauro indossa; oltre, naturalmente, agli occhi allucinati del performer, fissati in una follia senza ritorno. Di qui, un incipit che incornicia la performance, il pubblico è trascinato in un viaggio fra letteratura drammatica e poesia, rivista, cinema e musica: brandelli di testo dalla provenienza più varia si inseguono nell’interpretazione di Di Mauro, che procede per scatti e variazioni improvvise, acrobazie di senso, di tono, di intensità.
Ci sono le canzoni di Petrolini e Sentimento nuevo di Battiato, la scrittura spezzata di Heiner Müller e quella micidialmente lucida di Raymond Carver, e poi la poesia di Leopardi, e poi ancora un affastellamento di citazioni e affondi (testuali, ma anche tonali ed emotivi) di cui non è interamente possibile (né necessario) individuare l’origine. Insieme alla performance vocale di Di Mauro, il delicatissimo lavoro musicale di G.U.P. Alcaro, compositore che propone una partitura di rumori, voci, musiche che inseguono e precedono la follia del re. Lontano dal porsi a semplice intermezzo o commento della narrazione scenica, il tessuto musicale di Enrico 4 è vero e proprio performer (nel duplice senso di personaggio e di presenza che agisce in scena), alla pari dell’interprete tout court. Il dispositivo compositivo sembra fondarsi più su sperimentazioni di avvicinamento al cortocircuito che secondo schemi di montaggio, sia per quanto riguarda i rapporti fra parola e musica, sia all’interno della struttura narrativa. I passaggi fra un testo e l’altro sono sempre meno segnati, in un’interpretazione magmatica che intreccia, in un unico frammento, anche tre o quattro registri differenti, mentre può recuperare, in seguito, lo stesso andamento per più passaggi testuali. Il lavoro sulle sperimentazioni fonetiche acquisisce qualità tattili che vanno oltre la dimensione acustica e si riversano su altri contesti percettivi, modificando, ad esempio, lo spazio (che, prima claustrofobico, a tratti sembra materializzare l’ampiezza di una cattedrale).
Progressivamente i limiti fra i diversi territori drammaturgici e i percorsi di senso si sfilacciano, fino ad andare a comporre un mormorio continuo e delirante, una lingua che è musica, fra paradossi e allitterazioni, onomatopee e colpi di scena. Lo scollamento fra senso della drammaturgia e natura dell’interpretazione è sempre sottolineato, invocato, giocato e rimescolato. Modulazioni di voce che procedono per strappi, esplorazioni intorno al potere della macchina attoriale, un lavoro sulle varietà possibili della phoné sono gli elementi che fanno della performance di Di Mauro un’esperienza – innanzitutto sonora – travolgente, nonostante lo spettacolo sia composto per affondi che rischiano a volte la dispersione e mettano in difficoltà l’attenzione dello spettatore. Certo è, infatti, che il viaggio vorticoso di Di Mauro non si può seguire appieno: si entra e ci si allontana, si sprofonda e poi si esce di nuovo, pena l’intrappolamento nella follia del re – e le volte che accade lo spettacolo è spaventosamente efficace.
Oltre il leitmotiv della scrittura intorno alla pazzia, la drammaturgia di Enrico 4 mantiene e sviluppa un’altra radice del testo pirandelliano. Scritto alla fine del 1921, nel periodo del “teatro nel teatro” e proprio a ridosso di capolavori come i Sei personaggi, Enrico IV è un esperimento magistrale sulle relazioni (e le possibilità di confusione) fra realtà e finzione. Ed è proprio in questo contesto che emerge il lavoro drammaturgico e scenico di Michele Di Mauro – innanzitutto performer, ma a volte anche personaggio, cantante, attore, autore e forse, in qualche momento, se stesso – che è davvero difficile incastonare in limiti o identità, attoriali, drammaturgiche o culturali che siano.
Visto a Estate a Radicondoli
Roberta Ferraresi
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