Dal silenzio al suono puro: l’arte produce lavoro
L’intonaco ai muri è sgranato, ma la struttura regge ancora bene. Questo pensiero attraversa l’ingresso nell’Ex-Deposito ATR di Forlì dove per il secondo anno consecutivo l’arte performativa incontra locali dismessi dalla contemporaneità, perché sia proprio l’arte a renderli di nuovo contemporanei. Ipercorpo nasce così, con l’obiettivo di far parlare ancora quel che sembra muto. E proprio il suono, allora, schiude il capannone dei pullman all’ascolto collettivo, in questo festival che di lavoro vuole parlare, firmandosi Articolo 1. Anagoor presenta Con la virtù come guida e la fortuna per compagna, uno degli studi che hanno portato all’ultimo Fortuny; due voci intersecano le loro melodie evocative, due donne con in mano uno spartito seguono il movimento dei corpi in scena costruendo loro un tessuto avvolgente, usando la propria variazione vocale come strumento. Fuocofatuo (Mirto Baliani e Marco Parollo) con Suite A porta in scena Una collezione organizzata di oggetti, prima tappa di un concerto scenico senza musicisti, la cui melodia nasce dall’amplificazione roboante di strumenti che producono suono tramite l’energia emessa dal calore.
Se Anagoor – e quindi un teatro che si articola attraverso una modulazione corporea – sceglie la musica a far da contraltare a un’azione scenica, lasciando cioè che il sonoro si sviluppi entro un nucleo concettuale assorbito da uno spazio concreto o che almeno sia il bozzolo cellulare a fargli da abito, Fuocofatuo percorre la strada dell’azione che non nasce nella o con la musica ma è la musica stessa: l’argento dei potentissimi microfoni si china verso gli strumenti (bollitori, pentole, utensili da cucina) muti senza gli elementi naturali fuoco e acqua che, interagendo l’uno con l’altra, compiono lo sforzo energetico di produrre suono. E dunque per noi percezione, arte, maturazione civile. La tecnica interviene dunque sull’elemento naturale, ma senza l’azione dell’uomo, che in scena appronta ogni cosa, non si produrrebbe nulla, dunque nessuna arte da percepire, nessuna maturazione da accogliere. L’uomo officiante si fa portatore di energia che innesca una trasformazione. In un deposito di vecchi pullman che non camminano più, torna l’arte e dal silenzio al suono puro, fa parlare di lavoro.
Simone Nebbia
Un muro di luce nell’Ex-Deposito ATR
Colpisce per la sua luminosità non convenzionale l’interno dell’Ex-Deposito ATR Savonarola di Forlì, utilizzato per il secondo anno consecutivo dal Festival Ipercorpo. Luce bianca per definire alcuni degli spazi – su cui ci eravamo soffermati a lungo l’anno scorso (leggi approfondimento) – che diventano contenitori di performance, installazioni e sonorizzazioni, progetti e processi artistici che sembrano quest’anno quasi rimandare a una collezione di immagini. Un aspetto quest’ultimo che ben consuona con la collaborazione che Città di Ebla ha messo in piedi assieme al curatore d’arte Davide Ferri, con cui si tenta in questi giorni di ragionare sulla Collezione Verzocchi che riunisce opere di importanti artisti del dopoguerra attorno al tema del lavoro.
I quadri che si portano a casa dopo la prima serata trascorsa al Festival sono di diverso tipo, da scovare non solo all’interno degli spettacoli, ma anche nell’ambientazione stessa. Ed ecco allora che salta subito all’occhio ciò che Stabile 5, un collettivo di giovani architetti, ha realizzato per il Progetto spazio bar. Pensato sia per la sosta che per l’incontro e il dialogo davanti a un bicchiere di vino, l’installazione-living room si compone di grandi cisterne bianche illuminate dall’interno che diventano tavoli o vanno a comporre un muro di luce che evoca convivialità.
Ma l’affastellarsi di quadri procede nell’arco della serata soprattutto con i due spettacoli di Fuocofatuo e Anagoor. Nel primo caso, nonostante si tratti di una sonorizzazione, Suite A – Una collezione organizzata di oggetti regala ben tre livelli di immagini che si sovrappongono e si svelano a poco a poco, andando a sostituirsi nel gioco di completamento percettivo richiesto sin da subito. Se a un primo sguardo la scena sembra abitata da macchinari che rimandano a uno studio chimico dove si preparano pozioni (tali scherzi può fare la fantasia!), una volta accesasi la luce si intravedono ben tre ambientazioni differenti, dei dipinti – o meglio degli affreschi – composti in primo luogo da teiere e da valigie in secondo piano, sullo sfondo invece si scorgono credenze di bottiglie e pentolame vario.
Ma una delle apparizioni che più rimane fissa nella memoria è quella regalataci dalla figura imponente di Anna Bragagnolo che, nella performance di Anagoor Con la virtù come guida e la fortuna per compagna, incarna una statua vivente, un’icona interamente dorata che rapisce lo sguardo emergendo da un’ambientazione oscura e fumosa.
Carlotta Tringali
Questo contenuto fa parte di Situazione Critica in collaborazione con Teatro e Critica