Premio Scenario

Il processo del Premio Scenario: dalle Semifinali alla Finale

Martedì 14 luglio, al Festival di Santarcangelo, dopo due giorni dedicati alla Finale, sono stati decretati gli artisti vincitori e quelli segnalati dell’edizione 2015 del Premio Scenario, da una Giuria presieduta da Antonio Calbi (direttore Teatro di Roma) e composta da Silvia Bottiroli (direttrice Santarcangelo Festival), Serena Sinigaglia (regista), e da Stefano Cipiciani e Cristina Valenti (rispettivamente Presidente e Direttrice dell’Associazione Scenario).

Premio Scenario 2015: “Mad in Europe – Uno spettacolo in lingua originale” di Mad in Europe
Premio Scenario per Ustica 2015: “Gianni” di Caroline Baglioni
Segnalazioni ai progetti: “Homologia” di DispensaBarzotti e “Pisci ‘e paranza” di Mario De Masi 

L’articolo ripercorre le fasi dell’edizione 2015 del Premio e racconta alcuni degli spettacoli, dalle Semifinali alla Finale. Per approfondimenti si rimanda al sito dell’Associazione Scenario

Il processo del Premio Scenario: un punto di vista “interno” dell’edizione 2015

Quest’anno ho avuto la possibilità preziosa di partecipare al Premio Scenario più “da vicino”: in quanto invitata, come membro esterno dell’Osservatorio critico, a seguire le Semifinali di Piacenza (dal 28 al 30 marzo) e di Bari (dal 28 al 30 aprile), qui e lì tre giorni belli e intensi, in cui sono stati visionati quasi 50 progetti di spettacolo provenienti da tutta Italia.
In questi giorni, 12 sono andati in scena in forma di studio al Festival di Santarcangelo, per la Finale.

Dunque, voglio approfittare della Finale del Premio Scenario 2015 per rendere conto di un’altra cosa, altrettanto importante e forse però meno in vista, che è il processo del Premio.
Scenario è un’Associazione attiva dal 1987, composta da una quarantina di soci, che sono strutture teatrali (compagnie, festival, teatri, circuiti) disseminate in tutta Italia. Funziona per “commissioni zonali”, che raggruppano più soci a livello territoriale, in modo da garantire la presenza dell’Associazione nelle diverse regioni.
Se l’anno scorso c’è stato il Premio Scenario Infanzia, nel 2015 tocca a Scenario (le edizioni sono biennali e si alternano): esce un bando aperto, a cui possono partecipare artisti under 35 inviando un progetto di spettacolo (scadeva il 31 ottobre 2014); dopodiché ciascuno degli iscritti deve presentarsi alla propria “commissione” con 5 minuti di studio; ognuna seleziona una serie di proposte che vengono ammesse alla fase semifinale (nel 2015 quelle di Piacenza e Bari); e, di qui, un Osservatorio critico composto dai soci e da alcuni membri esterni (quest’anno con me anche Pierfrancesco Pisani, impresario teatrale) sceglie i progetti che arrivano in Finale.

Ora siamo a questo punto, ma l’intenso processo del Premio Scenario non si ferma qui: una volta individuato il vincitore e il vincitore Ustica, più le due consuete segnalazioni, gli artisti arrivano in autunno al debutto.
Il viaggio di Scenario, come si vede, è un viaggio lungo. Lungo e vario, che si fonda sulla vitalità dei soci, sulla loro volontà di seguire l’accompagnamento del nuovo, il teatro in statu nascendi, i progetti di spettacolo nei loro primi passi.
Bisogna parlare senza dubbio dell’insostituibile lavoro di monitoraggio sui territori svolto costantemente dai soci, della loro capacità d’ascolto e di visione, della loro instancabile curiosità; e poi raccontare la “laicità” che anima le selezioni, che non privilegia stili, linguaggi, formati, ma si apre al nuovo nel senso ampio delle energie che la scena emergente ha realmente da proporre (e senza volergliene imporre una piuttosto che un’altra); occorre rievocare i momenti di confronto, appassionati e intensi, in una polifonia di opinioni e posizioni che trasmettono in un intreccio unico la grande biodiversità del nostro teatro; infine, non si può dimenticare la straordinaria vitalità dei teatri che nascono, che si stanno sviluppando, che si affacciano oggi ai nostri palcoscenici.
Nell’insieme, Scenario è qualcosa che sorprende (soprattutto nel contesto di crisi attuale, non solo economica). Ed è forse questo senso di sorpresa, per i vari motivi che ho descritto, il regalo più prezioso di una partecipazione “più da vicino” al processo del Premio.

Qualche appunto sui progetti: dalle Semifinali alla Finale

Veniamo ora a qualche pensiero sui progetti di spettacolo che ho avuto modo di incontrare nelle fasi di questo processo, per l’edizione 2015 del Premio. Attraverseremo le tensioni, le visioni e le idee dei 12 finalisti presentati in questi giorni a Santarcangelo secondo alcune linee tematiche, per cercare di capire come si stia muovendo oggi il teatro italiano emergente, di cui Scenario è senza dubbio una delle “cartine tornasole” più importanti.

Solo show: micro-storie dell’umanità contemporanea
Un primo pensiero va necessariamente alle modalità sceniche e di linguaggio scelte dai due progetti vincitori. Entrambi solo-show, creati e interpretati da due donne, che sembrano suggerire una declinazione diversa e orizzonti ulteriori per questo formato, da sempre al centro della tradizione teatrale italiana con i nostri grandi autori-attori (da Totò Petrolini a Fo, fino ai giorni nostri): da un lato, dal punto di vista dell’approccio tematico, perché tutti e 2 i progetti utilizzano la solo-performance per lavorare in profondità e con radicalità sulla dimensione della solitudine (del performer in scena e dell’uomo nel mondo); dall’altro, sul piano formale, in quanto entrambi si propongono anche come tentativi di invenzione di una scrittura scenica nel campo della parola e della corporeità.
Mad in Europe dell’omonimo gruppo, scritto e portato in scena da Angela De Mattè (Vincitore del Premio Scenario 2015) è la vicenda di un’interprete al Parlamento Europeo, che si trova a circuitare fra lingue, culture, e prospettive completamente diverse fra loro: sola in una stanza, in crisi, si esprime in una lingua multiforme fra il grammelot e l’esperanto, lottando con l’efficacia della (in)comunicabilità e con l’impossibilità di ricordare la propria lingua madre. Individuo e collettività, dimensione biografica e sociale si fondono in un progetto di spettacolo che propone un’invenzione linguistica di una certa potenza, capace di farsi carico della solitudine che siamo costretti a subire in un mondo sempre più interconnesso, contrappuntando visioni intime e una lucida critica di stampo politico.
Questioni di questo genere sono al centro anche dell’intenso Gianni di Caroline Baglioni (Premio Scenario per Ustica 2015), che ricostruisce in scena, nel buio, una vicenda di follia e suicidio con pochi oggetti simbolici e un lavoro audio a partire da frammenti di testimonianze, combinandoli con una recitazione rarefatta e una partitura fisica minima, fatta di ripetizioni e variazioni al limite del biomeccanico. Attraverso questo trattamento di scrittura, il dramma intimissimo e biografico portato in scena riesce a convertirsi su piani di relazione ulteriori, dimostrandosi capace di trasmettere emozioni e sensazioni che possono appartenere a ciascuno di noi. Anche qui, il solo-show, la prospettiva micro e personale, vissuta e biografica, diventa filtro – attraverso la lingua scenica – per parlare dell’uomo d’oggi e del mondo che lo circonda, fra vita e politica.
Un monologo è anche Il piccolo guitto di Massimiliano Aceti, in cui l’autore-attore affronta micro-vicende al limite dell’autobiografia per raccontare con ironia le sensazioni ed emozioni di un giovane, che da bambino diventa adolescente, in una lingua che spazia dall’italiano alla calda familiarità del dialetto.
Se in questo progetto la prospettiva si fonda su un orizzonte prevalentemente umano ed emotivo, si torna invece sul piano dell’attualità e della politica con Kitchen Stories #1: Tutto l’Amore è Clandestino della Ditta Alesse Argira: una donna cucina per il pubblico alcune ricette tunisine, ed è il pretesto per parlare di una storia d’amore clandestina in senso stretto (il fidanzato è un irregolare), uno scambio di culture ed emozioni fra tragedia e ironia che supera le barriere linguistiche, ma anche uno zoom ad alto potenziale delle vicende che si nascondono ogni giorno sotto gli occhi di tutti.

Teatri d’oggi: questioni d’attualità in scena
In generale, si può notare come molti dei progetti presenti in Finale e nelle Semifinali si propongano di lavorare su un piano eminentemente politico, facendosi carico del racconto, della critica e dell’approfondimento di alcune questioni di cocente attualità che popolano il mondo contemporaneo.
È il caso di 2001: Odissea sulla Terra (Cerbero Teatro), in cui vengono ripercorsi gli eventi di quell’anno, ormai così distante da noi, ma con cui ancora non abbiamo smesso di fare i conti: due attori ci accompagnano in una scena sintetica dal G8 di Genova al crollo delle Torri Gemelle, in un continuo ribaltamento di piani e punti di vista in cui vittime e carnefici si scambiano di posto e interrogano così lo spettatore su quei fatti.
Il tema dell’immigrazione invece torna, oltre che nel già citato Kitchen Stories, anche in Scusate se non siamo morti in mare (Arte Combustibile), una drammaturgia fitta e disincantata di Emanuele Aldovrandi, che ribalta l’immaginario comune sulla questione; ma anche in altri lavori della Semifinale piacentina (Erra! di ExeidosSuper Spicy Market di Gesti per niente) e barese (Nastro di MoebiusLa marcia lunga).
Ma anche altre questioni di grande attualità si sono avvicendate sui palcoscenici di Piacenza e Bari: il problema delle violenze in carcere, del loro racconto mediatico e dell’impatto sulla comunità è stato affrontato dal Collettivo Balucani-Svolacchia con Quando scende dalle stelle; la violenza (anche emotiva) di genere in Finalmente sola di Lunaria Teatro; le mafie attraverso la vicenda di Peppino Impastato in Le bombe sono tutte buttane di Produzioni Teatro Kapò; la resistenza operaia, le lotte per i diritti, gli scioperi che ci hanno garantito i diritti che oggi abbiamo da Renata Falcone in Quindicimila; l’infanticidio (Matria di Emiliano Russo); la malasanità (Codice nero di Riccardo Lanzarone); la vicenda di Brenda Wendell Paes, trans uccisa in uno scandalo politico recente (di Simonetta Damato).

Teatri d’oggi: dal reale al surreale
In questo campo, ci sono progetti che mirano esplicitamente ad affrontare questioni d’attualità o di un certo peso politico, traducendole però in un linguaggio scenico che spinge la dimensione normale e quotidiana del reale fino ai suoi limiti estremi, e arrivano così a toccare punte di inaspettato surrealismo.
È il caso delle 2 segnalazioni di questa edizione di Scenario. Pisci ‘e paranzaportato in scena dal gruppo guidato da Mario De Masi (segnalazione Premio Scenario 2015), si fonda su di una testualità al limite dell’assurdo (forse perché appunto vera, troppo vera) e su una recitazione sovraccarica: l’incontro fra una serie di figure del nostro tempo, post- o ultra-beckettiane, alla fermata di un autobus ormai perso, è sospeso fra le polarità dell’incontro e dello scontro (fra posizioni, culture, vite), mostrando un micro-mondo fra realtà e fantasia, un ironico e feroce caleidoscopio di disagi, guardato al microscopio nelle sue contraddizioni e che cortocircuita con l’energia degli attori in scena.
Con Homologia di DispensaBarzotti (segnalazione Premio Scenario 2015) si torna per certi versi all’one-man show, restando comunque nel campo dell’incontro fra attualità e surrealtà, o, meglio, di un iperrealismo spinto all’estremo (sottolineato anche dalla scelta di utilizzare in parte il teatro di figura): la vicenda è quella di un vecchio solo, chiuso nel suo appartamento fra la tv e la poltrona; ma a un tratto la triste normalità della sua vita si incrina e prende vie del tutto inaspettate.
Su un piano diverso, ma con una temperatura simile, il lavoro della Ballata dei LennaIl paradiso degli idioti sa raccontare molto del disagio contemporaneo, però attraverso scelte iconografiche che attingono a piene mani all’immaginario pop, lo triturano e lo restituiscono in una scena cangiante e visionaria. Anche Xenos, alla Semifinale di Bari, ha proposto un affondo in un universo surreale e in una narrazione fra fantasia e realtà (Xenofilia); così come exvUoto Teatro, a Piacenza, che con il suo Sister(s) disegna un universo onirico, realissimo eppure surreale, magico e tragico, che rimastica le miserie di provincia con visioni impossibili (eppure incredibilmente così prossime al vero).

Il filtro del racconto: mito, epica, fiaba, teatro
Ci sono anche progetti che affrontano i nodi-chiave del contemporaneo ricorrendo a strutture archetipiche, mitiche, epiche, della fiaba o della storia.
Per quanto riguarda quelli giunti in Finale, è il caso dell’originale lavoro sulla rapsodia svolto da Industria Indipendente con Ho tanti affanni in petto: una riscrittura dell’Iliade che si scompone e ricompone davanti agli occhi dello spettatore, nelle voci e nelle azioni di una decina di interpreti, vertiginoso corpo unico della narrazione. Alle Semifinali, a Piacenza, si è visto un approccio al mito anche in Scimmie di If Prana (sempre intorno all’Iliade) e in Come l’acqua in un bicchiere rotto di Piera Mungiguerra (da Orfeo e Euridice).
Un altro piano è toccato da quei progetti che si sono concentrati su specifiche figure del mito, arcaico o modernissimo, per affrontare vicende e questioni di carattere più biografico (nelle Semifinali: Il minotauro di Alessandro StellacciCajka_7050 di Alice Bachi, Anema ‘e carne di Di Tommaso/CredentinoKaligola di Luca Trezza).
Per tutto un altro verso, si pone su un livello piuttosto prossimo anche Biancarosarossa di MAB ensemble: una rilettura ironica e feroce della fiaba portata in scena da due attrici in modo espressionista e stilizzato, avvolte da una ricerca visiva di una certa potenza, dalla magia di alcune soluzioni di artigianato teatrale di impatto e da un sapiente lavoro sonoro (live e non). Nelle Semifinali di Piacenza, la fiaba è stata utilizzata anche dalla Compagnia del Minotauro, con Nello stomaco di Barbablù, così come da Intus che, attraverso Peter Pan, ha affrontato i problemi di genere negli adolescenti; e, in misura diversa, da La Storia Infinita di Mara Cassiani, un lavoro di grande impatto visivo ed emotivo che includeva un alto grado di imprevidibilità tramite l’interazione con dei bambini in scena.
Su un altro piano ancora, possiamo richiamare Courage! di Murè Teatro, che parte invece da Madre coraggio per parlare dell’instabilità del mondo di oggi (e del teatro in particolare): oltre a pezzi brechtiani c’è la fuga dall’Italia e il miraggio di una vita migliore all’estero, la precarietà e il sacrificio, lo sfratto e la resistenza, portati in scena con energia da tre attori, insieme a musiche dal vivo e intelligenti soluzioni sceniche.

Giovani del nostro tempo
C’è un’altra linea ben presente nelle Semifinali, percepibile in filigrana anche nei progetti giunti in Finale: quella della visione dei giovani sul proprio statuto, sul proprio tempo, sull’instabilità e la precarietà che governa le loro vite, sulla difficoltà di arrivare e l’impossibilità di fermarsi, la volontà e non volontà di diventare grandi, la competizione, l’indecisione, l’incertezza.
A Piacenza, da Livello 4 con Fuori di sesto, Color Teatri con I fantastici 5; da OSM con Superman, al teatro di figura di Manimotò (Tabù), fino a Homo Sacer di Luoghi Comuni; mentre a Bari, Il rimedio di Irene Canale e What are you dying for? di Ailorus.
A Piacenza, lavoravano su questi piani anche alcuni progetti dedicati al tema della maternità (Io te e noi due di Frettoli/GalassiB & B di DaeronfilmNé – non si sa come si nasce… di Spazio-T e Gurdulù Teatro).
Su un piano diverso, quello delle nuove tecnologie e del loro impatto sulla dimensione umana contemporanea, a Piacenza si è vista la proposta di Manifesto di Big Action Money, strutturato su una drammaturgia composita che attinge tanto ai new media quanto a fonti testuali più classiche; mentre a Bari, Addiction di De Mix, che ricostruisce in scena le diverse prospettive e pratiche che si irradiano intorno a vicende di cyberbullismo.

Roberta Ferraresi

Debutta Scenario: tra memoria e disincanto

Recensione di É bello vivere liberi di Marta Cuscunà e Pink Me & The Roses di Codice Ivan

Foto di Giuseppe Borsoi

Foto di Giuseppe Borsoi

Non delude il debutto di Marta Cuscunà – Premio scenario per Ustica 2009. La giovane ragazza friulana che questa estate si è aggiudicata il premio della giuria con È bello vivere liberi! porta avanti il suo percorso tra teatro di narrazione e di figura, stupendo per la freschezza e l’ilarità e dimostrando grande coraggio e determinazione.

Vi ricordate gli occhi di vostra nonna? Quando li vedevate accendersi di gioia, nel momento del ricordo, quando la sua mente tornava indietro e ripescava dal fondo di un baule sepolto dagli anni tutto quello che era stato. In un attimo era una ragazza forte e bella, di spalle un po’ grosse ma di sguardo fiero e deciso. Questa è la memoria. Questo è lo sguardo di Marta Cuscunà, mentre in scena riporta alla mente immagini della biografia di Ondina Peteani, staffetta della resistenza partigiana in Italia. La storia di Ondina è simile a molte altre: l’ascesa al potere fascista in Italia, l’avvicinamento ad alcuni gruppi di partigiani Jugoslavi come presa di posizione giovanile, la lotta, la fuga sulle montagne, l’arresto e il viaggio ad Auschwitz. La memoria e il racconto sono il passo più breve per avvicinarsi al Teatro di Narrazione, ma questa giovane attrice lo fa con un piglio tutto suo: affronta i suoi personaggi di petto per una recitazione leggera che sa rapire il pubblico e strappargli sincere risate. Un’ora e mezza passa veloce e resta la soddisfazione di un’operazione ricca seppur tradizionale – ai burattini vengono lasciati il dramma e la violenza  – per un lavoro poetico e destinato a crescere.

Tutto un altro teatro è quello di Codice Ivan. Il gruppo vincitore dell’edizione di quest’anno nasce da esperienze artistiche diverse e pluridisciplinari e, infatti, il lavoro che presenta risulta vicino alla  più cinica arte contemporanea. Partendo dal presupposto, metateatrale per eccellenza, di portare il processo creativo in scena, Pink, Me & the Roses analizza la pratica teatrale smontandone il dispositivo in oggetti, in fasi: nascita, errore, morte. Un’ immagine iniziale poetica/Stop/Un’altra immagine stilizzata e straniante/Stop/Analisi. Un processo che si ripete all’infinito, una casa dalle mille scale di Escher, uno sdoppiamento continuo di specchi paralleli. Si avvicina ad alcune opere d’arte contemporanea, installazioni apparentemente vuote di significato nelle quali è il processo creativo ad assumere un valore artistico rilevante.

foto di Federica Giorgetti

foto di Federica Giorgetti

Questo sembra essere ed è un lavoro concettuale importante, non solo riportato dalle immagini ma sostenuto dalle parole, che ci arrivano da un playback postumo a dimostrare che quello che abbiamo appena visto in scena (compresi i commenti che stiamo ascoltando) era ed è tutto già calcolato. Un lavoro quindi certamente interessante, che riflette sulla natura del teatro partendo dalla semplice favola di Esopo: quella in cui lo scorpione uccide la rana “perché è la sua natura” – un piccolo oggetto preso come esempio per imbastirci intorno un discorso molto più ampio e complesso che a forza di riflettersi in se stesso rischia di inciampare proprio nella vera natura del teatro. I giovani autori sembrano trovare una via d’uscita in una “riscoperta onestà”, uscendo dalla scena, «essendo, senza copione, delle semplici persone davanti ad altre persone che le stanno a guardare». Ma l’estrema semplicità proposta a scardinare il gioco e la dichiarata pretesa di «non voler dire niente» lasciano un po’ d’amaro in bocca, un po’ di stupore disincantato di fronte ad un teatro giovane e già così autoreferenziale.

Visto a VIE – Scena Contemporanea Festival, Modena

Camilla Toso


Incroci: intervista a (tutta) la Generazione Scenario ’09

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Abbiamo imparato a conoscerli, in quest’estate di festival, i nuovi quattro di Generazione Scenario: a Volterra, a Dro, a Bassano, impegnati in tournée fittissime a mostrare quei primi venti minuti di spettacolo che gli sono valsi la segnalazione al Premio fra i più ambiti dalle compagnie di teatro emergente. Sono quattro nuclei completamente diversi: Codice Ivan, i vincitori, in tre che si conoscono da anni ma sono insieme in un progetto comune per la prima volta con Pink, Me & The Roses; Anagoor, che da anni lavorano insieme; Marta Cuscunà, Premio Scenario per Ustica, sola in scena; e, infine, un altro terzetto, Odemà, anche qui, riunitosi ad hoc intorno al nuovo progetto.  Quattro “venti minuti” spiazzanti, da quanto sono differenti, dal delicato e micidiale interrogarsi intorno al fare teatrale di Codice Ivan, all’originale percorso di narrazione della Cuscunà, fra burattini e storia, dalla grazia delle immagini di Anagoor al dirompente lavoro sul divino di Odemà: estetica calcolatissima e affondo nel teatro, poi nuove forme di narrazione, un altro teatro-immagine destinato a restare sospeso nella mente dello spettatore e, infine, un teatro d’attore come non se ne vedeva da un po’.
Allora li abbiamo cercati, fra uno spettacolo e l’altro, in questa prima estate di festival per la nuova Generazione Scenario. E li abbiamo trovati, in forma scritta, per queste poche rapidissime domande, che vogliono tracciare un ritratto – o almeno un invito al ritratto – del teatro emergente proposto dal Premio Scenario 2009. Li mostriamo, in frammenti, alla vigilia dell’atteso debutto modenese, dove, a VIE Festival, presenteranno il lavoro completo.
Qui di seguito, in bottaerisposta davvero fitti, quattro modi di dire e di fare il teatro, quattro modi di parlare (e forse più) che si intrecciano – serratissimi – fra auto-presentazioni minimal, prospettive per lo spettacolo, esperienza di Scenario e rapporto col pubblico. Quattro modi, in fondo, di pensare il teatro che, in questi anni di riferimenti precisati e accostamenti prevedibili, non ci aspettavamo proprio.

Il primo spettacolo visto, e il primo fatto?
Codice Ivan: Pink è il primo lavoro di Codice Ivan… Il resto sono storie personali…
Anagoor
: Il nucleo principale di Anagoor è composto da sei persone quindi esiste un “primo spettacolo visto” per ciascuno di noi. Piuttosto è stata fondamentale la condivisione e certi viaggi (passate edizioni dei festival di Dro e Santarcangelo; Cesena, Terni o Roma andata e ritorno in una notte; Avignone 2005…). Il primo fatto è un lavoro su Baccanti di Euripide.
Marta Cuscunà: Che faccia fare di Lella Costa, regia di Vacis. Rito d’autunno, creazione collettiva del Laboratorio Fare Teatro di Monfalcone, condotto da Luisa Vermiglio.
Odemà: Il primo visto è Sorelledi, regia di Claudio Orlandini, il primo fatto Lo zoo di vetro di Tennessee Williams (Davide Gorla); il primo visto Arlecchino servitore di due padroni, regia di Strehler, il primo fatto Anything goes di Cole Porter (Giulia D’Imperio); il primo visto è La sirenetta di Andersen; il primo fatto La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams (Enrico Ballardini).

Qual è lo spettacolo dell’anno?
Codice Ivan: Il concerto di Nada Malanima a CanGo.
Anagoor: La Natura delle Cose di Virgilio Sieni.
Marta Cuscunà: Spero sarà il mio! A parte gli scherzi, per me è Sonja, diretto da Alvis Hermanis.
Odemà: Odissea di César Briè (Enrico Ballardini), Le Pulle di Emma Dante (Giulia D’Imperio), quest’anno purtroppo ho visto solo i lavori di Scenario e concordo con la giuria: Pink, Me & The Roses (Davide Gorla).

Il vostro, è un processo creativo collettivo o esiste una suddivisione dei ruoli?
Codice Ivan: È un processo creativo collettivo.
Anagoor: Le due cose coesistono.
Marta Cuscunà: È un progetto nato in solitaria: l’ho ideato, scritto e iniziato a mettere in scena da sola. In un secondo momento, ho coinvolto Marco Rogante che si è occupato di luci e musiche e Belinda De Vito che ha costruito pupazzi e oggetti di scena.
Odemà: La nostra ricerca espressiva si basa proprio sul non dare limiti di ruolo, tutti devono essere in grado di partecipare attivamente al processo creativo. Nel teatro che facciamo l’attore diventa anche autore e regista.

In una parola, cos’è il vostro teatro? E cosa non è?
Codice Ivan: Un tentativo liquido. Non è solido.
Anagoor: È un manifestarsi. Non è un riprodurre.
Marta Cuscunà: Spero sia necessario, per me lo è, mi auguro lo sia anche per il pubblico. Non è intrattenimento.
Odemà: Il nostro teatro è domanda. Non è un’idea preconcetta.

Tre parole o immagini per descrivere il vostro progetto?
Codice Ivan: Un palloncino che scoppia, la scena bianca, il trashironicometateatrale.
Anagoor: La Venere dormiente di Dresda, l’autoritratto di Giorgione in forma di David e la Giuditta di San Pietroburgo.
Marta Cuscunà: Teatro di figura, giovani schierati e straordinariamente felici, irrefrenabile bisogno di libertà.
Odemà: Partoriente, spietato, cialtrone.

Quali erano i materiali di partenza?
Codice Ivan: Gli studi sull’apprendimento di Pavlov. I video dei suoi esperimenti. La favola della rana e dello scorpione.
Anagoor: Il Fregio di Giorgione conservato a Castelfranco; i libri, l’immensa bibliografia su Giorgione in particolare i contributi critici di Augusto Gentili, Silvio D’Amicone e Manlio Pastori Stocchi che hanno permesso il delinearsi di una nuova visione di Giorgione.
Marta Cuscunà: La biografia di Ondina Peteani scritta dalla storica Anna Di Giannantonio, materiali e documenti inediti di Ondina, memorie di altri partigiani.
Odemà: Lo spazio, un telo, due sedie, una chitarra rotta, un cappello e noi stessi.

Chi o cos’è il protagonista dello spettacolo? Cosa volete dire?
Codice Ivan: Lo spettacolo stesso… alla fine, o all’inizio, si scopre come finzione, e noi siamo solo qualcuno che fa qualcosa davanti ad altre persone che guardano. Niente, non vogliamo dire niente. Così possiamo dire qualcosa, forse…sulla difficoltà delle relazioni e della comunicazione. Sulla difficoltà di essere sempre presenti a se stessi, di non disciogliersi come cartoons dentro la salamoia…Il protagonista?…il fallimento della comunicazione …e l’inevitabile bisogno di riprovarci. Sempre.
Anagoor:
L’Apocalissi personale.
Marta Cuscunà: Ondina Peteani che, a 17 anni, scopre i valori dell’antifascismo e decide con entusiasmo di partecipare alla Resistenza per cambiare il proprio Paese. Dato che oggi viviamo in uno stato di rassegnata apatia in cui ci lamentiamo ma non facciamo nulla, vorrei ricordare che il contributo di ciascuno è fondamentale per la vita della società.
Odemà: L’umanità del divino.

Una citazione dal vostro spettacolo che sia rappresentativa del lavoro:
Codice Ivan: «Lo vorrei fare ma non lo farei mai. Cioè lo vorrei fare…»
Anagoor: Due motti che compaiono nel Fregio di Castelfranco ci hanno guidato: «Fortior qui cupiditatem vincit quam qui hostem subiecit» (È più forte chi vince il desiderio di chi sconfigge il nemico) e «Si prudens esse cupis in futura prospectum intende» (Se vuoi essere saggio volgi lo sguardo alle cose future).
Marta Cuscunà: Nel titolo c’è tutto: « È bello vivere liberi!»
Odemà: «Mi hai detto che mi avresti dato potere e gloria!» «E te li darò… ma ricordati del nostro accordo: li avrai ma dopo la tua morte».

Qual è il prossimo passo, in una parola?
Codice Ivan: Terminare Pink
Anagoor: Saga.
Marta Cuscunà: Andareinscena.
Odemà: Resistere.

In cosa vi ha cambiato il processo di lavoro del Premio Scenario?
Codice Ivan: Quando abbiamo deciso di partecipare alla prima selezione, eravamo all’inizio del lavoro su Pink, ma anche all’inizio del nostro lavorare assieme come Codice Ivan, e l’avere un percorso da affrontare, da seguire in tappe successive è stato veramente fondamentale. Ci è servito per trovare una nostra modalità operativa, che sicuramente sarebbe emersa, comunque, ma probabilmente con più difficoltà ed inceppi.
Anagoor: Costruiamo passo dopo passo, con urgenza, ma senza fretta. Lasciando sedimentare. Una lezione importante.
Marta Cuscunà: A livello personale non mi ha cambiata ma ha influenzato molto il lavoro pratico. Quando mi sono iscritta avevo già il copione completo. Dovendo mettere in scena solo venti minuti, ho dovuto selezionare il materiale. È nato un collage degli elementi distintivi del mio progetto: la commistione di monologo civile, teatro popolare di burattini e linguaggi evocativi del teatro di figura con pupazzi.
Odemà: Non ha cambiato il nostro modo di lavorare, ci troviamo frequentemente per allenarci e buttare nuova carne al fuoco. Aver vissuto questa esperienza è stato certamente incoraggiante, grazie anche alla sensibilità umana e artistica di coloro che costituiscono l’associazione Scenario. Abbiamo vissuto e viviamo ogni tappa con entusiasmo e sorpresa. Siamo felici di poter presentare il nostro progetto in teatri e rassegne a cui difficilmente avremmo avuto accesso.