Recensione a Piccoli crimini coniugali – Compagnia Stabile del T
La coppia in crisi genera cattivi odori. Di stantio, di noia, di marcio. Probabilmente la vita di coppia rappresenta un espediente per soddisfare egoismi. Un’alleanza per interesse. Si vive a fianco, non insieme.
Riflettendo su questa teoria, Eric-Emmanuel Schmitt (noto per Ibrahim e i fiori del corano), autore francese tra i più rappresentati d’Europa, ne ha ricamato una drammaturgia. Brillante, indagatrice dei moti, prettamente intimi, della vita privata. Intimi nel senso di interiori. La sua prosa, ritmica e scorrevole, rotonda e verosimile, porta in superficie riverberi (introspettivi) profondi, fuoriusciti con estrema semplicità sintattica. In parole povere, codifica, tratteggiando a chiare lettere, dinamiche di pensiero e di sentimento difficilmente esprimibili. Comuni, corali, soprattutto se riguardano il rapporto a due.
In Piccoli crimini coniugali, sotto la lente d’ingrandimento, la coppia. Che emana cattivi odori. La trasposizione è della Compagnia Stabile del T, pugliesi, con Vito Latorre e Mariapia Autorino in scena diretti da Stefano Murciano. Visti a San Fili sulle tavole del Teatro del Gambaro, per il secondo appuntamento della rassegna “Transizioni”, nell’ambito del progetto di residenza.
Una compagnia non calabrese. Questa è la prima notizia. Di una certa rilevanza, considerando l’andazzo recente. Bene favorire gli artisti locali, sacrosanto. Ma ancora meglio confrontarsi con il nuovo, con il diverso. Non può che essere produttivo.
Quando si maneggia un testo di sicuro appiglio, il dilemma, per un regista degno, è su come impreziosirlo: evidenziare le tracce migliori, rendergli grazia visivamente, fisicamente, costruire le scene funzionali alla dialettica. Il teatro è un’esperienza fisica, sensoriale, la parola ha bisogno di carne, di vita. O potrebbe, il regista, decidere di intervenire chirurgicamente sul testo e, per esempio, mettere in luce i sottotesti, focalizzare personaggi minori e farli diventare protagonisti, non essere fedele all’autore insomma.
Piccoli crimini coniugali di Murciano è fedele al testo di Schmitt. Verbalmente. Il desiderio di “firmare l’opera” è palese, registicamente parlando. Gli attori sono caratterizzati a tinte forti, esteticamente e drammaticamente, manovrati come si muovessero pedine sulla scacchiera; lo spazio scenico colmo scenograficamente; le scene, non limitate a veicolare il testo, catturano la vista prima che l’udito; il desiderio di colpire strutturalmente (intendendo tramite trovate) è manifesto. Tipico dei giovani teatranti. Dei giovani che studiano e lavorano. Che fanno ricerca. Che non sottraggono. Del resto, nel post-drammatico, la mancanza di sintesi è caratterizzante.
Sicché lo spettacolo risulta pingue, marcato dall’orma registica. Discreti gli attori, scaltri nell’emancipare il verticalismo dell’azione, in una pièce dove sarebbe stato facile marginalizzare lo spettatore a terzo. Meglio la Autorino – che evoca un personaggio di Tim Burton – quando c’è da stuzzicare il climax verso direzioni “patetiche” e Latorre nel pavoneggiarsi di Gilles. Marito di Lisa. Smemorato di conseguenza a un incidente domestico. Che non è proprio un incidente…
I due attori agiscono sul palco con movimenti meccanici, da automa. Un cenno. Una didascalia. Una delle innumerevoli. Troppe. E calzano indumenti di forte identificazione identitaria – burtoniano anche questo – hanno parrucche vistose, sono coloratissimi. E pieni di zip, chiusure lampo, sui vestiti… Ricca la scenografia, un interno domestico dalle sfumature surreali ricavato artigianalmente. Pubblico divertito.
Visto al Teatro del Gambaro, San Fili (CS)
Pubblicato sul Quotidiano della Calabria
Emilio Nigro