Recensione a La mia coscienza è un flusso – Francesco Bove
“Dov’ero rimasto? Potrei, forse, continuare la mia storia, finirla e cominciarne un’altra. Potrei piantare le mie unghie nelle crepe e trascinarmi avanti a forza di polsi. Sarebbe la fine. E io mi chiederei che cosa mai l’ha fatta arrivare e perché ha tanto tardato” S. Beckett.
Da questa citazione F. comincia il suo flusso di coscienza; chiuso nella sua stanza, gabbia e rifugio, ci accompagna in un iter doloroso all’interno di uno stato d’animo giovanile fatto di quotidianità, di gesti sempre uguali, di una vita da ricostruire come un puzzle.
F. è un ragazzo di oggi, laureato in “speranza e specializzato in fede e voto segreto” che come ogni giorno è pronto di buon mattino ad affrontare una vita sempre uguale, fatta di routine e di colloqui preparati con il nodo alla cravatta, che è sempre troppo impreciso e stretto. Con lui si sveglia la speranza in un cambiamento, ma deve fronteggiare anche la solitudine, quale male estremo, inevitabile scontro con se stessi.
Solo, nella stanza oramai trappola, non ha amici, non ha pubblico oltre il suo io che viene a fargli visita, che lo persegue e lo tortura con i ricordi, alla ricerca di un regresso per giungere al pregresso.
F. sa cosa l’ha portato a rinchiudersi e soprattutto sa da cosa scappa: nell’era della tecnologia dove tutti i contatti umani si esauriscono spesso al tocco di una tastiera del computer – che diventa strumento di amplesso – grida aiuto ma nessuno può sentirlo. È dalla società che fugge, da un mondo fatto di servilismo e business, in cui tutto è alla mercé di tutti, dove le preferenze vengono espresse tramite il televoto e in cui lo scettro è rappresentato dal telecomando, strumento di dominio all’interno di ogni famiglia. L’idea è davvero ottima, essendo questo monologo pensato come un work-in-progress, strutturato come ricerca che si forma e si solidifica di volta in volta, con la speranza di poter arricchire il testo sulla scena; non c’è finale, è solo un pezzo di vita. Un lavoro di ricerca che non è mai pronto ad esaurirsi. Un monologo toccante, grazie soprattutto alle ottime doti attoriali di questo giovane esordiente Francesco Bove e alla collaborazione del tecnico Enzo Siconolfi. La mia coscienza è un flusso pone di fronte ad un male sociale sentito nelle nuove generazioni, troppo ben disposte ad indignarsi solo tramite uno schermo gelido nella propria stanza.
Visto al Teatro Spazio Libero, Napoli
Italia Santocchio