Recensione a Cercando Picasso – con Giorgio Albertazzi e Martha Graham Dance Company, regia di Antonio Calenda
Giorgio Albertazzi è uno degli attori più grandi d’Italia. La Martha Graham Dance Company uno degli ensemble di ballo più accreditati nel mondo. Pablo Picasso, universalmente riconosciuto quale genio indiscusso del ventesimo secolo. Metti tutto questo sulle tavole del palcoscenico. Il risultato? Non può che essere spettacolare. E tale definizione sembra essere la più calzante per dire della messinscena Cercando Picasso, sulle tavole del palco del Teatro Auditorium dell’Unical, diretta da Antonio Calenda. Un ritratto teatrale, trasposto da diversi linguaggi stilistici e codici di scena, dell’artista surrealista (e cubista) spagnolo. Reincarnato nella voce, nella interpretazione, nelle movenze e nelle fisicità dall’Albertazzi nazionale, che ne rappresenta spirito e arte. Giocando a specchiarsi, volutamente, nel pittore dall’animo inquieto e pregno di vitalismo. Attraverso un mimetizzarsi nei tratti che accomunano il quasi novantenne artista di San Martino a Mensola al pittore di Malaga.
E allora il pensiero, il tormento, il demone di Picasso traspaiono tra fondale e proscenio con tale intensità da lasciarsi contemplare. Certo con un po’ di compiacenza per gli affanni di Albertazzi alle prese con qualche passo di danza, alcuni appunti sulla sonnolenza di certe scene, l’estetismo accentuato, ma del resto rappresentare un artista visivo non può che passare attraverso le soglie dell’immagine vivificata. Come dipinti in movimento. Animati. Dunque il palco diventa cinema dell’impersonificazione dei capolavori di Picasso, universo visivo e sonoro del genio che Apollinaire definiva moralmente latino e ritmicamente arabo. Un mondo sensuale, inoltre, trasposto dalle coreografie delle nove danzatrici: l’anima, la delizia, il corpus dello spettacolo in termini di rimandi sensoriali. Perché il resto lo fa l’attore, capace di tenere sospesa la platea nel divenire poetico sui testi del surrealista spagnolo; superbo veicolo del lirismo dialettico caratterizzante l’allestimento; interprete figurativo del manierismo illustrativo dell’artista; fedele rappresentante della carnalità dei soggetti.
E non a caso l’attacco scenico, levato un fondale che Picasso dipinse per un balletto, esordisce in un grande letto pieno di cuscini e donne che ricordano le Damigelle d’Avignone. E donne sono nei sogni, tutto lo spaccato scenico è intriso di onirismo, nella tauromachia, negli incubi, nei riti orgiastici, nelle riflessioni, nelle visioni di Pablo Picasso: le scene dello spettacolo strutturate nelle danze delle meravigliose ballerine e il recitativo di Albertazzi. Scandite ritmicamente da soluzioni di cambio di scena in variazioni scenografiche e input visivi (sono calati di frequente fondali con opere pittoriche e proiettati bozzetti). E il palco diventa tavola imbandita dove nutrirsi del piacere dell’arte sublime. Strumento di trasmissione di quel fuoco tormentato che materializza il demone fuori dalla pelle di un artista. Il palco si trasforma in una tela vivente, che cambia per il tempo dell’osservazione. Tra saltimbanchi, cavalli alati, fantasmi, arlecchini e damigelle, intellettuali e maschere di commedianti dell’arte. Particolari dalle tinte, dalle parole, dalle filosofie di Pablo Picasso. E dal talento immortale di Albertazzi. E dalle sensualità delle danzatrici. Gioie per gli occhi.
Visto al Teatro Auditorium Unical, Arcavacata di Rende (CS)
Emilio Nigro