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Alessandro Iachino

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Alain Badiou, Sulla situazione epidemica (Filosofia in movimento)

«Queste dichiarazioni perentorie, questi appelli patetici, queste accuse enfatiche»: sarebbe sufficiente la tagliente efficacia con cui sintetizza l’iperproduzione di contenuti diffusi durante il lockdown, per annoverare il breve saggio di Alain Badiou tra le letture più illuminanti sull’era Covid-19.

Pubblicato in italiano il 23 marzo da Filosofia in movimento nella traduzione di Paolo Quintili, poi ripreso dal Rasoio di Occam e da Doppiozero, l’articolo di Badiou, pur dedicando ampio spazio alla specificità francese e alle modalità con cui la presidenza Macron ha affrontato la pandemia, getta uno sguardo universale sulle dinamiche che l’emergenza ha innescato, oltre a proporre significative indicazioni di metodo.

Nel rifiutare qualsiasi analisi che veda nell’epidemia un evento «politicamente innovativo», e al contempo nell’accettare come logica conseguenza della situazione la “bellicizzazione del linguaggio”, Badiou stila un breve manifesto profondamente antiutopico, e tuttavia non rassegnato al modello di sviluppo capitalista e neoliberista. È un testo disincantato e crudo, capace di rifuggire da qualsiasi facile, romantica soluzione che si proponga di risolvere una questione – o meglio, un grumo di questioni storico-politiche, sociali, economiche, finanche culturali – sistemica, e in quanto tale non affrontabile se non attraverso un esercizio di lucidità descrittiva. Il soggetto disegnato da Badiou misura la propria azione sulle «verità controllabili dalla scienza» e sulle «prospettive fondate di una nuova politica»: e il punto di fuga di queste linee prospettiche, lungi dall’essere un orizzonte astratto, è frutto di «esperienze concrete», di «scopi strategici», e di una «critica serrata» all’infodemia che annega ogni acribia di sguardo e testimonianza in un indistinto e incontrollato rumore.

Alessandro Iachino
10 giugno 2020