Recensione a Gesuino – Simone Nebbia
Viviamo in tempi difficili. E questo si sa. Ma soprattutto ce lo diciamo da anni, forse da sempre. La lotta per un mondo più giusto non ha mai fine, non può trovare una soluzione conclusiva in una realtà che cambia e muta sempre più velocemente. Gli scenari non solo si modificano, ma trasmutano gli uni negli altri, ibridandosi senza mai congelarsi in un’immagine precisa. «La rivoluzione è permanente» — lo dicevano lo stesso Marx e Engels, e ancor prima di loro Trockij — non come millantano i contestatori di questi tempi che per darsi un’importanza e un tono si rifanno alle care vecchie rivoluzioni, “quelle che hanno cambiato la storia”. Definire una buona prassi rivoluzionaria costituisce forse un paradosso storico degno di riflessione. Simone Nebbia con il suo Gesuino porta sul palco questo scenario confuso, parte — purtroppo — di una generazione che la rivolta se la deve reinventare, ritagliandola tra gli attuali mezzi di comunicazione e le nuove strategie di strumentalizzazione delle masse, di qualunque estrazione sociale esse siano. Il palcoscenico si trasforma in un uno spazio apparentemente fuori dal tempo, complici le note della chitarra di Marco Lima e i testi dei brani cantati dallo stesso Nebbia. La storia di Gesuino è una storia che nasce dalla povertà, dalla mancanza di strumenti per sopravvivere in un mondo che non si sofferma ad osservare chi veramente non possiede nulla, se non ricordi attorno ai quali non si possono costruire pareti. Eppure Gesuino ama: ama camminare, ama gli oggetti che lo riconducono alla sua infanzia, soprattutto la musica. Una musica che è assenza di note nelle sue memorie, che è una statuina di un carillon rimasto senza involucro. Libero come quell’oggetto, Gesuino cammina, cammina, cammina sino a raggiungere un mondo fantastico, fatto di uomini con la testa di insetto e un castello di boriosi personaggi, raccolti attorno ad un re e ad una regina che ricordano i nostri più cari politici. Sì, proprio quelli che grazie a giornali e televisioni vogliono “starci vicini” anche se lontani dai nostri bisogni. Un mondo troppo reale, più reale di quello in cui viviamo. Ed è qui che Gesuino diviene parte della rivoluzione. Ma quale rivoluzione? Quella delle masse, il cui disordine presuppone comunque un personaggio che la controlli? O forse quella degli umili, che aspettano il momento più opportuno per far esplodere la rivolta? Gesuino cammina pazientemente, raggiunge l’Amore, dimensione fondamentale per guardare alla vita dalla giusta prospettiva. Ed è la sua pausa, sulle rive di un lago che sembra un mare, dialogando con quella stessa statuina che gli teneva compagnia nella sua solitudine, che gli consente di osservare con distacco i fatti che si snodano di fronte a lui, costellati di sangue e prevaricazioni. La storia di Gesuino non si conclude con una rivolta vinta, ma con un nuovo inizio. Perché la rivoluzione «ti scoppia in faccia», improvvisamente.
Simone Nebbia solo apparentemente si spoglia dai suoi panni di critico teatrale per portare sulla scena la sua voce, divisa tra la narrazione e la canzone: una voce di protesta, un atto politico estremo che guarda al presente con straordinaria lucidità, lasciando lo spettatore in una sospensione, in attesa che tutti i televisori si spengano liberandoci da ipocrite e false parole.
Visto a Estate a Radicondoli
Giulia Tirelli