Recensione a La Metamorfosi – Seconda Mutazione – Città di Ebla
L’antefatto kafkiano è noto: Gregor Samsa scopre di aver subito una metamorfosi, ritrovandosi ad assumere le sembianze di uno scarafaggio. Uno dei testi più celebri dello scrittore di Praga, nonché uno di quei capolavori immaginifici e concettuali difficili da pensare in una trasposizione teatrale, è stato affrontato con temerarietà e forza visionaria da Città di Ebla. La Metamorfosi – Seconda Mutazione è un lavoro essenziale, esteticamente ineccepibile e sonoricamente coinvolgente, che non si limita a tradurre in immagini l’omonimo racconto di Franz Kafka al quale si ispira, ma, al contrario, lo vive nella sua forza più vitale in scena, aprendo a nuovi, possibili significati.
Ideato e diretto da Claudio Angelini – curatore, anche, di un’illuminazione di grande effetto e accuratamente studiata –, lo spettacolo diviene pulsante grazie all’incredibile performer Alessandro Bedosti: un corpo puro, totalmente presente e protagonista, vibrante, potente, in grado di comunicare, con una coreografia corporea poetica e credibile, la metamorfosi subita da Samsa.
Rinchiusosi in bagno per fuggire all’assillo di una segreteria telefonica sintomatica di una vita alto-borghese fatta di rapporti formali, doveri professionali e obblighi famigliari, la sua metamorfosi assume i tratti di una rinascita. Fuggendo alla propria immagine riflessa nello specchio, è nella vasca che il protagonista trova rifugio per poi uscire dall’acqua cambiato. Un’acqua che comincia a trasudare dalle pareti stesse della stanza perfettamente ricostruita in scena: una sorta di liquido amniotico che, avvolgendolo sempre più, lo accompagna nel difficile e sofferto processo di trasformazione. Ma quando la metamorfosi è giunta a compimento, il bagno-box che lo ha protetto ma anche chiuso per tutto il tempo diviene claustrofobico, opprimente, stretto: l’insetto può e deve venire completamente alla luce. Può così abbracciare la nuova forma che ha assunto – non scelto, ma nemmeno subito – nell’immagine ingigantita e scultorea di un insetto, mentre la parete-vetrina della stanza da bagno si tinge di un liquido coagulato che staglia un’ombra sinistra sul finale di quello che sembrava essere un processo non solo di trasformazione ma anche di liberazione. Una conclusione criptica, dalle molteplici possibilità interpretative, chiude un lavoro sicuramente complesso ma che probabilmente non chiede di essere capito – e quindi interpretato – ma semplicemente sperimentato, sentito, percepito. Perché va a sondare negli anfratti più oscuri dell’essere umano e della sua disumanizzazione, nel senso di divenire – o tornare a essere – animale, pura energia corporea, pulsazioni vitali: essere vivente. La vera larva è quella dell’inizio, l’uomo in giacca e cravatta, in poltrona, tediato dalla routine; un corpo sgonfio, vuoto, oppresso: forse il vero “mostro” della storia, nel quale si è trasformato lentamente, senza potersene rendere conto, per poi esplodere in una seconda mutazione.
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Silvia Gatto