Approfondimento sullo Studio La semplicità ingannata / Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne – di Marta Cuscunà
Resistenza e donne. Due parole che nell’ultimo ventennio italiano hanno subìto un tale processo di (rin)negazione e deturpazione, degno solo di un paese, il nostro, che volutamente e ripetutamente ha avvilito quegli imprescindibili diritti di cittadinanza sanciti dai padri e dalle madri costituenti.
Così, riflessi del tempo e di buona parte di noi cittadini, mentre alcuni artisti delle nuove generazioni venti/trentenni non possono far altro che restituire e (auto)celebrare la pochezza e la vacuità di cui si sono e ci siamo nutriti, altri dicono, non solo a se stessi, ma a un pubblico ricettivo, di principi seppelliti dalla grettezza e inciviltà imperanti.
Contro questa travolgente corrente, non solo socio-politica, ma in buona parte anche artistico-culturale, nuota la giovane attrice e autrice Marta Cuscunà, equipaggiata di scrupolosità nella ricerca, passione e tanto, tantissimo talento.
Resistenza e donne. Di questo si occupa il teatro di Marta Cuscunà, fino a oggi. Nulla di più fuori moda. Giunta al suo secondo lavoro sulle Resistenze femminili nel nostro paese, il cui studio è stato presentato al festival We folk! Drodesera – Centrale Fies 2012, Cuscunà ha confermato un valore artistico che pubblico e critica attendevano speranzosi.
Dopo È bello vivere liberi, storia della staffetta partigiana friulana Ondina Peteani, che è stato rappresentato in oltre centoventi piazze italiane negli ultimi due anni – e non è certo un caso fortunato, ma segno di una reciproca necessità di condivisione di elevati contenuti e forme –, Marta Cuscunà ha dato vita a La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne, liberamente ispirato alle opere di Arcangela Tarabotti e alle vicende delle Clarisse di Udine.
In questa seconda tappa del suo percorso di ricerca ci parla di un’altra stagione di resistenza femminile, quella della monacazione forzata delle figlie nel Cinquecento, descrivendo l’uso dei conventi a fini economici, da parte dei padri che risparmiavano sulla dote della prole femminile, da parte della Chiesa che di questo mercato delle donne fece un business. Alcune di queste donne, già allora, cercarono di opporsi al sistema.
Incanta subito – ed è subito empatia – questa giovane donna sola sul palco insieme ai suoi pupazzi, a ripercorrere la memoria di un tempo in cui le donne-bambine venivano incanalate in un percorso che ineluttabilmente le avrebbe portate alla clausura. Sostituendo alla fastidiosa retorica che spesso sottende questo genere di teatro un puntuale umorismo, Cuscunà mette in scena grazie a una magistrale padronanza della parola e della mimica e a una straordinaria vis affabulatoria un parallelismo con la contemporaneità impossibile da non cogliere.
Le bambine poi ragazze poi donne di allora si presentano subdolamente convogliate in tre modelli di vita dettati dal potere dominante che coincide con quello maschile: mogli, suore o prostitute. Con intelligenti e sottili ammiccamenti e con gli ovvi distinguo che intercorrono in cinque secoli di storia, l’attrice ci riporta all’oggi, esplicitando bene il meccanismo per cui un sistema di potere riesce a far desiderare alle persone uno status sociale e civile che in realtà torna utile al sistema stesso e che di fronte a una libertà di scelta e conoscenza non condizionate crollerebbe. Pare di tornare a leggere, attraverso lo sguardo del teatro, quei due libri illuminanti che sono Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita di Elena Gianini Belotti e Ancora dalla parte delle bambine di Loredana Lipperini, i quali mostrano in modo spietato come le costruzioni mentali e sociali sull’immagine e sul ruolo della donna siano, ancora oggi, frutto di condizionamenti interiorizzati giorno dopo giorno, parola dopo parola, immagine dopo immagine, gesto dopo gesto, fin dal primo attimo in cui la neonata viene al mondo.
Sul palcoscenico, la soglia della clausura è varcata simbolicamente con l’introduzione dei pupazzi che caratterizzano il teatro di parola e di figura di Marta Cuscunà, realizzati da Belinda De Vito, cui l’attrice dà vite e voci tutte diverse e personalizzate, manovrandoli abilmente. Attraverso i pupazzi entrano in scena le Clarisse di Udine, e inizia il racconto di una (incompiuta) rivoluzione femminile, anzi, di una Resistenza, nel corso della quale le monache, cinque secoli fa, riuscirono a immaginare e teorizzare un modello sociale diverso.
È bello che di queste cose parli una donna così giovane, diventata grande durante un ventennio dove le parole Resistenza e donna hanno assunto connotati negativi. Fa credere che gli anticorpi scorrano ancora sani dentro il flusso sanguigno di molti italiani e italiane, nonostante il modello dominante abbia fatto di tutto per indebolirli.
Per scoprire la fine di questo bel racconto e per godere del prezioso dono che Marta Cuscunà offre agli spettatori con la sua pièce, l’appuntamento è per il 31 agosto a Bassano Operaestate Festival (che insieme a Centrale Fies ha prodotto lo spettacolo), quando La semplicità ingannata debutterà in forma completa.
Claudia Gelmi
Visto a WE FOLK! Drodesera – Centrale Fies 2012, Dro