Il campo veneziano è storicamente oggetto di studio da parte dell’architettura come prototipo di spazio pubblico. Anticamente concepiti come retro di palazzi e chiese, si accedeva infatti sia nei luoghi pubblici che in quelli privati esclusivamente dalle porte d’acqua, i campi si sono evoluti fino a diventare il centro della vita cittadina e il luogo in cui si raccoglieva il bene più prezioso per la comunità: l’acqua piovana.
È a partire da cinque campi veneziani che si sviluppa il filone Agorà della Biennale Danza 2014 diretta da Virgilio Sieni. Il 26 giugno in Campo San Maurizio i nove performers di Public Intimacy condotto da Iris Erez hanno restituito al pubblico il risultato del loro lavoro.
Lo spazio pubblico per definizione è diventato occasione per riflettere sul limite che separa, o forse non separa più, la sfera pubblica da quella privata e legata alla singola intimità.
La coreografa e interprete israeliana ha interrogato performer e spettatori sulla metamorfosi in atto grazie, o a causa, dell’evoluzione dei social network e delle nuove tecnologie a disposizione della massa.
Un perimetro circolare delimita lo spazio dell’azione in cui ogni danzatore si muove autonomamente. I movimenti sono accompagnati da frasi lanciate nel vuoto: piccole descrizioni di “stato” tratte dalla quotidianità di Facebook ed espresse in modo quasi completamente sconnesso.
È la piattezza delle voci a colpire il pubblico, il tono uniforme che non si accorda emotivamente ad alcun contenuto e rende perciò la comunicazione inespressiva.
Cambiando il codice, dall’alfabeto al movimento corporeo, e il luogo, dalla piattaforma virtuale a un’ambientazione fisica, l’effetto che si osserva è di straniamento, di incomunicabilità, di caos e di buffa quanto dolorosa solitudine.
Prende spunto dal luogo aperto, ma a partire, questa volta, dalla sua dimensione ludica, il lavoro di Stian Danielsen con quattro giovanissime interpreti vicentine: Let’s Play.
Il lavoro fa parte della sezione Vita Nova, un progetto di creazione e formazione rivolto a danzatori tra i 10 e i 15 anni che vede coinvolti sei coreografi italiani ed internazionali: Cristina Rizzo, Adriana Borriello, Helen Cerina, Virgilio Sieni, Simona Bertozzi/Nexus, Stian Danielsen. Il coreografo norvegese crea una composizione pensata per quattro danzatrici nella fase evolutiva tra l’infanzia e la vita adulta e propone come punto di partenza e di riflessione corporea il gioco di strada. Un gioco che si può fare solo in gruppo, attraverso l’interazione tra più soggetti e seguendo regole non scritte molto precise e codificate. Un semplice “Un Due Tre Stella” può diventare coreografia espressiva, così come i canti, le filastrocche e i ritornelli che intonano i bambini per cullarsi e passare il tempo.
Uno squarcio di vita da campo o piazza traslato in teatro.
Margherita Gallo