Recensione a La badante – di Cesare Lievi
Quel dito medio non riesce più a distendersi. Rimane piegato e rigidamente immobile mentre il resto delle altre dita e la mano destra tentano di afferrare una tazzina di caffè con tanto, tanto zucchero. E quelle gambe: non sono più in grado di eseguire passi stabili e sicuri, ma arrancano, a stento riescono a sostenere il peso del corpo dell’anziana Signora; una camminata incerta da una sedia all’altra della stanza, un continuo rimbalzo di movimenti che portano con sé il peso dell’età. Artrosi e vecchiaia: un’accoppiata perfetta e che in maniera magistrale Ludovica Modugno, protagonista de La badante, riesce a trasmettere allo spettatore che, lontano dal vedere il suo viso ancora giovane, quasi crede alla sua veneranda età e solo al momento degli applausi capisce che è stato ingannato.
Scritto e diretto da Cesare Lievi e vincitore del Premio Ubu 2008 come migliore novità italiana, La badante si rivela un testo tremendamente attuale e realistico che affronta un tema presente spesso nei giornali di cronaca.
Nei panni di una vecchia Signora testarda, la Modugno si ritrova a dover vivere con una badante, una donna straniera che amorevolmente si prende cura dell’anziana e con cui a un tratto deve condividere la casa. Piena di diffidenza e di pregiudizi nei confronti di Ludmilla – questo il nome della donna ucraina interpretata da Giuseppina Turra – la protagonista sfoga il suo rancore verso i suoi due figli che le hanno messo, secondo lei, una “ladra” in casa. Proprio come diverse situazioni a noi vicine e reali potrebbero testimoniarci, la Signora rifiuta la necessità di avere qualcuno su cui fare affidamento non ammettendo che la sua memoria “fa buchi da tutte le parti”. Un personaggio ben delineato e approfondito che per alcuni aspetti ricorda i protagonisti amareggiati dell’autore austriaco Thomas Bernhard: con le sue fisse, le sue paranoie e i suoi ricordi; il padre fascista, la guerra e i morti da cui non riesce a liberarsi e che abitano il paesino di Salò dove la Signora ormai da più di cinquant’anni vive. Ma dei suoi fantasmi ne parlerà proprio con Ludmilla, con cui si confiderà e in cui troverà l’unica persona vera e viva, diversamente da quei figli che lei definisce “cadaveri”. Emanuele Carucci Viterbi, Leonardo De Colle e Paola Di Meglio sono i due figli e la nuora della Signora, personaggi che risultano deboli sia dal punto di vista drammaturgico che recitativo: troppo ripetitiva nei dialoghi la parte in cui sono sconvolti più che dalla morte della anziana madre dal fatto che la donna abbia fatto scomparire inaspettatamente tutto il suo capitale non lasciando nulla in eredità.
Una storia essenziale che Cesare Lievi dirige registicamente in maniera chiara e semplice, mettendo in gioco delle macrosequenze narrative non lineari ma che si incastrano tra loro rincorrendosi in una circolarità puntuale. La scenografia di Josef Frommwieser ricrea un ambiente casalingo spoglio dove le pareti alte, claustrofobiche e color sabbia riflettono l’aridità dei rapporti familiari che si risolvono solamente nella presenza di alcuni ritratti di persone non più in vita. Uno spettacolo che ha il pregio di portare in scena un tema molto discusso oggigiorno ma che senza la presenza di Ludovica Modugno lascia per lo più indifferenti.
Visto al Teatro Goldoni, Venezia
Carlotta Tringali