recensione intersection

Cuffie e installazioni per Santarcangelo 41

Conclusosi da pochi giorni Santarcangelo 41, Festival Internazionale del Teatro in Piazza, si riflette sulla sua natura duplice, ricercatrice di collettività e fratellanza e allo stesso tempo incline e sfumata all’intimità e alla solitudine. Nella piccola cittadina romagnola diversi erano gli spazi in cui lo spettatore poteva partecipare a un rito comunitario (si pensi a Eresia della felicità, splendido momento di aggregazione dove 200 ragazzi con una blusa gialla urlavano versi di Majakovskij guidati dal regista Marco Martinelli) o vivere un momento intimo, indossando delle cuffie e ritrovandosi in una dimensione privata a faccia a faccia con il proprio Io.

Tante le installazioni sparse per la città e in qualche modo indagatrici di un interno che spinge l’uomo a confrontarsi con se stesso e, perché no, a mettersi in gioco e condividere la propria intimità con degli sconosciuti. Si muove in questa direzione il video di Jérôme Bel – facente parte del percorso miniature all’interno del Festival – dal titolo Véronique Doisneau: un autoritratto della ballerina, sola su un palco che sta per abbandonare, ormai giunta alla fine della carriera all’interno dell’Opéra National di Parigi; non c’è alcun posto per le emozioni e lucidamente descrive i passaggi più importanti della passione che l’ha abitata, i sogni e le coreografie preferite: condivide con un pubblico folto, e rigorosamente immerso nel buio di un teatro, i momenti salienti della propria vita rendendo partecipe una intera comunità del suo percorso personale e individuale. Ma la razionalità “clinica” della Doisneau trasforma il privato in una lista dove le sensazioni esperite diventano distaccati oggetti di studio, tanto che l’intimità vien meno: la collettività ingloba la parte più nascosta e l’Io ne esce completamente annullato. Jérôme Bel indaga l’uomo nel particolare, lo scandaglia e lo costringe a mettersi a nudo trasformando così l’interiorità in esteriorità.

Singspiel di Ulla von Brandenburg

Verso una direzione contraria corre invece il video Singspiel di Ulla von Brandenburg, appartenente al progetto più ampio Intersection / Intimacy and Spectacle, sostenuto dal programma Cultura dell’Unione Europea, condiviso dalla Quadriennale di Praga e approdato insieme ad altri quattro lavori al Festival santarcangiolese. Come già il titolo suggerisce, c’è qui una dimensione di intimità e spettacolo, in un intreccio che lascia lo spettatore con la sensazione di aver condiviso il momento privato di una famiglia. In Singspiel si attraversa l’interno di un’architettura di Le Corbusier: un piano sequenza in bianco e nero mostra le diverse stanze della struttura, di aperture e interni, in una continua aspettativa delusa o accontentata, in cui il vuoto spaziale lascia posto a un riempimento frammentato; si passa a solitudini e momenti di aggregazione in cui alcune persone sedute attorno a un tavolo trasformano la colazione in un rito comunitario, mentre una dolce voce parla di un’assenza, di un dolore e di una colpa dimenticata. Singspiel accompagna dentro una delicata dimensione sospesa tra sogno e realtà, in un silenzio rotto solo da un canto amorevole in cui forse la sofferenza privata viene superata e si affronta solo restando all’interno di una comunità: nella parte finale del video, in un gioco meta-cinematografico, lo spettatore diventa a tutti gli effetti parte di quella famiglia, seduto sulle sue stesse sedie e in contemplazione di un corpo (forse quello mancante della canzone?), rivelato dal retro di una tenda che si scosta. Il rito del teatro si inserisce prepotentemente nel lavoro della tedesca Ulla von Brandenburg: le singole intimità entrano in contatto tra loro attraverso una dimensione di collettività; si vive un’esperienza comune pur continuando ad abitare un momento privato.

Mikado di Hans Rosenström

Sempre di Intersection fa parte una breve installazione, raffinata e originale: pensata per un individuo alla volta, Mikado dell’artista finlandese Hans Rosenström spiazza e sconvolge ma soprattutto mette lo spettatore faccia a faccia con se stesso, nel vero senso della parola. Si entra in una stanza vuota, arredata solamente da un tavolo con specchio, una sedia, una lampada e delle cuffie. Nella più completa solitudine, una volta seduti, si ha di fronte l’immagine di sé immersa nel nulla, in continua attesa che qualcosa accada. Dei passi arrivano da lontano e confondono la percezione, non si comprende più che cosa sia presente e cosa assente: una voce maschile estratta dal dialogo del film Sussurri e grida di Bergman conduce in maniera angosciante – tale è la precisione dell’installazione sonora e la cura della sua realizzazione – in una dimensione personale, in una “riflessione” (nella doppia accezione, fisica e letteraria) sul proprio cambiamento. Allo specchio si percepisce il proprio Io come qualcosa fuori dal sé, distaccato e collocato in una atemporalità mistica, lontana. Immersi in un’intimità silenziosa, ogni spettatore diventa protagonista di questa installazione attraverso le proprie paure, angosce e pensieri, riflessi risonanti nel vuoto della stanza ma anche nella profondità del proprio essere e dei propri fantasmi.

Se Bergman abita l’installazione Mikado, Ibsen si ritrova in Etiquette, lavoro del duo britannico Rotozaza formato da Ant Hampton e Silvia Mercuriali. Anche qui le cuffie diventano gli strumenti principali e suggeriscono ciò che lo spettatore, qui in qualità di attore, deve esperire. Due persone – meglio se fra loro sconosciute – vengono fatte accomodare a un tavolo una di fronte all’altro e, attraverso cuffie e ipod contenenti tracce di testi drammaturgici, devono eseguire indicazioni ben precise. Etiquette indaga alcuni meccanismi che coinvolgono direttamente il pubblico a cui viene sottratta la propria volontà e si fa interprete di parole altrui. Nonostante il lavoro si inceppi qualche volta, quando le parole da riferire a voce alta sono suggerite troppo velocemente dalla voce-guida, Etiquette è un gioco/non-gioco da sperimentare. Una piccola lavagna posta sopra al tavolino si trasforma in un palcoscenico dove delle pedine fanno le veci delle due persone sedute e interagiscono con dei gesti ben precisi, movimenti e frasi che escono dalla bocca degli “spett-attori”. Si crea un cortocircuito, dove il ponte che separa il pensiero dalle parole è ancora più arduo da attraversare: tra le due “sponde” un terzo soggetto si interpone e si ritrova inconsapevolmente a dar voce a ciò che sente per mezzo delle cuffie e a riferirlo all’altro che ha di fronte. Diventando interpreti di azioni e frasi indicate da una specie di super regista che guida tutto Etiquette, si sperimenta un momento intimo – nonostante si sia in un bar del centro di Santarcangelo fortemente esposto agli sguardi di chi passa – e si ritrova un particolare contatto con quelle parole scritte per personaggi con cui all’improvviso si può avere una giocosa e allo stesso tempo intrigante vicinanza.

Visto a Santarcangelo 41 – Festival Internazionale del Teatro in Piazza

Carlotta Tringali