Recensione a Dies Irae_cinque episodi intorno la fine della specie – Teatro Sotterraneo
21:00 / 60’00” Tempo e contro-tempo. La prima immagine è un countdown: sono le ventuno e un timer indica che lo spettacolo finirà tra sessanta minuti. Un’ora per indagare la fine della specie: la specie umana, ovviamente.Asettiche tute bianche, onomatopee e macchie; sembra uno splatter da fumetto, provoca il riso, ma l’effetto straniante delle prime azioni si trasforma in brivido quando la ripetizione e l’urlo caricano la scena di realtà: come scuotendo una vecchia polaroid, dalla buffa macchia iniziale si delinea un volto, una maschera di panico e dolore. È seriale, è un processo creativo, è il tempo che scorre. Creazione e distruzione si rincorrono sulla scena, ogni immagine è distrutta dalla precedente, ogni azione dalla seguente, in un perpetuo tentativo di trovare e lasciare tracce.Si lasciano segni nel tempo, nello spazio, a volte evidenti, altre meno.
Il lavoro di Teatro Sotterraneo è un lavoro archeologico alla ricerca e definizione dei segni lasciati dalla specie: una ricostruzione dei fatti che lascia anch’essa prove inequivocabili. Cinque immagini che lavorano intorno allo scorrere del tempo, alla catalogazione dell’essere umano, in tutte le sue parti fisiche e non – sentimenti, desideri, paure. Molti i temi trattati e le fonti d’ispirazione: la scrittura scenica di Daniele Villa è carica di riferimenti. Ogni episodio parla un linguaggio diverso dal precedente, dal fumetto alla radio, alla fotografia, al cinema. Ma tutti sono destinati alla stessa fine: sparire per restare solo una prova e venire sotterrati dall’episodio successivo, fino all’esaurimento. L’unica figura ricorrente e personaggio con una sua evoluzione è quella del testimone; alla fine di ogni episodio egli riferisce l’ accaduto, e lo fa con il pubblico e per il pubblico, assumendosi un senso di responsabilità che si rivela però insostenibile, fino a logorare la testimonianza in un unico silenzio.
Il linguaggio espressivo di questo giovane gruppo toscano è variegato e spazia dalla performance al talk show televisivo, coinvolgendo il pubblico attraverso le strategie più immediate, domande dirette o l’interazione con telefono cellulare. Linguaggi e mezzi espressivi semplici che si costruiscono in giochi e scatole cinesi; la serialità e la ripetizione, tipiche del work-in-progress, divengono parte integrante del lavoro finito assumendo un nuovo significato e portando il processo creativo direttamente in scena.
Visto a Ponte Alto, VIE Scena contemporanea Festival 2009
Camilla Toso