È stato presentato in anteprima romana lo scorso gennaio al Valle Occupato. Ha toccato Andria e Messina. A marzo sarà in Toscana prima di arrivare in Veneto, in chiusura del tour primaverile. Vincitore del 51esimo Premio Riccione, il nuovo lavoro del Teatro Minimo, scritto da Michele Santeramo, «è un testo vivo, è un testo teatrale, che non rinuncia mai all’efficacia scenica di quello che rappresenta», come si legge nelle motivazioni della Giuria, composta da Umberto Orsini, Sonia Bergamasco, Elio De Capitani, Alessandro Gassmann, Fabrizio Gifuni, Claudio Longhi, Fausto Paravidino e Isabella Ragonese. Il Guaritore, coprodotto dal Teatro Minimo e dalla Fondazione Pontedera Teatro, Stabile d’Innovazione, che investe sulle drammaturgie contemporanee – ricordiamo, oltre alla compagnia pugliese anche Carrozzeria Orfeo – è diretto da Enzo Muscato, che ha precedentemente firmato La Rivincita (leggi qui la recensione). Una sinergia, quella tra Michele Santeramo e Leo Muscato, che si rafforza, come sottolineato dall’autore: «la condivisione del lavoro permette un metodo di approfondimento e di discussione comune, sempre nel rispetto profondo dei ruoli». E sono drammaturgo e regista insieme a raccontarci il passaggio dalla carta al palco di un non meglio precisato guaritore, né santone né mago, uno che più che curare le persone, cura le storie.
Invecchiato, ingobbito, barbuto e occhialuto, una vestaglia logora a nascondere il corpo e una flebo a nutrire le vene, l’attore pugliese tiene le redini stesse dello spettacolo, ben supportato dagli altri attori (Vittorio Continelli, Simonetta Damato, Gianluca delle Fontane, Paola Fresa), ma la sua è una presenza sempre carismatica, forte quanto calibrata, come già si era rivelata in precedenti lavori. Cosa comporta, dunque, avere Sinisi in scena? Significa trasformare il figlio nel fratello, assottigliare la differenza d’età, ma anche perdere quel carattere di ereditarietà che il ‘mestiere’ del guaritore evoca. Quel passaggio di consegne, quell’insegnamento non scritto, quel sapere tramandato non più di padre in figlio, ma di fratello in fratello.
«Abbiamo voluto salvare il concetto di ereditarietà – continua Santeramo – con il conflitto tra i due fratelli. Se nel testo il figlio voleva imparare ciò che il padre non voleva concedergli, nella messa in scena il fratello minore crede che il maggiore abbia usurpato l’eredità, se ne sia appropriato indebitamente; il maggiore, invece, sminuisce il minore non attribuendogli nessun talento. Dal personaggio della madre, che non si vede ma c’è, discende il conflitto tra i due fratelli». E per una figura femminile che si aggiunge ce n’è un’altra che invece scompare, come dichiara Muscato: «c’era, nel testo, una dinamica legata al rapporto del guaritore con la moglie, morta per dare alla luce il figlio. Un conflitto generazionale padre/figlio che diviene, sul palco, scontro tra l’effeminatezza del minore e i modi brutali del guaritore, e costrizione a vivere sotto lo stesso tetto».
Tetto che non equivale, però, a casa. Se nella drammaturgia si descrive «un luogo dove si lavora agli abiti, una specie di sartoria», sul palco abbiamo trovato qualcosa di differente, uno spazio quasi onirico, perché questa pièce oscilla tra sogno e realtà.
«Quello che avrebbe dovuto essere una sartoria – dice Muscato – diviene un altrove abitato da una panchina assurda, lunga, assolutamente antinaturalistica, uno spazio vuoto con gli ex voto che guardano dall’alto. È un ambiente più poetico, un luogo dove è possibile far accadere qualunque cosa». Concorda con il passaggio di registro, dal drammatico al tragico, il cambio di ambientazione. Si passa da un ambiente più naturalistico, che può rimandare a un appartamento, con tre porte che alludono a tre stanze per gli ‘ospiti’, a uno più astratto, con un’unica uscita, nascosta da un tendaggio, che allude, invece, a uno spazio altro, che non ci è dato vedere. Se l’azione, si svolge tutta in orizzontale, a sottolineare un’immobilità, l’affaccio verso un ‘altrove’ sottolinea la possibilità di cambiamento. Perché un passaggio di consegne, alla fine, si riesce a intravedere.
Resta, in questo lavoro del Teatro Minimo, quella ruvidezza che già avevamo trovato ne La Rivincita. Ma stavolta l’atmosfera è irreale, pur nella tangibilità delle storie e nella precarietà delle vite, tra una maternità rifiutata e una agognata come «antidoto alla solitudine», tra rapporti famigliari intricati e legami sentimentali sfrangiati, tra verità taciute e dolori masticati. C’è una leggerezza greve, che rimarca le incertezze dell’oggi. C’è un «mondo liquido», come descritto dalla Giuria del Premio Riccione, «dove gli esseri umani – con tutti i loro difetti – non smettono mai di aggrapparsi alla speranza che sia il confronto con un altro essere umano a salvarli».
Segnaliamo, a chi volesse spiare l’altrove del Teatro Minimo, a quanti volessero ricevere le cure del guaritore, le prossime date: il 27 marzo al Teatro degli Unanimi di Arcidosso (Grosseto), il 28 marzo al Teatro dei Coraggiosi di Pomarance e il 29 marzo al Teatro Era di Pontedera, per un doppio appuntamento teatrale: alle 19, in piazza Trieste, si terrà il secondo appuntamento di Extra Pontem, un progetto del Comune di Pontedera e della Fondazione Pontedera curato dalla giovane regista danese Anna Stigsgaard, la lettura di un racconto di Michele Santeramo, che si ispira al quartiere di Fuori del Ponte, un aperitivo itinerante e la replica de Il Guaritore. Questo breve tour si chiude con le date al Teatro Verdi di Padova, martedì 1 e mercoledì 2 aprile.
Rossella Porcheddu