Lo scorso anno, il primo della nuova direzione artistica di Andrea Nanni, Inequilibrio aveva dimostrato alcune linee che sembravano segnarne il lavoro: una curiosità capace di attraversare i generi e i linguaggi, la scelta di seguire una proposta per gli spettatori più piccini, una precisa vocazione di apertura e incontro con il territorio di Castiglioncello e dintorni.
Per il 2012, il taglio non cambia, e anzi vede accentuarsi alcuni degli elementi che si potevano riconoscere come caratterizzanti fin dalla passata edizione. Ancor più ricca la proposta per bambini e ragazzi, all’interno di un festival che, pur non nascondendo – com’è naturale – una spiccata concentrazione per la danza (in programma alcuni pezzi davvero notevoli), si distingue per una particolare trasversalità che intercetta vari aspetti e opzioni di target; basti pensare che nell’unica serata di sabato 7 luglio, contemporaneamente, si trovavano il teatro-canzone di Scena Verticale, le punte della drammaturgia contemporanea (con il nuovo lavoro di Stefano Massini, Balkan Burger) e della giovane danza (*Plek- di CollettivO CineticO, un pezzo di grande precisione, asciutto e concentrato, che lavora in profondità sul tema della piega); avanguardie ormai consolidate come Kinkaleri e compagnie decisamente emergenti come inQuanto Teatro o i neovincitori del Premio Scenario per Ustica Carullo-Minasi. E ancora più spiccata la volontà di interazione con il territorio, che ha condotto la direzione a proporre alcune nuove suggestive location (come le spiagge bianche di Vada) e a procedere con diversi progetti che mirano a coinvolgere le comunità locali: ormai di casa è l’Accademia sull’arte del gesto di Virgilio Sieni (che, dopo Cinque nonne, per questa edizione lavora con piccole danzatrici e giardinieri del posto).
Allora, viste le direzioni e le ulteriori aperture, più che di linee che si consolidano – di tradizioni e di conferme, di un passato che si sta costruendo – possiamo parlare dell’emersione di alcune spinte progettuali per il futuro. La prima da rinvenire forse proprio nella dimensione dei rapporti fra interno e esterno, fra il cuore del festival che è il Castello Pasquini e i territori che gli si snodano intorno: dal parco immediatamente circostante al paese di Castiglioncello, via via, fino alle spiagge, alle pinete e addirittura alla vicina città di Livorno. Inequilibrio sembra essere un festival che più che mostrare spettacoli o concentrarsi sulla comunità strettamente teatrale (come spesso accade nelle nostre tante vetrine estive), intende sperimentare la creazione di ambienti capaci di accogliere dimensioni innanzitutto umane.
Basti pensare a un’altra linea che ricorre decisiva all’interno della programmazione 2012, sempre nel contesto delle relazioni fra festival e territorio: quella del rapporto uomo/natura, così spesso rimandato o inafferrabile in località che tanto devono a quel regime turistico che a volte le trasforma in centri caotici e chiassosi, sembra venire rivendicata qui con forza dall’arte e dalla cultura. E se già a Castiglioncello si stava bene di per sé – fra i tanti che vantano fascino e amenità, è uno dei festival più suggestivi, con i suoi boschetti mediterranei che digradano verso le spiagge del Tirreno, le cene all’aria aperta, le location di spettacolo qualche volta sorprendenti – quest’anno il clima è ancora più accogliente e la pista più segnata. Dalla straordinaria collocazione di uno dei lavori presentati da inQuanto Teatro, la cui piccola performance Volare via dal mondo è allestita sul limitare della Pineta Marradi, di fronte a Villa Celestina al tramonto. O al vibrante esito del nuovo progetto di Kinkaleri, altra esperienza che sceglie di lavorare site-specific e, sempre sul limitare del crepuscolo, ne trae momenti performativi di grande efficacia, capaci di giocare con la luce naturale che muta e di interagire con l’ambiente circostante. Perché interno e esterno sono destinati a reincontrarsi nelle varie proposte del secondo e ultimo week-end di Inequilibrio 2012, dove i confini fra gli spazi sono trapuntati di aperture e i limiti sono orizzonti porosi, che tendono a mettere in comunicazione più che separare e distinguere.
È chiaro, nei giorni trascorsi a Castiglioncello, che i momenti più preziosi si colgono forse al crepuscolo, quando l’intensità della giornata di mare, piena e abbacinante, cede spazio alle serate tiepide. Un ultimo richiamo, sempre al calar del sole, che si innesta esplicitamente sulla dimensione del rapporto uomo/natura, rivendicandone la sostanzialità, e lavora sul crinale fra spazi pubblici e interiori, si trova nei boschi e i sottoboschi scelti da Virgilio Sieni per l’ultima espressione della sua Accademia sull’arte del gesto, percorso di approfondimento sulla trasmissione del movimento fondato nel 2007 che coinvolge bambini e anziani, persone diversamente abili, giovani danzatori e professionisti. I giardinieri e le fatine è un piccolo pezzo che accompagna gli spettatori nel più folto del parco di Castello Pasquini. Qui li aspettano fruscii e micro-movimenti: figure prima strane, poi riconoscibili in sapienti giardinieri che, col piglio di un Penteo botanico, aprono una strada fra le frasche e mostrano qualche segreto del bosco; i rami nascondono una vita popolata di piccole creature al limite fra infanzia e magia, che intonano piccoli passi di danza e carezzano i limiti del teromorfismo. A un’introduzione di carattere innanzitutto auditivo, che suggella le corrispondenze fra gesto e suono, segue l’immersione in una dimensione soave, dove pavoni e tutù, maschere e bacchette magiche si scolorano in bagliori con il calar della sera. Lo scarto di questi percorsi − qui come altrove nell’ormai consolidata anomala pedagogia del Sieni, che valorizza la quotidianità del gesto e trae dalla fisiologia consueta spunti coreografici di rara bellezza − riprende, appunto, diversi fili che scorrono e si intrecciano nell’esperienza di Inequilibrio 2012. L’affondo irrimediabile nella natura, che è rivendicata anche come habitat primario; il rapporto fra dentro e fuori, fra interiorità e collettività; la discrezione, la sobrietà, l’organicità; il desiderio trasversale di esplorare le innumerevoli funzioni dello strumento teatrale come opportunità culturale e sociale… Il potere, alla fine, di creare uno spazio-tempo altro. Da cui man mano gli spettatori vengono sedotti e addomesticati a una modalità alternativa di vivere − i giorni, le serate, uno spettacolo o un festival… Altri modi di fare (ma soprattutto pensare) teatro.
Roberta Ferraresi