intervista dario de luca

Tutorial: organizzare un festival

TUTORIAL: come si fanno le “cose” del teatro? Ce lo facciamo raccontare dalle persone che il teatro lo costruiscono o lo immaginano. In maniera veloce, come i trucchi del mestiere, come i consigli degli esperti.

Questa prima uscita, come il tema del trimestre, è dedicata ai “Festival”. Abbiamo chiesto proprio ai direttori artistici e ai curatori, quali siano le 3 cose assolutamente da fare e le 3 da evitare per creare un festival, per cercare di restituire la varietà di approccio che anima il paesaggio teatrale italiano.

 

BARBARA BONINSEGNA
Drodesera / Centrale Fies
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DA FARE DA NON FARE
Aprire gli occhi sul presente, non solo artistico, non solo politico, non solo iconografico. Adagiarsi sul consolidato
Mettersi in relazione col luogo in cui vivi mantenendo alta la proposta artistica senza mai cedere a compromessi rispetto alla facilità di comprensione, ma piuttosto lavorando col e sul pubblico locale. Spendere soldi che non hai
Mantenere l’indipendenza. Intesa come capacità di muoversi liberamente dal punto di vista filosofico, teorico, pratico e politico senza essere mai preda di qualcuno. Non copiare i festival degli altri (:D)
LUCA RICCI
Kilowatt Festival
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DA FARE DA NON FARE
Costruire un rapporto corretto con gli artisti – Qualunque siano le condizioni economiche dalle quali si parte, gli accordi con gli artisti devono essere chiari, rispettosi del loro sforzo creativo e della loro condizione di lavoratori. Si può anche partire con pochissimo (a noi è capitato così, avevamo 2.500 euro per l’edizione 2003, il primo anno) e chiedere agli artisti di investire in un progetto, ma poi è fondamentale ricordarsi di quegli stessi artisti, una volta che il festival è cresciuto. Meno sono le economie a disposizione e più gli artisti devono conoscere i dettagli del budget, di modo da essere in condizione di poter scegliere se partecipare o meno. Scambiare la propria gratificazione con un bisogno diffuso – Se un festival non è costruito intorno a una precisa analisi delle caratteristiche e ai bisogni della comunità di riferimento, non diventa realmente necessario, ma soltanto autorefenziale. Quando parlo di comunità di riferimento lo dico in senso largo: la comunità di riferimento è al tempo stesso quella locale (coi politici, i cittadini), così come quella delle aree limitrofe o degli appassionati del settore, ma anche quella dei colleghi, a livello nazionale.
Costruire un progetto e non una lista di spettacoli – È fondamentale vedere tanti spettacoli dal vivo e tanto materiale video, perché la conoscenza del panorama è un pre-requisito imprescindibile, ma bisogna anche coltivare una visione in base alla quale la sequenza degli spettacoli scelti non corrisponda a un semplice elenco di titoli, ma sia orientata a un obiettivo ultimo, definisca un progetto, disegni una visione. Copiare gli altri – Se una cosa c’è già, non ha senso rifarla; quel che conta è costruire un progetto creativo intorno a una propria idea originale. Abbiamo bisogno di esplorare ciò che è ignoto piuttosto che di piccoli cabotaggi verso mete già conosciute.
Saper dire no – Come in molte cose della vita dire sì a tutti è facile, ma sono i no che fanno la differenza. Anche nei confronti degli artisti che si stimano non serve essere compiacenti: non aiuta il loro processo creativo e men che meno aiuta il rafforzamento del progetto di festival. Farlo per forza – Se non ci sono le condizioni minime, meglio desistere.
SALVATORE TRAMACERE
Il Teatro dei Luoghi Fest
KOREJA
DA FARE DA NON FARE
È importante la chiarezza del progetto artistico proposto e della coerenza del piano di comunicazione: programmare per tempo e utilizzare tutti gli strumenti utili ad un’adeguata promozione. Non disorientare il pubblico, le compagnie e gli ospiti; non trascurare l’accoglienza: precisione, puntualità e disponibilità.
Far convivere una realtà che valorizzi il territorio (non solo tramite la programmazione ma anche attraverso il coinvolgimento attivo di pubblico e realtà locali, associazioni, collaboratori, ristorazione ecc.) per far sì che si crei un senso forte di aggregazione e comunità. Non chiudersi nel provincialismo.
È importante la coesione del gruppo e della comunicazione interna: riunioni interne e di micro-area; divisione dei compiti ma prontezza di spirito e adattabilità a qualsiasi situazione attraverso un’adeguata capacità di problem solving. Evitare malumori nel gruppo e situazioni d’emergenza.
DARIO DE LUCA
Primavera dei Teatri / Progetto MORE
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DA FARE DA NON FARE
Dare una specificità al proprio festival e perseguirla in maniera rigorosa, aliena da concessioni o compromessi. Un festival con una peculiarità ha carattere, personalità e lo rende riconoscibile. Poi, nel tempo, può, e deve, cambiare, evolversi, invecchiare bene insomma, ma facendo un cambio-pelle naturale e fisiologico. Non dare una personalità al proprio festival.
Accogliere tutti (spettatori, compagnie, operatori e critici) con affabilità. Nessuno deve sentirsi a disagio. È come invitare al proprio matrimonio: dove devono convivere ospiti che non si conoscono tra loro o peggio che non possono vedersi. Non abbandonare nessuno. Non far sentire solo o poco considerato l’ospite. Li hai invitati a una festa a casa tua? Ebbene quella festa devono ricordarsela. Un buon gioco di squadra è essenziale per questo punto. Essere disattento o addirittura assente con l’ospite, sia esso spettatore, artista, operatore o critico.
Gli spettacoli e i gruppi o gli artisti singoli devono realmente convincere la direzione artistica. Costruire l’edizione artistica del festival seguendo le reali convinzioni estetiche e il proprio gusto personale tenendo conto della koinè culturale nel quale si inserisce il progetto prescelto. Non trasformare la programmazione in un contenitore di proposte inserite perché: “bisogna tener conto degli artisti del territorio”, “a quelli dobbiamo un piacere”, “quell’artista va per la maggiore”, “tal dei tali ci ha chiesto di prenderli” etc. etc.  Solo così non sarai mai ricattabile e potrai difendere sempre e a spada tratta le scelte fatte. Costruire un progetto nel quale non ci si riconosce ma che tiene conto di “altre dinamiche”.
Avere una squadra tecnica in grado di risolvere tutti i problemi che possono verificarsi durante il festival. Un festival di teatro è fatto per presentare dei lavori teatrali (spesso in prima visione per cui con la fragilità e delicatezza delle piantine appena spuntate) e questi hanno la massima priorità. Una squadra tecnica accogliente, che sappia mettere a proprio agio gli artisti, sia a disposizione e all’occorrenza sappia consigliare per rendere più efficace quello spettacolo in quel determinato spazio teatrale. Che la cortesia, la disponibilità, la professionalità e il comune intento di resa massima della performance non si tramuti o venga presa per genuflessione acritica nei confronti dell’artista demiurgo dell’opera. Lasciare gli artisti soli senza alcun aiuto e/o supporto emotivo.

 

ANGELA FUMAROLA e FABIO MASI
Armunia / Inequilibrio
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1. ANGELA FUMAROLA
DA FARE DA NON FARE
Dedicare tempo alle scelte artistiche, ponderando bene il bilanciamento delle serata, al fine di rendere ogni giorno un’esperienza unica. Omologarsi.
Puntare al senso di ogni spettacolo e alla sua capacità di interagire con lo spazio emotivo, rigenerandolo. Avere ansia e fretta.
Dare valore all’accoglienza, intesa come ritualità, per il pubblico, per gli artisti e per il gruppo di lavoro. Non riconoscere il contesto di riferimento nel quale si svolge il festival.
2. FABIO MASI
Creare le migliori condizioni per accompagnare la versatilità delle varie proposte artistiche in modo da avere un maggior spettro di proposte, senza l’esigenza di una tematica o filone da seguire. Essere meno vetrina e più processi creativi.
Realizzare un ambiente e un “clima” accogliente e facilitatore di intrecci e confronti. Non creare l’ansia di “correre” a vedere gli spettacoli.
Fare di un festival il luogo e lo spazio dell’ampliamento degli orizzonti artistici e culturali grazie ad altre iniziative non direttamente connesse alla programmazione vera e propria.

 

FABRIZIO ARCURI
Short Theatre
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DA FARE DA NON FARE
Evolversi dai propri gusti. Dare priorità ai propri gusti.
Costruire un contenitore in grado di comunicare con la società. Costruire qualcosa a propria immagine e somiglianza.
Essere curiosi di quello che non si conosce, del nuovo. Essere spaventati dal nuovo.

 

CARLO MANGOLINI
Operaestate Festival Veneto
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DA FARE DA NON FARE
LA PAROLA CHIAVE E’ CONDIVISIONE  LA PAROLA CHIAVE E’ CHIUSURA
ARTISTI / Per costruire i contenuti artistici è indispensabile mettersi in ascolto. Intercettare tutto quello che accade attorno a noi. Costruire un percorso riconoscibile. Comunicare con gli artisti, ascoltarli, interpretarli, capire le loro potenzialità. MAI ESSERE AUTOREFERENZIALI / Evitare di ripetere se stessi.
STAFF / Per rendere efficace il risultato è fondamentale poter contare su un gruppo di persone con le quali condividere idee, pensieri ma anche fatica, sudore e tanto tempo da dedicare al progetto. MAI ESSERE PRESUNTUOSI / Non essere sicuri mai di niente.
PUBBLICO / Per intercettare il pubblico è necessario conoscerlo e farsi conoscere. Spiegare percorsi e direzioni di lavoro, trovare modalità di coinvolgimenti, creare momenti di approfondimento. MAI ESSERE ASSENTI / Prendersi cura di tutti: artisti, staff, pubblico, ma anche stampa, operatori e chiunque entra il relazione col festival .
SILVIA BOTTIROLI
Santarcangelo Festival
santarcangelo
DA FARE DA NON FARE
Viaggiare, frequentare ciò che non si conosce. Fare esperienza della scomodità, del senso di straniamento, del non capire, della stanchezza, del voler tornare a casa, e insieme dell’eccitazione, della curiosità, del puro piacere del viaggio. Porsi nella condizione di non sapere e farla durare, condividendola con il gruppo di lavoro e con gli artisti, perché questa vibrazione di incertezza e desiderio si trasmetta poi anche agli spettatori e ai passanti. Non costruire recinti, non tracciare sentieri nel bosco, non trasformare i sentieri in grandi strade asfaltate. Non addomesticare, non addomesticarsi: se si vogliono fare, e condividere con altri, incontri straordinari, bisogna avventurarsi in luoghi sconosciuti e pericolosi, non si troverà mai una balena in una vaschetta per pesci rossi.
Fidarsi. Del caso, della generosità delle persone con cui si lavora, dell’intuito degli artisti, della curiosità esigente del pubblico. Del tempo, degli incontri, del fatto che alla fine tutto è connesso e ogni dettaglio contiene l’intero. Fidarsi, soprattutto, di sé e del proprio istinto. Non accontentarsi. È necessario essere esigenti con gli artisti, perché in un confronto serrato possano far crescere la loro libertà, e con le istituzioni, i partner e gli spettatori, perché possano andare dove da soli non andrebbero, dove non sanno di potere o voler andare. E naturalmente essere esigenti con se stessi, essere scontenti, insicuri, ambiziosi, rigorosissimi.
Darsi delle priorità. Non si riesce a fare tutto, e non si può rispondere a tutte le aspettative che sono poste su di un festival. La vera responsabilità è allora quella di fare delle scelte, di darsi delle priorità e un ordine, da seguire sia nel tempo lungo degli anni in cui si imprime una traiettoria a un’istituzione artistica, sia nel tempo brevissimo delle singole giornate di lavoro. E che le priorità cambino, si sa, è una regola del gioco: rende tutto più difficile ma anche più entusiasmante. Non tentare di compiacere nessuno. Si lavora per l’arte e per niente e nessun altro che l’arte. Non per sé, non per certi artisti, non per le istituzioni o i network professionali, non per il pubblico. E alchemicamente, se si respinge la tentazione del compiacimento e della ricerca di approvazione, grandi cose possono accadere per tutti, anche per chi avrebbe voluto essere rassicurato nella sua visione del mondo e invece ne scopre altre nuove.
EDOARDO DONATINI
Contemporanea Festival
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DA FARE DA NON FARE
È fondamentale che un festival sia aggregatore di un’idea di cultura in continuo movimento, un luogo reagente che raccoglie percorsi artistici provenienti da diverse discipline, un connettore di relazioni in cui la trasversalità dei linguaggi caratterizza in maniera consistente la ricerca compositiva e le metodologie della visione. Non fermarsi all’idea dei grandi eventi che non favorisce la costruzione di una comunità capace di difendere le proprie conquiste, passo dopo passo, acquisizione dopo acquisizione.
Considerare lo spettatore come committente in rappresentanza della sua comunità di riferimento; ed è qui che la creazione ristabilisce il giusto spazio d’incontro tra l’agire della scena e il fruire dello spettatore. In questo senso acquista ancora più valore l’attitudine del festival a costruire ambienti complessi, da cui scaturiscono questioni, elementi attivi che innescano continuamente nuove criticità. Considerare lo spettatore come un soggetto “acritico”, un cliente che non è in grado di giudicare e valutare. Evitare il facile consenso che si ottiene dalla proposta di spettacoli che richiamano solo alla pratica dell’intrattenimento o del semplice accompagnamento.
Assumere la responsabilità delle scelte e delle questioni messe in atto, domande che possono creare disorientamenti, che obbligano il pubblico al confronto con prospettive non sempre immediatamente comprensibili, ma forse, facilmente percepibili. La funzione di un festival non può limitarsi alla sola ricerca del nuovo o al mero elenco degli spettacoli in programma.

Non si può fermare “Primavera”! Intervista a Dario De Luca di Scena Verticale

La Primavera è tornata. Anche in Calabria, dove per un anno era stata rimandata al periodo autunnale; un rinvio insolito, ma che in ogni caso ha portato i suoi frutti, o, meglio, i suoi fiori. Non stiamo parlando delle stagioni meteorologiche, ma del Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari diretto da Scena Verticale. Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Severo portano avanti ormai da 14 anni un lavoro incredibile in un territorio difficile, ma apertissimo ad accogliere il teatro contemporaneo. In una chiacchierata telefonica con Dario De Luca, co-direttore artistico, abbiamo provato a fare un bilancio della puntata novembrina del Festival e chiesto delle anticipazioni sulla nuova edizione…

Primaveradeiteatri2012La tredicesima edizione di Primavera dei Teatri si è tenuta dall’1 al 4 novembre: rispetto alle altre edizioni è stata, come anche è puntualizzato dal titolo, “una primavera tardiva”, a causa dei ritardi burocratici. Come è andata?
Abbiamo avuto davvero una “bomba di primavera” esplosa in autunno: mercoledì sera (31 ottobre, ndr) pioveva a dirotto, lunedì 5 ha ricominciato a piovere a dirotto, e invece dall’1 al 4 novembre è stato un miracolo, 20-24 gradi di mattina, la sera si stava all’aperto. Quindi veramente un pezzo di primavera fuori stagione, da questo punto di vista, meteorologicamente parlando, la fioritura tardiva è stata vera. Per quanto riguarda tutto il contesto politico della questione, mi auguro che il messaggio sia arrivato chiaro anche alle istituzioni: non si può credere di sostenere dei progetti o delle manifestazioni, per il semplice fatto che si danno dei soldi; ci vuole un’attenzione di fondo e, se esistono dei tempi, quei tempi vanno rispettati. Se per un qualsiasi motivo – che può essere un ritardo burocratico o quella che possiamo chiamare “sciatteria politica” – salta l’uscita di un bando e le cose slittano, si creano dei grossi problemi che rischiano di far saltare tutta l’organizzazione di un anno e il lavoro di svariate persone. Avendo vinto il bando in agosto, dovevamo fare per forza il festival entro la fine dell’anno, eravamo obbligati: non potevamo utilizzare le economie a disposizione come capitaletto da portare in eredità all’edizione 2013.
Nonostante tutto, possiamo dire che sia andata benissimo. Abbiamo anche scelto un giusto periodo, ossia il “ponte dei morti”: sia come data emblematica, che raccontasse un po’ il piccolo funerale del festival, uno dei piccoli-grandi funerali alla cultura italiana; ma era anche una scelta strategica, per facilitare l’arrivo a Castrovillari di operatori e pubblico, permettendo loro di ritagliarsi questi 4 giorni per il festival. Questa cosa ha funzionato: Castrovillari è stata una meta turistica e culturale fuori stagione, a novembre. Stiamo ricostruendo i dati del movimento che abbiamo creato – tra B&B e ristoranti che hanno lavorato –, per capire quante persone siano state ospiti; la cifra che sta venendo fuori è incredibile. Per l’ennesima volta si conferma la nostra vocazione di operatori culturali che pensano anche al territorio, non solo rispetto al festival, teatralmente parlando, ma anche rispetto alle opportunità turistiche.
Ha funzionato benissimo anche il baby parking. È un’idea che abbiamo portato avanti con ostinazione e, alla lunga, ha dato i suoi frutti. Innanzitutto, la popolazione castrovillarese ha acquisito la presenza, al festival, di un baby parking; inoltre ho visto arrivare gente da Cosenza e Catanzaro, persone che si sono fatte 2 o 3 giorni sul Pollino e la sera venivano agli spettacoli lasciando i figli al baby parking. È stata una bellissima vittoria, dal punto di vista della costruzione del festival.

Quindi, a questa “fioritura tardiva”, c’è stata una grande risposta di pubblico…
C’è stata una risposta incredibile. Tutti gli spettacoli erano esauriti già dal giorno prima della data prevista – anche con nostro grande imbarazzo nei riguardi delle persone che venivano da Cosenza o Catanzaro. Una risposta di pubblico emozionante, che ci ha fatto rendere conto di quanto sia cresciuto il festival, di quanta attenzione ci sia e di quanto il pubblico si fidi delle nostre proposte.

Cosa non scontata…
Esatto. E, ancora di più che in passato, in questa edizione c’erano dei nomi di compagnie, di attori e di autori abbastanza sconosciuti: faccio l’esempio di Esiba Teatro, compagnia giovanissima di Enna, che ha registrato il tutto esaurito. Vorrei sottolineare come Maria Grazia Gregori, sul quotidiano l’Unità, parlando di questa edizione “politica” di Primavera, abbia scritto un bellissimo pezzo su di loro, sui più giovani e i più sconosciuti.
Quindi, da parte del pubblico, c’è stata una grande fiducia per le scelte proposte: nonostante la maggior parte delle volte le persone non sapessero chi fossero le compagnie, sono venute a vederle; si sono lasciate incuriosire, per avere il piacere di scoprire delle nuove cose. D’altra parte c’è stata grande apertura, disponibilità e fiducia anche da parte dei critici, che hanno visto le cose più piccole e non conosciute. Non è sempre così scontato.

Dario De Luca - foto di Carlo Maradei

Dario De Luca – foto di Carlo Maradei

E poi c’è da dire che il programma era impegnativo: 12 spettacoli in 4 giorni…
…Oltre alla presentazione di libri e alla cerimonia di assegnazione dei premi dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro, c’è stato il fuori programma del mio spettacolo di mattina… Abbiamo messo pubblico e critici a dura prova, ma hanno “resistito”, anche con una certa leggerezza.
Abbiamo provato comunque a creare un equilibrio tra visione di spettacoli e relax mentale, perché stare dietro a più performance al giorno è difficoltoso e affannoso; abbiamo così inserito, ad esempio, il quarto spettacolo della stessa giornata, in una soluzione più leggera, magari al castello, all’aperto, di mattina… Questo dà la possibilità di vivere più serenamente i lavori artistici, di tenerli distanti nello sguardo e nella memoria, per farli un po’ sedimentare prima di lanciarsi in riflessioni; ed è poi anche un modo per vivere il festival in relax.
Devo dire che c’è stato anche un bel divertimento. Penso al dopo-festival. Quest’anno vorrei fare un lavoro nei vicoletti di Castrovillari e aprire delle situazioni off musicali, una sorta di piccoli salotti popolari… Nell’ultima edizione, l’abbiamo fatto in centro storico, alla Sartoria, un posto creato da amici di vecchia data; era un luogo dove si poteva bere, a sentire musica, ad assaggiare prelibatezze di stagione. Inoltre, ogni sera, si creava una sorta di rassegna stampa internazionale (utilizzando El Pais, il New York Times..), in cui si commentavano scherzosamente le cose che succedevano al festival; era un’idea carina, ma soprattutto simpatica e intelligente… e si sono messi in gioco anche i critici, facendosi fotografare e cercando di accaparrarsi le prime pagine dei “giornali” della sera dopo!

dopofestival

dopofestival

Quando avete deciso di fare il dopofestival alla Sartoria?
A settembre, quando abbiamo passato un po’ di serate in questo luogo appena aperto, sotto casa di Beppe Gallo e Francesco Bartolini, nostri cari amici; stare nel centro storico all’aperto, a fine estate, in compagnia a bere del vino, aveva funzionato e così ci siamo detti: proviamo a fare un dopo-festival.
In pratica se lo sono organizzati loro: noi non avevamo le economie per sostenere il dopo-festival, così abbiamo dato loro un tot di abbonamenti e li hanno venduti; con quei soldi hanno fatto una cassa per la spesa, per l’installazione, per organizzare la rassegna stampa… Ci siamo ritrovati con del pubblico in più, individuato da loro – persone diverse da quelle che di solito frequentano il festival –, e si sono auto-finanziati!

Un altro bell’esempio di finanziamento dal basso!
Sì, così come abbiamo fatto con i giovani critici! C’è stata infatti una quantità di richieste di presenza che non ci aspettavamo. Ci ha fatto enormemente piacere, ma ci metteva un po’ a disagio rispetto alle possibilità economiche che non avevamo. Così abbiamo lanciato su facebook, esclusivamente in ambito castrovillarese, lo slogan “adotta un giovane critico”: abbiamo chiesto agli amici di Scena Verticale e del festival se avessero la possibilità di ospitare i critici durante i 4 giorni del festival. Abbiamo piazzato 6 persone in case private, giovani critici che hanno dato la loro disponibilità. Abbiamo così tamponato le spese di soggiorno, che non saremmo riusciti a sostenere: un’altra bellissima sorpresa e un altro modo di aiutare il festival.

Ogni edizione, il festival Primavera dei Teatri organizza un workshop e quest’anno lo ha affidato a una delle più note operatrici teatrali italiane, Debora Pietrobono. Come è andato il laboratorio, intitolato “L’operatore teatrale: gli strumenti del mestiere”?
Benissimo. Tieni sempre presente che sei in un territorio dove certe figure come l’operatore teatrale o culturale è ancora una forma ibrida, non ha ancora riconoscibilità né una collocazione ben precisa… E quindi non pensavo che avremmo avuto 30 richieste, fra iscritti e uditori che volevano seguire! È stata una bella esperienza, le persone che l’hanno seguito erano molto contente. Debora Pietrobono ha fatto i conti con una classe molto eterogenea, in cui persone giovanissime, appena entrate nel mondo universitario, si affiancavano a persone con esperienza, molto più grandi di età, con una voglia di rimettersi in gioco in maniera diversa. Ha anche contaminato il suo laboratorio con la presenza degli ospiti del festival. Per esempio, ha chiesto a Claudia Cannella e Sara Chiappori di fare la giornalista “buona” e la giornalista “cattiva”: come si pongono quando arriva un comunicato stampa da parte della compagnia? Ognuno di loro ha spiegato come scriverlo, in quali errori non cadere, come essere più efficaci, come fare notare cose dello spettacolo senza essere pedanti, retorici, oppure presuntuosi. È stato proprio un esempio pratico molto intelligente.

Sugli spettacoli: aspettative attese e disattese…
Sono molto contento del festival, sia delle scelte, che della combinazione delle cose. Come ha detto la Gregori sull’Unità, c’era un filo politico, non voluto a priori, ma che si è automaticamente creato, perché c’era negli spettacoli uno sguardo sull’oggi molto forte, provando a far diventare la società e il tempo che viviamo un motivo di rappresentazione teatrale: per esempio Discorso Grigio, La Merda o la piccola epopea rurale del Paese di Cianciana, se vuoi lo stesso Italianesi, il mio fuori programma sull’Italietta di oggi… Hanno creato una mappa, un teatro contemporaneo italiano che racconta l’oggi. Lo racconta sì con il filtro del teatro, però toccando le pance degli spettatori, perché ognuno si sente coinvolto. Poi è stata anche un’edizione di grande dibattito, che è la funzione del teatro. Questa cosa mi piace molto: poter sentire e vedere che una comunità prende posizione e dibatte su concetti scaturiti da spettacoli visti in teatro mi emoziona e mi fa credere che è giusto fare il festival. E il tutto ovviamente con un livello qualitativo altissimo.

scenaverticaleMa la politica, con i suoi funzionari e amministratori, ha partecipato al festival?
La politica nella sua pompa magna no. Alcuni funzionari della Regione sì, hanno vissuto il festival come spettatori, sono venuti con la famiglia; mi ha fatto piacere perché solo così si riesce veramente a entrare nelle dinamiche del festival. Il nuovo sindaco ha seguito, ha visto che c’è stata una partecipazione significativa di pubblico e ovviamente è rimasto colpito dalla grande presenza della critica. Qualche operatore gli ha anche detto che una situazione come quella di Castrovillari, con questo numero di addetti ai lavori e di critici tutti insieme nello stesso posto e con questo pubblico così variegato, in Italia non esiste!

Cosa succederà per la prossima Primavera?
Innanzitutto la ricollochiamo nel suo periodo stagionale classico: quest’anno l’edizione sarà dal 28 maggio al 2 giugno. Questo soprattutto per la funzione che deve avere il festival, ossia per dare la possibilità di vendere il proprio spettacolo per la stagione prossima a chi viene a debuttare a fine maggio. Debuttare a novembre significa infatti mettere sul mercato uno spettacolo dall’estate prossima in poi. Come anticipazioni sul programma, posso dirti che ci sarà il lavoro sul pittore Ligabue di Mario Perrotta, Noosfera Museum di Roberto Latini, La stupidità di Spregelburd diretto da Manuela Cherubini, l’anteprima de Lo splendore dei supplizi di Fibre Parallele che poi debutterà alle Colline Torinesi. E altro spettacolo presente, ma non come debutto, sarà In fondo agli occhi di Gianfranco Berardi. Ma ancora stiamo definendo altre sorprese…
Purtroppo il bando è in questi giorni in pre-informazione sul sito della Regione Calabria ed è scaduto il 15 aprile, per cui noi sapremo della vittoria, (speriamo!), a pochi giorni dall’inizio del festival. La buona notizia è che il bando è biennale, per cui l’anno prossimo si dovrebbe lavorare con più serenità.
Dovremmo avere un intervento economico dal Comune più importante (anche se i dipendenti comunali di Castrovillari, il mese di marzo, non hanno percepito lo stipendio…), mentre Ente Parco Nazionale del Pollino, pur preziosissimo nel suo coinvolgimento finanziario, non riuscirà purtroppo a contribuire più di quello che ha fatto finora.
Ma tanto non si può fermare la Primavera!

Intervista a cura di Carlotta Tringali