Primavera dei Teatri 2010

Paolo Mazzarelli presenta Figlidiunbruttodio

Abbiamo incontrato Paolo Mazzarelli, autore e interprete insieme a Lino Musella di Figlidiunbruttodio, uno spettacolo scritto a quattro mani che racconta l’Italia del 2010 attraverso due storie: una coppia di emarginati da un lato e la vicenda di un ragazzo che cerca il successo con un reality affidandosi a un produttore.

Fabrizio Parenti presenta Variazioni sul modello di Kraepelin

Abbiamo intervistato il regista Fabrizio Parenti della compagnia Quellicherestano: a Primavera dei Teatri presentano in prima nazionale Variazioni sul modello di Kraepelin, testo scritto da Davide Carnevali e vincitore del Premio Riccione “Marisa Fabbri” 2009. Dopo alcune informazioni riguardanti la compagnia, Parenti parla dello spettacolo che si ispira al dramma di un uomo malato di Alzheimer e immerge tutti i personaggi in una atmosfera beckettiana e di infinite variazioni pinteriane.

Giovanni Guerrieri presenta ESSEDICE

Giovanni Guerrieri della compagnia I Sacchi di Sabbia presenta lo spettacolo ESSEDICE nato dalla collaborazione tra il gruppo toscano, il famoso fumettista Gipi e il mascheraio Ferdinando Falossi. Un lavoro interessante che debutta in prima nazionale a Primavera dei Teatri e che coniuga diverse modalità artistiche per offrire una riflessione sul tema della Memoria e del Tempo.

Affascinante Metamorfosi

Recensione a La Metamorfosi – Seconda MutazioneCittà di Ebla

La Metamorfosi - Città di Ebla

L’antefatto kafkiano è noto: Gregor Samsa scopre di aver subito una metamorfosi, ritrovandosi ad assumere le sembianze di uno scarafaggio. Uno dei testi più celebri dello scrittore di Praga, nonché uno di quei capolavori immaginifici e concettuali difficili da pensare in una trasposizione teatrale, è stato affrontato con temerarietà e forza visionaria da Città di Ebla. La MetamorfosiSeconda Mutazione è un lavoro essenziale, esteticamente ineccepibile e sonoricamente coinvolgente, che non si limita a tradurre in immagini l’omonimo racconto di Franz Kafka al quale si ispira, ma, al contrario, lo vive nella sua forza più vitale in scena, aprendo a nuovi, possibili significati.

Ideato e diretto da Claudio Angelini – curatore, anche, di un’illuminazione di grande effetto e accuratamente studiata –, lo spettacolo diviene pulsante grazie all’incredibile performer Alessandro Bedosti: un corpo puro, totalmente presente e protagonista, vibrante, potente, in grado di comunicare, con una coreografia corporea poetica e credibile, la metamorfosi subita da Samsa.

Rinchiusosi in bagno per fuggire all’assillo di una segreteria telefonica sintomatica di una vita alto-borghese fatta di rapporti formali, doveri professionali e obblighi famigliari, la sua metamorfosi assume i tratti di una rinascita. Fuggendo alla propria immagine riflessa nello specchio, è nella vasca che il protagonista trova rifugio per poi uscire dall’acqua cambiato. Un’acqua che comincia a trasudare dalle pareti stesse della stanza perfettamente ricostruita in scena: una sorta di liquido amniotico che, avvolgendolo sempre più, lo accompagna nel difficile e sofferto processo di trasformazione. Ma quando la metamorfosi è giunta a compimento, il bagno-box che lo ha protetto ma anche chiuso per tutto il tempo diviene claustrofobico, opprimente, stretto: l’insetto può e deve venire completamente alla luce. Può così abbracciare la nuova forma che ha assunto – non scelto, ma nemmeno subito – nell’immagine ingigantita e scultorea di un insetto, mentre la parete-vetrina della stanza da bagno si tinge di un liquido coagulato che staglia un’ombra sinistra sul finale di quello che sembrava essere un processo non solo di trasformazione ma anche di liberazione. Una conclusione criptica, dalle molteplici possibilità interpretative, chiude un lavoro sicuramente complesso ma che probabilmente non chiede di essere capito – e quindi interpretato – ma semplicemente sperimentato, sentito, percepito. Perché va a sondare negli anfratti più oscuri dell’essere umano e della sua disumanizzazione, nel senso di divenire – o tornare a essere – animale, pura energia corporea, pulsazioni vitali: essere vivente. La vera larva è quella dell’inizio, l’uomo in giacca e cravatta, in poltrona, tediato dalla routine; un corpo sgonfio, vuoto, oppresso: forse il vero “mostro” della storia, nel quale si è trasformato lentamente, senza potersene rendere conto, per poi esplodere in una seconda mutazione.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Silvia Gatto

La Metamorfosi, Seconda Mutazione – Città di Ebla

31.05.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo La Metamorfosi di Città di Ebla

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Figlidiunbruttodio – Musella Mazzarelli

31.05.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo Figlidiunbruttodio della Compagnia Musella Mazzarelli.

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Primo giorno di workshop con Erba

Uno spunto che si palesa come un lampo in testa, un’immagine, una frase: tenerla e metterla da parte, essere pazienti e aspettare. Se questo frame è buono, il giorno dopo – o meglio, i giorni dopo – crescerà e l”intuizione diverrà idea, soggetto, storia concreta.

Nel primo giorno di workshop di scrittura drammaturgica, che si tiene al Festival Primavera dei Teatri, l’insegnante d’eccezione Edoardo Erba incontra i partecipanti e sottolinea come sia necessario avere un vocabolario comune per intendersi e non cadere in incomprensioni. Il drammaturgo di fama nazionale – molto conosciuto anche all’estero grazie alla traduzione dei suoi lavori in diverse lingue – puntualizza come tutto ciò che verrà detto sarà opinabile, perché il suo punto di vista è quello che, poi, viene confermato e riconfermato in tutti i suoi scritti ma non è ovviamente il solo possibile. Proprio per questo era stato chiesto ai partecipanti  all’iscrizione, di leggere almeno una sua pièce per capire meglio lo stile e la poetica di un autore che con ironia e sarcasmo affronta la realtà.

Erba specifica e offre le coordinate comuni che serviranno ad affrontare un laboratorio molto concentrato dato la sua breve durata di sei giorni. Coordinate che secondo lui sono anche alla base per iniziare la stesura di un testo. Innanzitutto abolisce la parola “tema”, sottolineando come questo non generi quasi mai un’idea ma invece si risolva in una bolla di sapone, una chiusura da cui è difficile trovare interessanti modi di approfondimento. Ma soprattutto l’autore afferma come la scrittura non sia un’attività che si improvvisa: bisogna allenarsi, come ci si allena per una gara importante. E qui vengono in mente i due protagonisti di Maratona di New York – il dramma che lo ha reso celebre – che tentano di prepararsi al grande evento, ma in realtà non hanno una vera e forte volontà: il loro allenamento faticoso viene esorcizzato in diverse modalità che ovviamente non gli permetteranno di arrivare preparati alla dura gara. Viene anche in mente Orhan Pamuk, il premio Nobel alla letteratura, che in più di una dichiarazione ha espresso come scrivere non sia per lui qualcosa di automatico, ma di come abbia bisogno di dedicare ogni giorno alla pagina bianca molto tempo, come se fosse un rituale magico dove le parole prendono forma, i personaggi prendono vita.

Dopo essersi presentato e definito come un “onnivoro” per aver lavorato in diversi campi, dalla televisione al teatro, dalla pubblicità alla radio, Erba lascia spazio ai partecipanti: ognuno si presenta, nella sua diversità e di fronte alla tanta curiosità che si respira in mezzo a questo gruppo eterogeneo per età e passioni. Quasi tutti interessati alla scrittura e al raccontare qualcosa della propria vita, vengono invitati nella seconda parte della giornata ad esprimere che cosa li ha colpiti durante le presentazioni: una frase, una curiosità, un modo di essere, di interagire o semplicemente di non parlare. Informazioni più disparate o semplicemente situazioni misteriose, sottese e non esplicitate, iniziano ad essere prese come spunto e guidano i partecipanti in un percorso fatto di proprie immagini mentali, di storie ricostruite nella propria testa: Erba adotta un ottimo metodo lavorativo che si prospetta molto interessante. Non resta che attendere per vedere come si svilupperà il materiale immaginifico raccolto…

Carlotta Tringali

Ibridi del Duemila

C’era una volta la performance, abitava i luoghi più disparati, poteva durare pochi minuti come interi giorni, ed era tenuta separata dal palcoscenico. Correva il secolo ‘900, poi qualcosa è cambiato. Se si assume per buona la proporzione “cinema sta a video-art come teatro sta a performance”, è possibile, a partire da questo parallelismo, notare tendenze e divergenze per proseguire, da un altro punto di vista, la riflessione legata al cambio di secolo da dieci anni avvenuto.

La nascita della video-art e della performance avviene quasi contemporaneamente, in quel medesimo e mitico periodo di rivoluzione culturale, ideologica, generazionale ed inevitabilmente artistica che furono gli Anni ’60. Entrambe si svincolano dalle regole di durata e narratività dei corrispettivi generi per il grande schermo o il palco, andando ad abitare e scoprire i luoghi più disparati, invadendo strade e piazze e muri spesso con un dichiarato desiderio eversivo, per poi vedersi aprire le porte dei musei di arte contemporanea. Passati ormai cinquant’anni, la presenza di eventi performativi o video-installativi in mostre non scandalizza certo più; tutti lavori, nella maggior parte dei casi, che lasciano liberi gli spettatori di decidere cosa vedere e per quanto tempo: di fronte a operazioni ideate per durare anche intere giornate, il pubblico può scegliere, costruendo una sua personale e soggettiva esperienza visiva, come affrontare l’opera.

La video-art, anche nel 2000, continua ad avere un suo ampio e riconosciuto spazio all’interno di numerose manifestazioni dedicate all’arte contemporanea, non infiltrandosi mai nelle sale cinematografiche se non in rarissimi casi, come Matthew Barney, i cui lavori però rispettano, a suo modo, i canoni di durata, narratività e fotografia tipici dei film. Eccezioni che confermano la regola a parte, cinema e video-art hanno sempre rispettato i luoghi ad essi deputati, al contrario del teatro, che, nel Novecento, è uscito dalle sale per invadere gli spazi tipici delle performance — nel senso di scelta artistica e politica consapevole rispetto al teatro di strada dei secoli precedenti. E la performance si è presa la sua rivincita, conquistando il palcoscenico. Si possono, infatti, osservare come tendenza di questo nuovo millennio incursioni sempre più frequenti di linguaggi ed estetiche che si allontanano dai canoni tipicamente teatrali: sdoganati da obblighi minimi di durata, molti sono i lavori della nuova generazione che non sembrano seguire alcun principio narrativo (intendendo con questo termine non la presenza esplicita di un racconto, ma più in generale la presenza di un inizio, uno svolgimento ed una conclusione evidenti, percepibili), privilegiando di gran lunga l’immagine rispetto alla parola. Con risultati affascinanti, emozionanti e con una carica innovativa dirompente nella maggior parte dei casi, ma con il rischio, talvolta, che lo spettatore si senta costretto nell’assistere, seduto in platea, a qualcosa che vorrebbe, invece, avere la libertà di poter selezionare nella visione — “come ai vecchi tempi”, verrebbe da dire.

In tutti i casi, comunque, il risultato è uno svelamento dei percorsi di ricerca condotti dai singoli gruppi che, divenendo fulcro centrale al posto della creazione di uno spettacolo definitivo, creano un nuovo tipo di interazione con il pubblico, sempre più partecipe delle tappe creative. Una partecipazione più intima – perché andare in scena quando “non si è pronti”, mostrando quindi i propri esperimenti, tentativi e, anche, errori, è un atto di generosa fiducia e apertura verso gli spettatori, chiamati a testimoniare un’esperienza più che a elaborare un giudizio definitivo. Occorre forse trovare un equilibrio tra la tendenza del Duemila della serialità del momento di ricerca e lo spettacolo compiuto sicuramente novecentesco, ma al quale il pubblico non sembra certo voler rinunciare. Molti sono i gruppi che si stanno muovendo in questa direzione, tra performance e teatro – e, infatti, anche la figura dell’attore e quella del performer sono sempre meno distinguibili – proprio nel tentativo di instaurare un rapporto più stretto, quasi di conoscenza reciproca, con il pubblico.

Silvia Gatto

 

Claudio Angelini presenta La Metamorfosi

Città di Ebla stasera mette in scena la Seconda Mutazione de La Metamorfosi — creazione scenica liberamente ispirata al racconto di Franz Kafka. Claudio Angelini, ideatore e regista del progetto, racconta come si è formato il collettivo artistico di Forlì, soffermandosi, in particolare, sullo spettacolo che stasera abiterà il Chiostro del Protoconvento.

La Violenza

Recensione a La violenzaCarro di Tespi

Secondo spettacolo della serata del 30 maggio La violenza della compagnia Carro di Tespi, un testo importante ispirato alla figura di Giuseppe Fava, giornalista e scrittore siciliano ucciso dalla mafia ventisei anni fa. Uno spettacolo per non dimenticare, per non lasciarsi andare all’oblio.

La compagnia calabrese porta in scena un’attenta ricostruzione di un processo per l’uccisione di un sindacalista, uomo giovane che lottava per la libertà della sua gente, un personaggio (immaginario ma emblematico per tutti quei Pasolini, Impastato, Fava) scomodo per la mafia locale. In scena la madre del sindacalista interpretata da una toccante e tragica Maria Marino, Giuseppe Cucco nei panni dell’avvocato – vero mandatario dell’omicidio – e Valerio Strati: il killer.

Tratto da un testo teatrale ricco di personaggi, La violenza di Giuseppe Fava è stato riadattato dal regista Luciano Pensabene per soli cinque attori: un’azione sicuramente complessa e forse rischiosa. L’impianto registico si sviluppa principalmente sulla volontà di rappresentare una giustizia lontana e distante. Ecco allora che i personaggi in carne ed ossa sulla scena sono uomini comuni con i loro difetti e le loro ragioni, mentre la giustizia e il potere stanno al di sopra di tutto, distanti. Dei due valori, opposti e complementari, appare solo l’immagine virtuale nella forma bidimensionale della proiezione. Una scelta comprensibile se sviluppata e curata minuziosamente.

L’accusa e la difesa si scontrano in un dibattito impari e la chiusura del processo porta sempre alla stessa conclusione. Era il 1983: nulla è cambiato. «Cosa siete disposti a sacrificare?» il silenzio della sala sembra rispondersi da solo, lo sguardo attonito degli attori colpisce implacabile. «La mafia è in Parlamento»: le parole di Fava irrompono in scena a risvegliare il pubblico. Questo spettacolo è la triste sineddoche di una realtà ben più dolorosa: alla compagnia il difficile compito di riportare alla memoria, ricordare per resistere.

Camilla Toso