Il Teodelapio di Alexander Calder: è la scultura che ci guarda appena scesi dal treno e fatti due passi in Piazza Polvani. La Cattedrale di Santa Maria Assunta: è l’edificio per il quale ci emozioniamo, dall’alto, nel nostro volo sopra la città. Antichità e contemporaneità attraversano Spoleto, nei vicoli e negli slarghi, nelle fortezze e nelle basiliche. Così, ogni volta che entriamo in un teatro, guardando la volta affrescata e il grande lampadario, torniamo indietro nel tempo: succede al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, progettato da Ireneo Aleandri, decorato da Francesco Coghetti, inaugurato nel 1864. Accade al Teatro Caio Melisso, prima Nobile Teatro, devastato da un incendio, ricostruito a fine Ottocento e risorto grazie al processo di restauro, a cura della Fondazione Carla Fendi. Avviene mentre si scende la scalinata verso il Duomo, quando si gira l’angolo di Piazza della Signoria, andando verso il Teatrino delle 6, piccola e bellissima sala, o salendo verso Colle Sant’Elia. Tanti gli spazi spoletini che si aprono al Festival dei 2mondi, accogliendo non solo spettacoli, ma anche conversazioni, omaggi, eventi, mostre.
Alcune sale della Rocca Albornoziana ospitano Sconfinamenti, esposizione multimediale, collettiva, multidisciplinare, curata da Achille Bonito Oliva con direzione creativa di Elisabetta di Mambro e Franco Laera. Cinque schermi compongono The ice time – 40,000 years in 4 minutes di Peter Greenaway, fredda indagine ambientale e digitale, seguita dalle immagini calde proposte da Ahmet Günestekin nel video Belek (Memorie) proiettato tra la parete, dove scorre la cronaca in forma di didascalia, e il pavimento, che restituisce il massacro degli Armeni di Adana e gli scontri in Piazza Taksim, distanti nel tempo, vicini per orrore. Continua, la mostra, tra gli affreschi quattrocenteschi del piano nobile, con i ritratti di Shirin Neshat, raccolti nell’installazione fotografica Il teatro è vita. La vita è teatro. Don’t ask where the loves is gone: attori e attrici del teatro underground napoletano, uno in fila all’altro, sembrano osservare l’opera di Sislej Xhafa, Shhhhhhhhhhht: un corpo avvolto da una coperta, un uomo o una donna, le forme non lo rivelano, un homeless dormiente, un ubriaco svenuto, o forse morto. Mescola film muto, miniature persiane, azioni teatrali e animazioni digitali Shoya Azari in The king of black, tra allegoria e critica sociale. Chiude il percorso espositivo la sensuale e raffinata installazione di Sri Astari Rasjid, Undercover, Underwear, Underworld troops, rilettura delle tradizioni culturali di Giava, con corpetti e gonne in acciaio inox e fibra di vetro.
Dalla Rocca a Palazzo Collicola, dalle Mostre del Festival alle Mostre del Comune, curate da Gianluca Marziani e installate tra il seminterrato e il secondo piano dell’edificio gentilizio, residenza nobile nella quale hanno soggiornato Carlo di Borbone, Pio VI e Carlo Emanuele IV. Vive, la collezione permanente, al pianterreno dello spazio espositivo, tra l’arcobaleno di Sol Lewitt, nella stanza realizzata nel 2000, e gli universi di Calder, Ceroli e Richard Serra. Non vogliono dialogare con lo spazio ma accostarsi agli arredi del piano nobile, mantenendo la propria specificità, le opere di Antonio Marras e Danilo Bucchi, che con il titolo Insieme siamo altro denunciano la volontà di fondere disegno e sartorialità, tele e tessuti, matite e bottoni. Piccoli collages sbucano dai cassetti, trittici al femminile si adagiano contro le pareti, ruote di bicicletta vestite di vecchie giacche e polverosi gilet ciondolano in un corridoio luminoso, poetico affaccio tra stanze serrate e generose vetrate. Opere non stanziali, che dichiarano un attraversamento di spazi e un incontro di linguaggi. Un percorso scritto con l’inchiostro su tele bianche, cucito con punti lenti su tessuti antichi.
Un passaggio, come il nostro, per vivere il festival in ogni suo aspetto, per restituirne atmosfere e sapori, tra il calore delle luci sul proscenio e la fresca aria serale. E20umbria è dormire tra le mura romane dell’Hotel Aurora, volare sul biposto guidato da Pino Cirimele del Trevi Avio Club, saziare gli occhi e stuzzicare il palato con le opere d’arte culinaria del Ristorante Apollinare. E per qualcuno che prende un treno trascinando una valigia, c’è qualcun altro che arriva, per vedere nuovi spettacoli, incontrare altri artisti, sentire suoni diversi e assaporare mutate sensazioni. L’esperienza, per Il Tamburo di Kattrin, continua…
Rossella Porcheddu
Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto