Recensione a L’ingegner Gadda va alla guerra – Fabrizio Gifuni
Si ricorre spesso alla metafora del groviglio o della matassa quando si parla del linguaggio di Carlo Emilio Gadda: per la sua complessità, eterogeneità, il gusto del pastiche linguistico e dei neologismi bislacchi e raffinati. Fabrizio Gifuni, per L’ingegner Gadda va alla guerra, avviluppa coerentemente un testo che sonda il grande scrittore lombardo a partire da diversi suoi scritti — Giornale di guerra e di prigionia, Eros e Priamo, La cognizione del dolore — e lo interseca con incursioni del capolavoro shakespeariano Amleto. Ma l’incredibile ideatore ed adattatore (nonché interprete) del denso e bellissimo testo dimostra di sapersi muovere nei labirinti verbali di Gadda dipanandone significati, profondità e forza critica. Il lavoro di Giuseppe Bertolucci, che guida Gifuni lungo linee rette che geometrizzano una drammaturgia complessa e intensa, costruisce un perfetto ingranaggio di ritmo: con un raffinatissimo gioco di luci (di Cesare Accetta), si procede per un serrato montaggio in cui lo straordinario interprete si muove con maestria tra gli intricati passaggi di un testo da lui stesso annodato.
Ad aprire lo spettacolo il Principe di Danimarca che, muovendosi all’indietro come un gambero, riporta Gadda ai dolorosi ricordi della sua traumatica esperienza al fronte durante il primo conflitto mondiale. Le parole sono sferzate che rendicontano tutta l’assurdità della guerra vista con gli occhi di un testimone d’eccellenza, per poi approdare all’avvento del fascismo. La psicanalisi entra così in gioco in un toscano arcaico che, con sarcasmo, analizza la figura dell’allora Presidente del Consiglio Benito Mussolini: l’adorazione erotica che scatena in un italico popolo indementito dalla frenesia suona assurdamente e amaramente attuale. «La moltitudine desidera l’istrione»: difficile non cogliere analogie con corrispettivi istituzionali di oggi. Continua infatti Gadda osservando acutamente come l’ethos sia divenuto la mera salvaguardia della propria persona, la religio l’adorazione della propria immagine, in un processo di deformazione storica che non sembra aver invertito ancora rotta. Ma l’operazione non scade mai in una semplice satira; al contrario si distingue per una costruzione sottilmente intelligente senza divenire eccessivamente intellettuale, dimostrando di saper convincere ed emozionare un pubblico eterogeneo.
Fabrizio Gifuni fa vivere e chiarifica con la forza della concretezza scenica la complessa trama verbale di Gadda, grazie ad un uso del corpo e della voce ricercato, meditato e impeccabilmente coinvolgente che svela una partecipazione attoriale consapevole e appassionata: la sensazione è quella di una forte necessità, un’urgenza nell’attore-autore di comunicare significati trasversali attraverso il delicato omaggio al grande scrittore lombardo. Con soppesata forza e magnifico acume, da L’ingegner Gadda va alla guerra si diramano svariati fili interpretativi, livelli di comprensione e d’emozione; un fil rouge unisce Amleto a Gadda, un altro il passato dell’Italia al suo presente, mentre tantissimi altri aprono a riflessioni sulla letteratura e il teatro in un groviglio di citazioni che, se forse è difficile districare, sono la forza e la ricchezza di un testo che è, prima di tutto, un piacere ascoltare in questa era di televisiva semplificazione linguistica.
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Silvia Gatto