L’autrice Katia Ippaso parla di Doll is mine testo scritto per Cinzia Villari, attrice in scena stasera allo spettacolo presentato al Festival Primavera dei Teatri in prima nazionale. Ispirandosi al Giappone e alla sua letteratura, in particolare a Kawabata e Yoshimoto, Doll is mine diretto dalla regia di Lorenzo Profita è un monologo poetico che attraversa la notte.
Abbiamo incontrato Luigi Saravo e Massimo Fanelli della compagnia Ciac – Centro Internazionale delle Arti Contemporanee. Lo spettacolo Sapore di sale, di cui Saravo è autore e regista mentre Fanelli interprete, racconta la storia di Roberto, giovane materano scappato al Nord per lavorare e sopravvivere alla fame. Poche parole per uno spettacolo che procede attraverso azioni sceniche e canzoni degli Anni ’60.
1.06.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo ESSEDICE di Gipi, messo in scena da I sacchi di sabbia
Recensione a Figlidiunbruttodio – Compagnia Musella Mazzarelli
figlidiunbruttodio - foto di Angelo Maggio
Non c’è posto per tutti nell’Italia di oggi. O meglio: posto ce n’è, ma non se lo pretendi dignitoso o se lo vuoi appagante dal punto di vista professionale. Bisogna svendersi, mettere da parte se stessi, quello che si è; dimenticarsi di una morale, dimenticare di avere una propria vita.
Figlidiunbruttodio è un duplice spaccato reale sulla società in cui viviamo: una società bulimica, malata, riflessa in un mondo dello spettacolo che tende ad inglobare, usare, ingurgitare uomini per poi risputarli fuori annullati, vuoti. Una società che d’altra parte si disinteressa della gente comune, gente che neanche riesce a trovare un lavoro manuale per avere una casa, per mangiare. LinoMusella e Paolo Mazzerelli sono bravissimi autori e interpreti di un testo che gioca sul sottile filo della comicità amara: fanno sorridere i personaggi che mettono in scena, per la loro semplicità e ingenuità; un’ingenuità che nasconde sogni di una vita normale ma che sia dignitosa da una parte, o sogni di gloria dall’altra. Due sono le storie che in Figli di un brutto Dio corrono su uno stesso filo rosso: due coppie di personaggi emblematici del mondo in cui siamo immersi. La prima, ispirata a Uomini e topi di Steinbeck, è molto beckettianamente la vicenda di due emarginati che vivono alla fermata di un autobus cercando di sopravvivere alla fame e sperando che quel bus 160 passi e li porti a ottenere un lavoro promesso, da manovali. L’altra è la storia di Fabri, giovane che cerca la fama televisiva in un reality dal titolo Figlidiunbruttodio, affidandosi a un produttore che rispecchia tutto il cinismo di chi pensa al denaro sfruttando le speranze e le tragedie altrui. Se all’inizio si ride di fronte alle emozioni incontrollabili e alle espressioni di gioia del giovane ragazzo una volta accettato per entrare a far parte dello show televisivo, si rabbrividisce all’idea che sia disposto a rinunciare alla propria identità ed eseguire qualsiasi ordine del produttore pur di diventare famoso. E si rimane attoniti quando addirittura in ballo entrano la vita e la morte: si è disposti anche ad uccidere – e non il primo sconosciuto che passa – pur di avere tre mesi di gloria. Figlidiunbruttodio è un crescendo di colpi di scena che porta all’estremo situazioni che, purtroppo, non si allontanano neanche di molto da una società che si è dimenticata dell’Uomo e che ne sfrutta debolezze, sogni e speranze; vite.
Il giovanissimo napoletano Mimmo Borrelli, vincitore di premi importanti tra cui Eti per il miglior spettacolo di innovazione, Tondelli 2007 e Riccione 2005 per la drammaturgia, presenta S.E.P.S.A. Spettatori alle esequie di passeggeri senz’anima che vede in scena, oltre lo stesso autore, Dario Barbato, Floriana Cangiano, Gennaro Di Colandrea, Roberta Misticone e Michele Schiano di Cola. Uno spettacolo che parla di morte attraverso due storie tragiche ma allo stesso tempo di innocente bellezza. Le musiche a cura di Placido Frisone sono in scena.
Abbiamo incontrato Paolo Mazzarelli, autore e interprete insieme a Lino Musella di Figlidiunbruttodio, uno spettacolo scritto a quattro mani che racconta l’Italia del 2010 attraverso due storie: una coppia di emarginati da un lato e la vicenda di un ragazzo che cerca il successo con un reality affidandosi a un produttore.
Abbiamo intervistato il regista Fabrizio Parenti della compagnia Quellicherestano: a Primavera dei Teatri presentano in prima nazionale Variazioni sul modello di Kraepelin, testo scritto da Davide Carnevali e vincitore del Premio Riccione “Marisa Fabbri” 2009. Dopo alcune informazioni riguardanti la compagnia, Parenti parla dello spettacolo che si ispira al dramma di un uomo malato di Alzheimer e immerge tutti i personaggi in una atmosfera beckettiana e di infinite variazioni pinteriane.
Recensione a La Metamorfosi – Seconda Mutazione – Città di Ebla
La Metamorfosi - Città di Ebla
L’antefatto kafkiano è noto: Gregor Samsa scopre di aver subito una metamorfosi, ritrovandosi ad assumere le sembianze di uno scarafaggio. Uno dei testi più celebri dello scrittore di Praga, nonché uno di quei capolavori immaginifici e concettuali difficili da pensare in una trasposizione teatrale, è stato affrontato con temerarietà e forza visionaria da Città di Ebla. La Metamorfosi – Seconda Mutazione è un lavoro essenziale, esteticamente ineccepibile e sonoricamente coinvolgente, che non si limita a tradurre in immagini l’omonimo racconto di Franz Kafka al quale si ispira, ma, al contrario, lo vive nella sua forza più vitale in scena, aprendo a nuovi, possibili significati.
Ideato e diretto da Claudio Angelini – curatore, anche, di un’illuminazione di grande effetto e accuratamente studiata –, lo spettacolo diviene pulsante grazie all’incredibile performer Alessandro Bedosti: un corpo puro, totalmente presente e protagonista, vibrante, potente, in grado di comunicare, con una coreografia corporea poetica e credibile, la metamorfosi subita da Samsa.
Rinchiusosi in bagno per fuggire all’assillo di una segreteria telefonica sintomatica di una vita alto-borghese fatta di rapporti formali, doveri professionali e obblighi famigliari, la sua metamorfosi assume i tratti di una rinascita. Fuggendo alla propria immagine riflessa nello specchio, è nella vasca che il protagonista trova rifugio per poi uscire dall’acqua cambiato. Un’acqua che comincia a trasudare dalle pareti stesse della stanza perfettamente ricostruita in scena: una sorta di liquido amniotico che, avvolgendolo sempre più, lo accompagna nel difficile e sofferto processo di trasformazione. Ma quando la metamorfosi è giunta a compimento, il bagno-box che lo ha protetto ma anche chiuso per tutto il tempo diviene claustrofobico, opprimente, stretto: l’insetto può e deve venire completamente alla luce. Può così abbracciare la nuova forma che ha assunto – non scelto, ma nemmeno subito – nell’immagine ingigantita e scultorea di un insetto, mentre la parete-vetrina della stanza da bagno si tinge di un liquido coagulato che staglia un’ombra sinistra sul finale di quello che sembrava essere un processo non solo di trasformazione ma anche di liberazione. Una conclusione criptica, dalle molteplici possibilità interpretative, chiude un lavoro sicuramente complesso ma che probabilmente non chiede di essere capito – e quindi interpretato – ma semplicemente sperimentato, sentito, percepito. Perché va a sondare negli anfratti più oscuri dell’essere umano e della sua disumanizzazione, nel senso di divenire – o tornare a essere – animale, pura energia corporea, pulsazioni vitali: essere vivente. La vera larva è quella dell’inizio, l’uomo in giacca e cravatta, in poltrona, tediato dalla routine; un corpo sgonfio, vuoto, oppresso: forse il vero “mostro” della storia, nel quale si è trasformato lentamente, senza potersene rendere conto, per poi esplodere in una seconda mutazione.