Recensione a Homo Ridens – Teatro Sotterraneo
Attraverso il furore – regia di Massimiliano Civica
Le bolle di Gipi – manifesto del Festival Inequilibrio 2011 – non potrebbero meglio rappresentare le giornate di festa che si stanno succedendo a Castiglioncello. Al primo anno della direzione artistica di questo appuntamento, Andrea Nanni ha dato vita a una rassegna vivace, ampia, che guarda in alto e cerca di risollevare o di staccarsi dal grigiore teatrale in cui si sta piombando anno dopo anno a causa di vicende che hanno spostato l’attenzione dal campo artistico a quello politico, dimenticando la bellezza di un’arte che può addolcire e rasserenare l’esistenza.
Ricco di appuntamenti, per 10 giorni il programma di Inequilibrio vede la danza incontrare il teatro. Inoltre l’attenzione non è rivolta solamente a un pubblico adulto ma anche a quello di domani: tutti i giorni sono previsti nel calendario diversi spettacoli per bambini.
A debuttare a questo Festival, dislocato per tutta la cittadina toscana e anche in altri paesini limitrofi, è Teatro Sotterraneo che, dopo il dittico sulla specie, con il geniale e brillante Homo Ridens continua l’indagine – ovviamente performativa – intorno all’essere umano e ai suoi comportamenti. Ad essere analizzato è qui il fenomeno del ridere: come dicono gli stessi attori in scena (Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri) l’uomo è l’unico animale che ride e che secondo Nietzsche si è inventato il riso per la sua troppa sofferenza. Teatro Sotterraneo parte proprio da qui, da quel confine sottile che separa l’ilarità dalla tragedia, da quello stimolo che forse proprio per sopravvivenza porta a sorridere davanti a una foto di morte e di dolore. Mettendo sempre alla prova e sotto analisi il pubblico, i cinque componenti di Teatro Sotterraneo – il quinto, Daniele Villa, è impeccabilmente alla regia – coinvolgono attivamente lo spettatore e lo sottopongono continuamente a risate intelligenti disorientandolo e facendolo interrogare sulla propria integrità morale, sul grado di cinismo di cui si è dotati o sull’eticità collettiva. Come si può ridere di fronte alla morte? Lo si può fare se la morte è una finzione: ed ecco che nella loro iperattività sul palco i quattro performer entrano ed escono continuamente da rappresentazione e realtà; ma la finzione rimanda pur sempre a qualcosa che esiste nel reale: per quale motivo qui si potrebbe essere scusati nel ridere di fronte all’orrore? Dove è lo scarto, che meccanismo scatta dentro l’uomo? Per sopravvivere e per continuare a vivere in questa società, il cinismo diventa uno scudo per proteggersi di fronte alle atrocità che ogni giorno ci circondano. Forse intorno a tutti gli studi sul ridere a spuntarla con la sua teoria poco scientifica ma necessariamente umana è stato proprio Nietzsche.
Un altro debutto a Inequilibrio è Attraverso il furore, il nuovo spettacolo di Massimiliano Civica, in coproduzione con Armunia. Come ormai il regista ci ha abituati, questo breve viaggio attraverso i tre sermoni tedeschi di Meister Eckhart e le tre storie di Armando Pirozzi è caratterizzato dal minimalismo, dalla recitazione scarnificata ed essenziale, da una regia priva di sbavature. A fuoriuscirne in maniera molto potente è il testo con le sue parole e la bravura degli attori Valentina Curatoli e Daniele Sepe, che interpretano le tre storie, e Marcello Sambati che presta la sua calda e profonda voce alla lettura liturgica che inframezza i dialoghi scritti da Pirrozzi. Chiusi in una stanza stretta del Castello Pasquini – gli attori seduti ad un tavolo di fronte agli spettatori – la sensazione di freddezza e di distacco veicolata dai protagonisti di Attraverso il furore si mescola a quella calda e claustrofobica di disagio creata dal luogo e dalla voce profetica di Sambati. Il sermone richiama a un Dio che comprende tutti noi, tutti quegli uomini che aspirano alla quiete delle anime; come Eckart, contemporaneo a Dante, insegna, “nessuna creatura è così somigliante a Dio come la quiete”. Uno strano cortocircuito avviene tra la lettura solenne e i dialoghi di Curatoli e Sepe: nelle tre storie – che sembrano tre stadi di un’unica relazione amorosa che va dal corteggiamento alla maturità di un rapporto ben consolidato, ma in cui in ogni caso non si cerca il confronto con l’altro – c’è la quotidianità non rappresentativa delle parole di Eckart; ma l’atmosfera di vuote emozioni e di distacco tra i due attori rende più predisposti all’ascolto delle Verità risalenti al teologo tedesco del XIII secolo e le parole di Pirrozzi si caricano di un aleatorio misticismo.
Visto al Festival Inequilibrio, Castiglioncello
Carlotta Tringali