programma teatro castrovillari

Ibridi del Duemila

C’era una volta la performance, abitava i luoghi più disparati, poteva durare pochi minuti come interi giorni, ed era tenuta separata dal palcoscenico. Correva il secolo ‘900, poi qualcosa è cambiato. Se si assume per buona la proporzione “cinema sta a video-art come teatro sta a performance”, è possibile, a partire da questo parallelismo, notare tendenze e divergenze per proseguire, da un altro punto di vista, la riflessione legata al cambio di secolo da dieci anni avvenuto.

La nascita della video-art e della performance avviene quasi contemporaneamente, in quel medesimo e mitico periodo di rivoluzione culturale, ideologica, generazionale ed inevitabilmente artistica che furono gli Anni ’60. Entrambe si svincolano dalle regole di durata e narratività dei corrispettivi generi per il grande schermo o il palco, andando ad abitare e scoprire i luoghi più disparati, invadendo strade e piazze e muri spesso con un dichiarato desiderio eversivo, per poi vedersi aprire le porte dei musei di arte contemporanea. Passati ormai cinquant’anni, la presenza di eventi performativi o video-installativi in mostre non scandalizza certo più; tutti lavori, nella maggior parte dei casi, che lasciano liberi gli spettatori di decidere cosa vedere e per quanto tempo: di fronte a operazioni ideate per durare anche intere giornate, il pubblico può scegliere, costruendo una sua personale e soggettiva esperienza visiva, come affrontare l’opera.

La video-art, anche nel 2000, continua ad avere un suo ampio e riconosciuto spazio all’interno di numerose manifestazioni dedicate all’arte contemporanea, non infiltrandosi mai nelle sale cinematografiche se non in rarissimi casi, come Matthew Barney, i cui lavori però rispettano, a suo modo, i canoni di durata, narratività e fotografia tipici dei film. Eccezioni che confermano la regola a parte, cinema e video-art hanno sempre rispettato i luoghi ad essi deputati, al contrario del teatro, che, nel Novecento, è uscito dalle sale per invadere gli spazi tipici delle performance — nel senso di scelta artistica e politica consapevole rispetto al teatro di strada dei secoli precedenti. E la performance si è presa la sua rivincita, conquistando il palcoscenico. Si possono, infatti, osservare come tendenza di questo nuovo millennio incursioni sempre più frequenti di linguaggi ed estetiche che si allontanano dai canoni tipicamente teatrali: sdoganati da obblighi minimi di durata, molti sono i lavori della nuova generazione che non sembrano seguire alcun principio narrativo (intendendo con questo termine non la presenza esplicita di un racconto, ma più in generale la presenza di un inizio, uno svolgimento ed una conclusione evidenti, percepibili), privilegiando di gran lunga l’immagine rispetto alla parola. Con risultati affascinanti, emozionanti e con una carica innovativa dirompente nella maggior parte dei casi, ma con il rischio, talvolta, che lo spettatore si senta costretto nell’assistere, seduto in platea, a qualcosa che vorrebbe, invece, avere la libertà di poter selezionare nella visione — “come ai vecchi tempi”, verrebbe da dire.

In tutti i casi, comunque, il risultato è uno svelamento dei percorsi di ricerca condotti dai singoli gruppi che, divenendo fulcro centrale al posto della creazione di uno spettacolo definitivo, creano un nuovo tipo di interazione con il pubblico, sempre più partecipe delle tappe creative. Una partecipazione più intima – perché andare in scena quando “non si è pronti”, mostrando quindi i propri esperimenti, tentativi e, anche, errori, è un atto di generosa fiducia e apertura verso gli spettatori, chiamati a testimoniare un’esperienza più che a elaborare un giudizio definitivo. Occorre forse trovare un equilibrio tra la tendenza del Duemila della serialità del momento di ricerca e lo spettacolo compiuto sicuramente novecentesco, ma al quale il pubblico non sembra certo voler rinunciare. Molti sono i gruppi che si stanno muovendo in questa direzione, tra performance e teatro – e, infatti, anche la figura dell’attore e quella del performer sono sempre meno distinguibili – proprio nel tentativo di instaurare un rapporto più stretto, quasi di conoscenza reciproca, con il pubblico.

Silvia Gatto

 

Claudio Angelini presenta La Metamorfosi

Città di Ebla stasera mette in scena la Seconda Mutazione de La Metamorfosi — creazione scenica liberamente ispirata al racconto di Franz Kafka. Claudio Angelini, ideatore e regista del progetto, racconta come si è formato il collettivo artistico di Forlì, soffermandosi, in particolare, sullo spettacolo che stasera abiterà il Chiostro del Protoconvento.

La Violenza

Recensione a La violenzaCarro di Tespi

Secondo spettacolo della serata del 30 maggio La violenza della compagnia Carro di Tespi, un testo importante ispirato alla figura di Giuseppe Fava, giornalista e scrittore siciliano ucciso dalla mafia ventisei anni fa. Uno spettacolo per non dimenticare, per non lasciarsi andare all’oblio.

La compagnia calabrese porta in scena un’attenta ricostruzione di un processo per l’uccisione di un sindacalista, uomo giovane che lottava per la libertà della sua gente, un personaggio (immaginario ma emblematico per tutti quei Pasolini, Impastato, Fava) scomodo per la mafia locale. In scena la madre del sindacalista interpretata da una toccante e tragica Maria Marino, Giuseppe Cucco nei panni dell’avvocato – vero mandatario dell’omicidio – e Valerio Strati: il killer.

Tratto da un testo teatrale ricco di personaggi, La violenza di Giuseppe Fava è stato riadattato dal regista Luciano Pensabene per soli cinque attori: un’azione sicuramente complessa e forse rischiosa. L’impianto registico si sviluppa principalmente sulla volontà di rappresentare una giustizia lontana e distante. Ecco allora che i personaggi in carne ed ossa sulla scena sono uomini comuni con i loro difetti e le loro ragioni, mentre la giustizia e il potere stanno al di sopra di tutto, distanti. Dei due valori, opposti e complementari, appare solo l’immagine virtuale nella forma bidimensionale della proiezione. Una scelta comprensibile se sviluppata e curata minuziosamente.

L’accusa e la difesa si scontrano in un dibattito impari e la chiusura del processo porta sempre alla stessa conclusione. Era il 1983: nulla è cambiato. «Cosa siete disposti a sacrificare?» il silenzio della sala sembra rispondersi da solo, lo sguardo attonito degli attori colpisce implacabile. «La mafia è in Parlamento»: le parole di Fava irrompono in scena a risvegliare il pubblico. Questo spettacolo è la triste sineddoche di una realtà ben più dolorosa: alla compagnia il difficile compito di riportare alla memoria, ricordare per resistere.

Camilla Toso

Saverio La Ruina presenta La Borto


Saverio La Ruina presenta La Borto il suo ultimo spettacolo, basato intorno alla figura di Vittoria, una donna che racconta la storia di molte donne, una tragedia tutta al femminile. La drammaturgia elaborata dall’interprete ruota intorno al linguaggio e alla parlata calabra-lucana, la lingua diventa motore centrale per un monologo profondamente toccante.

La Violenza – Carro di Tespi

30.05.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo La Violenza di Carro dei Tespi

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Luciano Pensabene presenta La Violenza

Ad aprire l’undicesima edizione di Primavera dei Teatri, dopo Teatro Sotterraneo, sarà il turno di Carro di Tespi con La Violenza: un omaggio all’eroico giornalista e drammaturgo Giuseppe Fava, trucidato per la sua attività “scomoda” il 5 Gennaio 1984 in Sicilia. Luciano Pensabene ha adattato il testo del graffiante scrittore, ne ha curato la regia e, in questo video, racconta come è nato il gruppo e il progetto che ha portato alla messa in scena del progetto portato a Castrovillari.

L’alba del nuovo millennio

da 2001 Odiessea nello spazio

da 2001 odissea nello spazio

La constatazione dalla quale prende inizio l’intera riflessione proposta dal critico Renato Palazzi per Linus è sicuramente lapalissiana, ma non per questo scontata: da ben due lustri, ormai, quel secolo complesso che è stato il ‘900 si è concluso. Cento anni di grandi rivoluzioni, cambiamenti, crisi economiche, globalizzazione e genocidi, minacce e tragiche follie nucleari. Un secolo di emancipazioni e nuove schiavitù, di viaggi sempre più veloci, migrazioni, scoperte e sperimentazioni che hanno segnato non solo la scienza, la tecnologia e le comunicazioni, ma anche l’arte, la musica, il teatro. Ma, appunto, da ormai dieci anni siamo scivolati nel 2000: non solo un nuovo secolo, ma addirittura un nuovo millennio. Dieci anni che bastano, forse, a prendere la giusta distanza dal periodo precedente per poter dare, approfittando della via indicata da Palazzi, alcune definizioni di “novecentesco”, e con esse iniziare a delineare le tendenze odierne e future. Vedendo, però, nella categorizzazione chiusa una forma assolutamente “novecentesca” di strutturazione del pensiero, si procederà più liberamente e senza sentenze definitive. Non potendo, in questa sede, elaborare una sintesi esaustiva di un argomento così ampio, si prediligerà, anzi, della riflessione suggerita dall’illustre critico, l’aspetto più ludico – che è forse quello di cui si sente più il bisogno in questo nuovo millennio iniziato non certo nel migliore dei modi – limitando il discorso al mondo teatrale.

Innanzitutto una riflessione cromatica: il total black o white è una convenzione – lungi dall’essere neutra –, e come tale non può non appartenere al secolo scorso. Dolcevita nere, piedi scalzi e pantaloni da tuta sono un residuato d’altri tempi che non sembrano smettere, però, di esercitare il loro fascino. D’altro canto anche la nudità – lungi ormai dall’essere una provocatoria novità – può rischiare di divenire desueta se usata a sproposito.
Si è decisamente perso il concetto di “costume” in senso, appunto, novecentesco, con la proliferazione, in scena, di felpe, jeans, t-shirt con enormi stampe e tutto quello che si può – a prima vista – facilmente reperire in un mercatino. Simile discorso si può fare per la scenografia: eliminati i grandi impianti scenici tipici del secolo scorso (e qui la parentesi è d’obbligo, essendo inevitabile chiedersi quanto le ristrettezze economiche abbiano influito su questa tendenza, in una sorta di “far di necessità virtù”), i teatri si sono messi anch’essi a nudo, dimostrando, grazie alla visionarietà di grandi artisti, di non aver bisogno d’altro che della fantasia del pubblico. Un nome per tutti, quello di Peter Brook, viene subito in mente: difficile definire il suo operato prettamente novecentesco. E se è appurato che l’epoca della grande regia sia ormai in declino, con il proliferare di nuove formule creative che fanno del collettivo e della non (totale) distinzione dei ruoli il loro punto di partenza e di forza, va anche riconosciuto il lavoro di quei grandi registi che, noncuranti dei necrologi che quotidianamente vengono dedicati alla loro professione, sfuggono a qualsiasi classificazione secolare, avendo segnato la storia del teatro anche per molti anni a venire.

La regia collettiva – congiuntamente alle nuove esigenze produttive che hanno fatto della residenza un proficuo punto fermo – ha cambiato anche il modo di presentare l’esito del proprio lavoro al pubblico, andando prima di tutto a mettere in discussione il concetto stesso di esito. Gli ultimi anni, infatti, sono stati contraddistinti da un proliferare di prove aperte, studi, presentazioni che hanno fatto dello spettacolo concluso un obiettivo non obbligatorio da raggiungere e sicuramente lontano, di cui si palesano le tappe ed il lungo processo creativo. Il risultato è una programmazione “seriale”, che si ritrova anche nella scelta di molti gruppi di dedicare diversi spettacoli allo stesso tema, sviscerandone tutti gli aspetti e proponendo una riflessione a puntate. Un’applicazione, nel duemila, al teatro di quella serialità che, per tutto il ‘900, ha fidelizzato e fatto crescere prima gli ascoltatori radiofonici e, in seguito, quelli televisivi, con format ormai storici come le telenovelas. E il pubblico sembra apprezzare molto questo sue essere partecipe del processo, dimostrando di sapersi affezionare a gruppi e a loro lavori seguendoli per tutto lo stivale. Complici anche i nuovi mezzi comunicativi, che hanno sdoganato la promozione teatrale dai muri delle città e dai trafiletti dei giornali trovando nel web spazi e strumenti ben più agevoli, questa nuova generazione non sembra affatto soffrire della carenza di pubblico. Numerosi spettatori affollano i luoghi nei quali circuita il teatro del duemila – dai teatri di periferia ai festival che scandiscono l’estate italiana e non solo – dimostrandosi appassionati e curiosi, ma, forse, anche più accondiscendenti rispetto ai loro “antenati” dello scorso secolo: si ha spesso la sensazione di un diffuso eccesso di educazione del pubblico odierno, che non nega mai un applauso salvo poi esplodere in feroci critiche appena fuori dal teatro. Un pubblico, questo del duemila, eterogeneo ed entusiasta, ma un po’ timido nel manifestare le proprie sensazioni più immediate. O, forse, si prende semplicemente più tempo per riflettere, e nella società del nuovo millennio è un lusso che raramente ci si può permettere.

Magari, poi, la riflessione risulta vana, di fronte a lavori talvolta di pura estetica e profondamente concettuali, sintomatici di un teatro del nuovo millennio che sta ancora cercando il suo statuto, la sua ragione d’essere. Perché, se la grande rivoluzione del teatro nel Novecento, ricorda De Marinis, è stata quella di divenire «un luogo nel quale dare voce (e, se possibile, soddisfazione) a bisogni ed esigenze cui mai fino ad allora (salvo isolate eccezioni) si era cercato di rispondere mediante gli strumenti del teatro: istanze etiche, pedagogiche, politiche, conoscitive, spirituali», conclusosi il secolo delle grandi ideologie la ricerca è ancora aperta. La sfida è di trovare, quindi, non solo nuovi linguaggi, ma sopratutto nuovi stati di necessità per un teatro vivo, sincero ed attuale.

Silvia Gatto

Videointervista a Teatro Sotterraneo

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Ad aprire Primavera dei Teatri domani sera Teatro Sotterraneo. Riproponiamo l’intervista a Daniele Villa, dramaturg del gruppo fiorentino, condotta a Modena in occasione del debutto dell’ultimo episodio di Dies Irae_5 episodi intorno alla fine della specie.

Kattrin a Primavera dei Teatri

L’aria della laguna in questi giorni si fa sempre più calda e umida. La primavera, oramai diventata direttamente estate afosa, richiede qualcosa di stuzzicante per rendersi più movimentata: che c’è di meglio di una bella uscita verso il Sud del nostro Bel Paese? Più precisamente verso la Calabria: la città di Castrovillari dal 30 maggio al 5 giugno accende infatti i propri riflettori su di un Festival che apre agli amanti del teatro contemporaneo una finestra, per far cambiare aria a un’atmosfera, in questo periodo, stantia dopo la chiusura della maggior parte delle stagioni invernali. E così Il Tamburo di Kattrin si trasferisce dove la temperatura è più alta sì, ma dove sicuramente durante queste giornate il caldo sarà causato più che altro dalla grande concentrazione di spettacoli che affollano il programma del Festival, dato che le compagnie presenti sono tra le realtà giovanili più interessanti del territorio italiano, con particolare attenzione alla drammaturgia emergente e al Meridione. Il Festival Primavera dei Teatri, organizzato dalla compagnia Scena Verticale ha infatti vinto proprio quest’anno il Premio Ubu Speciale per « un festival ormai storico, dedito alla scoperta e alla valorizzazione di giovani gruppi teatrali con speciale attenzione a quanto accade nel Meridione, diretto e guidato con amore da Scena Verticale a Castrovillari, con un’ingorda partecipazione del pubblico cittadino di ogni ceto, come raramente si verifica per queste manifestazioni».

La discesa verso Sud di Kattrin cercherà di sposare il “piccante” programma della rassegna – ormai arrivata alla sua undicesima edizione, diretta e organizzata da Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano – attraverso delle rubriche rinominate per l’occasione: Primizie di Stagione segnalerà gli eventi del festival, Sotto la Buccia si occuperà di recensioni, Capsicum in Musa sarà lo spazio dedicato agli approfondimenti mentre Vita-mine Vaganti quello per le interviste video agli artisti. Per restituire l’atmosfera di Primavera dei Teatri in toto, il sito darà la parola anche a chi tra il pubblico vorrà rilasciare dei commenti a caldo una volta uscito da uno spettacolo: la categoria Commenti Piccanti accoglierà le pungenti riflessioni di chi a teatro ha sempre l’ultima parola. Tra le novità anche un sondaggio apparirà per la prima volta tra le pagine web de Il Tamburo, accompagnando l’intera settimana del Festival: prendendo spunto da un articolo che Renato Palazzi ha scritto per i lettori di Linus, si chiederà agli artisti presenti a Castrovillari che cosa sia esclusivamente Novecentesco – e quindi definito D.O.C. – e cosa invece appartenere al 2000 – e quindi O.G.M.

Il Tamburo di Kattrin sarà un punto di riferimento e di contatto virtuale tra tutti i partecipanti al Festival, ma anche per coloro che non potranno seguire Primavera dei Teatri “fisicamente”: restituendo una documentazione puntuale di tutti gli eventi e dando uno sguardo di più ampio respiro cercheremo di trasmettere l’atmosfera magica di Castrovillari.

Carlotta Tringali