intervista punta corsara

I Corsari raccontano Capusutta

I ragazzi di Punta Corsara non si fermano mai. L’Associazione Culturale nata a Scampia dopo un progetto di impresa culturale della Fondazione Campania dei Festival e oggi compagnia di giovani professionisti riconosciuti e premiati dal panorama teatrale italiano (per saperne di più leggi l’articolo), è approdata a Lamezia Terme per Capusutta. In pochi purtroppo hanno visto il risultato di questo progetto nato da un Assessore lungimirante calabrese come Tano Grasso, il regista Marco Martinelli del Teatro delle Albe e la sua non-scuola. Oggi, 16 dicembre, i ragazzi lametini e rom che hanno preso parte a Capusutta approdano al Teatro Valle Occupato di Roma per mostrare tutta la loro energia nella capitale. Abbiamo intervistato le guide della non-scuola e chiesto di questa esperienza: Christian Giroso, Tonino Stornaiuolo e Giovanni Vastarella. Anche Emanuele Valenti, regista di Punta Corsara, e Marina Dammacco, all’impeccabile organizzazione della compagnia, hanno aggiunto le loro impressioni.

foto di Marina Dammacco

Come è stata la vostra prima esperienza da guide della non-scuola? Come vi siete trovati “dall’altra parte” e cosa si prova a lavorare con un numeroso gruppo di bambini?
Tonino
: Sono oramai 4 anni che lavoriamo con gli adolescenti attraverso il metodo della non-scuola appreso seguendo Marco nei suoi anni napoletani. Questa però è la prima volta in cui siamo così dentro, responsabili a pieno dei ragazzi e del lavoro portato in scena. E questa responsabilità ha solo aumentato la nostra voglia di lavorare con i ragazzi. Vederli così coinvolti è stato un po’ rivedere noi qualche anno fa. Ci siamo nutriti di loro e loro di noi.

Gianni: Il metodo, o il non-metodo, come preferiamo dire, della non-scuola, non si impara, si assimila in maniera naturale. Negli anni in cui Marco lavorava con noi, e in quelli successivi in cui seguivamo lui come Emanuele Valenti, Nicola Laieta, Antonio Calone e le altre guide di Arrevuoto (il progetto de Il Teatro Stabile Mercadante di Napoli iniziato nel 2005, ndr), apprendevamo lavorando, giocando e stando sul campo con loro. Il calcio si impara giocandolo, si ha certamente la necessità di buoni maestri, ma in campo ci vai tu, e solo sul campo impari a prendere calci e fare gol.

Christian: Stare dall’altra parte è comunque giocare. Prima lo facevamo dal campo, ora stiamo fuori a incitarli e dare indicazioni. Ma siamo comunque con loro. È stata dura all’inizio, essendo quasi coetanei avevamo paura della reazione che potevano avere questi ragazzi, paure che si sono poi dissolte man mano nei giorni di laboratorio. I bambini poi, arrivati nella fase finale, sono stati il valore aggiunto, decisivo per la riuscita di tutto. Con loro, il lavoro è stato per noi diverso e per certi versi anche nuovo, non avendo mai lavorato con bambini così piccoli. Ci siamo affidati ad Emanuele Valenti, e poi, come spesso succede nei nostri laboratori, siamo entrati dentro quando sentivamo che era il momento.

foto di Marina Dammacco

I ragazzi erano alla loro prima esperienza teatrale? Come hanno reagito, quali sono stati gli “stupori” e cosa ha dato loro Capusutta e lo spettacolo Donne al Parlamento?
Gianni
: Alcuni di loro avevano già fatto delle cose di teatro. Anche se questa nostra modalità era del tutto nuova per loro. Erano abituati a schemi forse più rigidi, come un copione e a mettersi in gioco di meno con i loro corpi, voci e pensieri. Non a caso nei primi incontri riscontravamo una certa diffidenza in loro, come se volessero prima capire chi eravamo, cosa volevamo e se fossimo dalla loro parte.

Christian: Hanno reagito positivamente al laboratorio e agli stimoli che noi davamo. Si sono piano piano fidati di noi lasciandosi andare a giochi e improvvisazioni che hanno portato alla riscrittura del testo di Aristofane. Sono cresciuti tanto e non solo sul lato strettamente teatrale. Il rapporto umano, fatto di incontri anche al di là del laboratorio, è stato parte fondante del nostro lavoro a Lamezia. E penso sia questa una delle cose più belle e che ha fatto sì che ne venisse fuori un’esperienza così importante.

Tonino: Mi piace sempre pensare che le cose belle vengono fuori quando ci sono incontri tra belle persone: credo sia il caso di Capusutta. Se non avessimo incontrato ragazzi così, chissà come sarebbe andata. Forse il loro stupore è stato, come diceva Gianni all’inizio, quando non capivano che cosa stavano facendo, quando ancora non gli avevamo raccontato del testo da portare in scena. Immagino che venire lì a “fare teatro” e poi fare “strani” giochi con musiche e canti, li abbia un po’ spiazzati, però si divertivano e stavano bene, quindi ritornavano con piacere. Piano piano è venuto fuori il testo, lo spettacolo, dalle loro parole e dalle loro improvvisazioni. E credo che anche questo sia stato per loro un po’ uno stupore, il vedere che partendo dalle loro cose, si è arrivati a mettere in scena uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti, non un classico saggio di laboratorio. Donne al Parlamento, che passa da Atene a Nicastro, dandosi appuntamento al Banshee (luogo di ritrovo dei giovani lametini) e poi citando Aristotele e Majakovskij, è frutto di questo costante passaggio dei ragazzi ad Aristofane, dalla Grecia all’Italia, al sud, Lamezia. Credo che abbia dato loro tanto, e lo si vede da quanto ci scrivono su Facebook, dalle telefonate che ci fanno ogni giorno da quando siamo andati via. Ci terrei a dire questo, che anche loro hanno dato tanto a noi, abbiamo preso tanto da questi ragazzi, e non smetteremo mai di ringraziarli.

foto di Marina Dammacco

Il gruppo di Capusutta è formato da ragazzi lametini e bambini rom: come erano i rapporti tra loro? Cosa hanno appreso da questa esperienza?
Gianni
: Di rom ce ne sono comunque anche nel gruppo dei ragazzi. Ne sono 4. E sono stati presenti sin dall’inizio di questo percorso, inserendosi subito e senza alcun problema con gli altri. I bambini invece, si sono conosciuti con i grandi a ridosso dello spettacolo, dopo diversi incontri di laboratorio. C’è stato qualche momento di spaesamento, anche perché la presenza dei bambini ci ha portato a rivedere e modificare le scene. Sì, all’inizio c’è stata un po’ di diffidenza da parte di qualcuno dei più grandi e questo ci ha fatto pensare a quanto spesso, nel nostro Paese, i pregiudizi vengono fuori di fronte a chi è diverso. Ma sono bastate poi due ore di prove per far dissolvere tutto e far capire che alla fine erano solo bambini con tanta voglia di giocare.

Christian: Per i bambini rom è stata un’esperienza importante. Si sono confrontati per la prima volta con un palco, ore, spesso stancanti, di prove. Ma sono stati parte attiva, non sono stati affatto “da contorno”, e lo si percepiva dal loro essere presenti in scena e sapere tutte le battute, anche quelle dei grandi. Poi non erano mai stati in un teatro, neanche da spettatori, figurarsi in scena.

Tonino:  Ci hanno scritto delle lettere i piccoli bambini, e leggerle era ogni volta un’emozione. Tra l’altro una sera, siamo andati al campo, ci tenevamo a conoscere le loro famiglie e vedere dove abitano. Per loro è stato un gesto indimenticabile. Giravamo per il campo, di notte, senza luci, con venti bambini che ci facevano strada tra case, pozzanghere, fuochi. È stato uno dei giorni più belli dei sei mesi passati a Lamezia.

Emanuele: Crediamo che sia molto importante far lavorare assieme ragazzi con provenienze sociali e culturali diverse, creare le condizioni per vivere esperienze di condivisione. Solo così è possibile abbattere i muri che, anche se invisibili, pure esistono e segnano i confini nella società in cui viviamo. Tramite la condivisione di spazi e tempi si possono scalfire questi muri, si possono abbattere diffidenze e pregiudizi, di questo ne siamo certi. E questo è stato valido in questi anni anche nel tipo di lavoro fatto sullo spazio Auditorium (Auditorium di Scampia, ndr). Il tentativo è stato quello di creare un luogo che non escludesse, un luogo di incroci. Un luogo trasversale. È importante fare progetti che non ghettizzino ulteriormente ma che siano trasversali alla società. Credo che a Lamezia questa sia stata forse la prima volta in cui si è riusciti a far lavorare assieme ragazzi rom e lametini, nonostante ci sia il campo rom più grande del sud Italia e i ragazzi rom con cui lavoriamo parlino solo italiano e siano tutti nati in Italia.

L’Assessore che ha fortemente voluto il progetto, Tano Grasso, si è dimesso: qual è oggi il futuro di Capusutta? Cosa chiedereste all’amministrazione?
Marina ed Emanuele
: Il buon esito del primo anno, il coinvolgimento e la partecipazione non solo dei ragazzi ma anche di collaboratori preziosi come Rosy De Sensi e gli operatori della Strada, Dario Natale, alcuni insegnanti e gli stessi genitori, ci fanno pensare e sperare che Capusutta possa continuare anche l’anno prossimo, certo nella consapevolezza che si tratterà di un sacrificio e un impegno maggiore da parte di tutti, tanto per il Comune di Lamezia che per noi. L’Assessore Grasso è stato fondamentale per Capusutta; suo è stato infatti il primo slancio nel portare la non-scuola a Lamezia chiamando le Albe e poi noi corsari, proprio perché conosceva bene il percorso di Marco Martinelli e il nostro. Dopo le sue dimissioni, il Comune si è impegnato a sostenere intanto la trasferta a Roma di tutti i sessanta ragazzi per questa giornata speciale al Teatro Valle Occupato (il 16 dicembre 2011, ndr), dimostrandosi anche favorevole alla continuazione del progetto. Questo per noi e per i ragazzi è stato un segnale importante, sul quale facciamo tutti affidamento. All’amministrazione chiederemmo di continuare così, su questa strada del dialogo e del confronto, sia sulle difficoltà che sugli aspetti positivi e significativi del progetto.

foto di Marina Dammacco

Da Arrevuoto a Punta Corsara, da Punta Corsara a Capusutta: un ricordo, un’emozione legata a queste esperienze e la loro importanza.
Tonino, Christian, Gianni
: Negli anni ce ne sono stati tanti di momenti da ricordare, ci vorrebbe un libro. Ma tra le tante, quella che ci piace ricordare, è legata proprio a Capusutta. In un giorno di prove non sono venuti ad aprirci il teatro. I ragazzi erano lì fuori, giornata fredda, e non vedevano l’ora di provare. Marco Martinelli ha pensato bene che non si poteva perdere un giorno a una settimana dal debutto, e quindi… Tutti in strada! È stata forse la giornata di prove più bella, nei vicoli di Nicastro si sentivano i cori, i canti e le battute dei ragazzi. Noi da fuori li guardavamo ammirati ed emozionati, lì ci siamo resi conto che qualcosa era accaduto. Che insieme, tutti, eravamo pronti. Lì ci siamo resi conto che Capusutta era la nostra partita vinta, ancor prima di giocarla.

Emanuele: I primi laboratori fatti con Marco. La sua capacità di giocare con gli adolescenti. Le chiacchierate notturne sulla drammaturgia. Scoprire come i classici possono rivivere tramite il linguaggio dei ragazzi, come si può fare teatro in tanti, grandi e piccoli, e come le differenze sociali e culturali possono diventare un punto di forza. Vedere crescere nei giovani l’interesse per il teatro, vedere i ragazzi dopo qualche anno guide nei laboratori di Lamezia, vederli impegnarsi a riscrivere i materiali delle giornate di laboratorio, vederli cominciare a prendersi delle responsabilità. E anche la strada che collega il centro di Napoli a Scampia e che parte da Piazza Dante e, dopo aver costeggiato le mura del bosco di Capodimonte, passa sotto la sopraelevata dell’asse mediano e sbuca a viale della Resistenza dove si trova L’Auditorium. Un percorso che racchiude molti ricordi. Su quella strada, stipati nella mia vecchia Twingo ho fatto riunioni improvvisate con Debora Pietrobono, Marco Martinelli e Marina Dammacco, parlando di problemi legati all’agibilità o di questioni drammaturgiche, ho ascoltato i racconti di artisti come Danio Manfredini, Claudio Morganti, Alfonso Santagata, Marco Paolini.

Marina: Lavorando a Napoli, non potevo in questi mesi andare a Lamezia tutte le settimane. Ma ogni singola ‘discesa’ lungo la Salerno – Reggio Calabria acquistava proprio per questo l’intensità di un anno intero. Partenza la mattina, quattro ore con i corsari cariche di tutte le nostre questioni napoletane, poi magari nello stesso giorno: incontro con le scuole, prima riunione in Comune per affrontare le difficoltà organizzative; poi al laboratorio a fotografare il caos creativo dei ragazzi, il ridere senza sosta dei bambini; poi di nuovo di corsa ma lucidi e determinati a parlare con l’assessore per capire gli equilibri di una città intera; poi una visita al campo rom oppure un momento di lavoro sul testo mentre si cena e solo allora, dopo tutto questo, arrivare alla fine. Io credo siano state giornate così, a Napoli come a Lamezia, a farmi capire il senso di quello che facciamo. Punta Corsara, Capusutta, Arrevuoto, sono luoghi trasversali, sono progetti in cui il teatro entra con energia negli spazi vuoti tra politica e cultura, tra arte e formazione, e lì, forse semplicemente rispondendo al proprio compito più alto, crea la comunicazione, in un modo che non è mai definito a priori, con un potere imprevisto di illuminare le persone dietro i ruoli, le intelligenze oltre le regole e i limiti che separano l’insegnante dal genitore, l’adulto dal ragazzo, l’artista dall’adolescente. Questo è lo spirito che rende (per me) il teatro necessario, è il succo di questi anni, è il pensiero di fondo che si alimenta del confronto quotidiano con Debora, Emanuele, Marco e i corsari tutti.

a cura di Carlotta Tringali