Nasce da un desiderio di incontro, tra mk, PAV e Angelo Mai Altrove Occupato. Offre un diverso consumo del prodotto-spettacolo, tra lecture, performance e video. Intende sperimentare visioni e fruizioni senza confini. Si propone una periodicità, come ci aveva raccontato in un’intervista di giugno il direttore artistico Michele Di Stefano.
A distanza di cinque mesi dalla prima edizione, Angelo Mai Italia Tropici, al secondo appuntamento, ribadisce una vocazione a tracciare e incrociare traiettorie, attraversare un altrove, identificato stavolta come un paesaggio sonoro «costruito sulla disponibilità degli artisti a ragionare di destinazioni possibili».
Diversi i formati, differenti le tecniche, varia la fruizione. Si può restare seduti ad ascoltare, come accade con la microconferenza di Marco Dotti, riflessione sul gioco d’azzardo, o con la conferenza spettacolo di Chiara Guidi, tra ricordi d’infanzia e voci registrate. Si può stare in piedi nello spazio durante Tuono di Dewey Dell e Black Fanfare, o Tropicantesimo di Hugo Sanchez, Anna Clementi e Lola Kola, o unirsi alle sperimentazioni, partecipare al gioco, come succede con la performance interattiva del Collettivo Cinetico, I x I No, non distruggeremo l’Angelo Mai.
Non c’è omogeneità tematica, non c’è un’unica modalità esecutiva, o un uguale formato. I diciotto lavori, creati ad hoc, commissionati, o adattati per la due giorni romana, sono dispositivi coreografici, indagini sonore, incroci ritmici.
Ci si sposta da una sala a un’altra, da un ambiente a un altro, per incontrare visioni boschive e orchestre mute, figure tra l’umano e l’animale, assenze di luce e presenze di suono.
C’è una fitta e finta vegetazione in apertura delle due serate del 19 e 20 novembre. Ci sono vestiti attillati, copricapo di piume e un mix di sonorità in Tropicantesimo. Quasi un brindisi inaugurale, colorato e frizzante, per dare il la.
Sembra introdurre il tema del solo, Marco Dotti, nel suo Senza grazia. Azzardo e vita quotidiana. Una sedia e un microfono per estrapolare dalla trilogia edita da ObarraO − due volumi già pubblicati e l’ultimo in uscita nel 2014 − spunti di riflessione sulla società, sul tempo, sull’uomo. «Siamo insieme ma soli» dice alludendo alla ludopatia, e consegnandoci l’immagine di un individuo che chiudendosi sul gioco dà le spalle al mondo. E l’idea di solitudine resta in Tre inverni consecutivi di Fabrizio Favale/Le Supplici, danza silente tra buio e luce, ricerca di un’assenza, con l’imprevisto scroscio della pioggia in sottofondo, soffocato soltanto dalla musica finale.
È una figura androgina, ripiegata in posizione fetale, il volto nascosto e la schiena arcuata, quella di Eleonora Sedioli in Just intonation. Fa incontrare l’uomo e la macchina, Lorenzo Bazzocchi di Masque teatro, la materia e il suono, la carne e il metallo. Gli arti si tendono, si tendono le corde, un pianoforte, capovolto, emette suoni atomici, mentre un altro dorme, muto testimone di ciò che non accade.
E se il sistema di fuga di Maurizio Saiu – il cui pezzo s’intitola Nella spelonca di Abdullam. Qui me la cavo facendo il pazzo! – porta il suono fuori dallo spazio scenico illuminato, sottolineando l’isolamento, parte dalla solitudine ma si apre al dialogo Bangalore Air Show di Biagio Caravano e Luca Brinchi, che ai lati opposti di uno stesso tavolo si ascoltano, si seguono, si rincorrono, costruendo uno spazio sonoro.
Sono i primi bagliori di un concept live album quelli che il Teatro delle Moire presenta il 20 novembre. Song for Edgar è assenza di musica per un’orchestra di carne che suona strumenti di legno, è assenza di parole per bocche che si allargano in sorrisi allucinati, è assenza di sguardi per occhi chiusi e volti coperti. Primi passi di quello che vuole essere un viaggio nell’universo di Edgar Allan Poe.
Torna indietro nel tempo, Chiara Guidi, nella Relazione sulle verità retrogade della voce, per inseguire suoni che scappano, per piegare la voce, che si fa fieno, elastico, velluto, per tratteggiare bozzetti sonori.
Così come sono schizzi coreografici quelli di Ornitologia, della durata di cinque minuti, con la stessa musica e le stesse posizioni di apertura e chiusura. Dialoga con il video Iacopo Fulgi, mimando con tanto di cresta posticcia i movimenti di un pappagallo, con evidenti esiti comici. Imita una coreografia inventata da bambina Giorgina Pilozzi, eseguendo le pose immortalate in vecchi scatti fotografici, proiettati sul fondale, tra presente e passato, incoscienza e coscienza. Schiena nuda, vestito dalla fantasia tropicale, collant verdi a fasciare cosce e gambe, Daria Deflorian ingaggia una lotta col proprio corpo e con il pavimento, dando vita a una coreografia volutamente disarmonica, sbilanciata, che si conclude con brevi e ansimanti frasi, consegnate a un microfono.
Risalgono dal fiume come anfibi, saltano nella foresta come lupi i bambini selvatici di Sérgio Cruz, che in Animalz concentra in poco più di tre minuti l’evocazione di leggende antiche e utopiche alternative alla realtà sociale contemporanea.
Emergono dal buio senza mai rivelarsi completamente, sono sagome in negativo quelle di Tuono, che chiude, con pulsazioni elettroniche e coreo-azioni, la due giorni romana. E che con sussulti, sonori, visivi, fisici, primitivi, istantanei, in continuo mutamento, ben rende l’idea dei giardini in movimento di cui parla Gilles Clement, non ingabbiati in una forma definita ma capaci di “tradurre una certa felicità di esistere”.
Rossella Porcheddu