A dare l’avvio, alle 19 del 5 settembre, sono Facchini, Ferrarini e Sielli. A salire sul palco del Teatro 1 è il vissuto dei corpi, è la realtà nella pelle, sono le parole uscite da bocche imperfette. Apre l’ottava edizione di Short Theatre il Pinocchio dei Babilonia Teatri, presentato in forma di studio a B.Motion lo scorso anno (leggi qui l’intervista) e visto a Roma al Teatro Palladium nella stagione invernale. Due i lavori della compagnia veneta, che negli spazi della Pelanda porta anche Lolita, spettacolo che oggi, a poco più di due mesi dal debutto al Napoli Teatro Festival è rivisto, riadattato, con la presenza di Valeria Raimondi ad affiancare la giovane Olga Bercini.
Tante le traiettorie che s’incrociano all’ex mattatoio: ci sono artisti emergenti, produzioni internazionali, conferenze sotto la tettoia, incontri di riflessione sulla scena contemporanea. Lo sguardo al Premio Scenario, con InternoEnki e Beatrice Baruffini (leggi qui l’intervista alla Generazione Scenario 2013), le pupazze di Marta Cuscunà, il corto in danza di Claudia Catarzi, gli autoritratti photo booth di Lenz Rifrazioni, gli straordinari performer di (M)imosa Twenty looks or Paris is burning at The Judson Church (M), la prima assoluta di In società di Federica Santoro. Ci sono i progetti realizzati all’interno di Fabulamundi. Playwriting Europe, Il gatto Verde di Elise Wilk per la mise en espace di Lisa Ferlazzo Natoli e La casa d’argilla e Villa Dolorosa di Rebekka Kricheldorf con mise en espace di Fabrizio Arcuri e Accademia degli Artefatti.
Non ci sono confini netti, tempi imposti, tendenze dichiarate. C’è un luogo dove «non ci si riconosce per costituzione ma ci si incontra per conoscere» come dichiarato dal direttore artistico Fabrizio Arcuri nella presentazione del festival. Dei percorsi tracciati, delle idee condivise, delle forme plasmate o solo abbozzate vogliamo restituire frammenti, senza ricomporre un quadro. Perché niente è necessario ma niente è superfluo nella Democrazia della felicità.
C’è la voglia di resistere in To play or to die di Giuseppe Provinzano e Babel, spettacolo in costume che parla dell’oggi, tragedia shakespeariana che chiama in causa Rosencrantz e Guildenstern lasciando da parte Ofelia e Amleto. Pièce che s’interroga sulla crisi, sul teatro: è meglio mettersi in gioco, consapevoli, o meglio morire inconsapevoli?
È una coreografia leggera, un dialogo delicato con l’aria, Nos Solitudes, spettacolo che transita per tutta la rete di FinestateFestival. È svincolarsi dai fardelli, slegare nodi, sciogliersi dai legami, stare in ascolto di sé. Un sistema di corde e pesi. Un musicista. Una danzatrice. Una sfida alla gravità. La ricerca della solitudine. I suoni di Alexandre Meyer guidano i piccoli gesti di Julie Nioche, cullano i dondolii, accompagnano le cadute, sottolineano le (ri)salite.
Restano appesi i fiori morti di Tierra pisada, por donde se anda, camino, a disegnare la staticità, a fermare un tempo che passa lasciando tutto uguale. Un’installazione più che uno spettacolo quello della compagnia spagnola El canto de la cabra, creato e realizzato da Elisa Gàlvez e Juan Ùbedo. Da fruire seguendo il proprio ritmo, muovendosi nello spazio, più che da vivere seduti, in lenta attesa di una fiamma che brucia e si spegne, ancora e ancora.
Si fa fatica a restare fermi durante il Tuono di Black Fanfare e Dewey Dell. Perché i suoni di Demetrio Castellucci sono fremiti elettronici. Perché le immagini in negativo, le luci fredde disegnate da Eugenio Resta sono brividi istantanei, sono sussulti al neon. Perché i costumi di Teodora Castellucci sono vibrazioni primitive, risvegli ancestrali. Perché le coreo-azioni ideate da Agata e Teodora sono battaglie epidermiche, balzi ritmici, pulsazioni emotive.
E sono tempeste emozionali, bufere sentimentali quelle di Solfatara degli spagnoli Atrebandes. Sono millefoglie mal digerite e animosità sopite, che eruttano nell’atmosfera tesa di una cena casalinga. Con un lui in pantaloni e maglietta, immagine dell’uomo accondiscendente, una lei in vestitino rosso e un filo di rossetto, mogliettina perfetta, e la paura senza nome e senza volto, che ribolle ora nell’uno ora nell’altro corpo, fino all’esplosione, addolcita, sfumata, ammorbidita dalla Marcia alla turca di Mozart.
Visti a Short Theatre 8, La Pelanda – Centro di Produzione Culturale, Roma
Rossella Porcheddu