Recensione a Fine – scritto e diretto da Rosario Mastrota; a Il paese delle ombre – di Maria Teresa Berardelli, regia di Antonio Tintis
Applausi, saluti e acclamazioni. Sembrerebbe un bel finale di spettacolo, un grande successo se solo non fosse per lo strascico di finzione con il quale si manifesta. A dichiararlo sono gli applausi registrati di un pubblico assente; è la voce fuoricampo di un attore che non riesce più ad ascoltare i commenti della gente e a sostenere l’ipocrisia di un teatro “di facciata”. La corruzione che logora il mondo dello spettacolo piomba sul palcoscenico della Sala 14 del Protoconvento di Castrovillari con Fine, un monologo di Gino – uomo, 38 anni, napoletano, attore di professione, interpretato da Luigi Iacuzio. Con un forte atto di denuncia, Rosario Mastrota, autore e regista del lavoro, racconta le vicende di una carriera teatrale caratterizzata da compromessi e fallimenti, alimentati da quel meccanismo “all’italiana” che cela il più possibile il suo marcio e non consente alle persone di prenderne consapevolezza, al di là di coloro che appartengono allo stesso sistema. A un’arte che non dà da vivere, a un lavoro portabandiera della precarietà, Gino si arrende. Parla davanti ad una telecamera, lancia la sua denuncia, narra la sua vita per poterla finalmente abbandonare prendendone, per una volta, le redini e scegliendone il finale. Una telecamera, un computer e un fondale da proiezione sono gli unici oggetti che compongono la scena: pochi elementi tecnologici che tuttavia, data l’attenzione riposta su di essi, si accostano a parole già fortemente indicative dell’azione e rischiano di rendere il lavoro didascalico. Lui, uomo più che attore, rinuncia ad un’esistenza precaria, non si riconosce più e rifiuta il suo essere merce di un mercato della cultura che porta a cedere il proprio corpo in cambio (forse) di una particina nello spettacolo. Ma c’è un altro tipo di corruzione che non riguarda unicamente il vendere se stessi. Il marcio che sta corrodendo il mondo teatrale si fonda anche su “buone” conoscenze e mediazioni che annullano il valore di quest’arte. Fine affronta un problema serio al quale è giusto dare rilevanza fino a farlo approdare sul palcoscenico, in un’operazione teatrale che non deve essere scambiata per autoreferenziale ma piuttosto, come dichiara l’autore, un “metateatro critico”. Ma ciò che nel lavoro di Mastrota non è stato ancora raggiunto è lo scarto che questo male possiede rispetto a scandali televisivi come vallettopoli o simili che semplificano erroneamente la questione e la deviano su altre strade confondendo il raggio d’azione su cui dovremmo costantemente intervenire, non rinunciando mai a lottare per cambiare le cose.
La serata del 03 giugno di Primavera dei Teatri ha visto rappresentati altri due lavori, entrambi in anteprima nazionale: il primo è stato Crack Machine di e con i bravissimi Lino Musella e Paolo Mazzarelli (leggi la recensione) mentre, a chiudere la serata, Antonio Tintis ha presentato Il paese delle ombre di Maria Teresa Berardelli, giovane autrice già riconosciuta e premiata per il suo talento. Il testo trae spunto da un’indagine giornalistica sulle vicende di un orfanotrofio che fu scenario di orrori: Elisa Gallucci interpreta una scrittrice “venuta dal Nord” che, giunta nel paese, genera da subito scompiglio e antipatia per il suo desiderio di riportare in luce i maltrattamenti e gli omicidi commessi nell’orfanotrofio, crimini che gli abitanti del paese hanno tentato finora di rimuovere dalla loro memoria. Un cerchio – il cui perimetro a terra è tracciato da fogli di carta che valgono come documenti e testimonianze dei fatti –, distingue due situazioni sceniche e drammaturgiche. Al suo interno si colloca lo spazio della luce, l’affermazione di una verità con i suoi diretti responsabili; mentre all’esterno domina l’oscurità con quei personaggi ombre di se stessi e di un passato difficile da cancellare. La messa in scena di Tintis è curata e interessante, ma la recitazione degli attori tende ad appiattire le parole dell’autrice; il lavoro viene caricato fin da principio di un’enfasi attoriale che allontana lo spettatore da una vicenda che lo vedrebbe, invece, umanamente coinvolto. Lo spettacolo, che ha coinciso con il debutto di Tintis nella regia, merita di essere ancora approfondito ed elaborato; ne attendiamo gli sviluppi.
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Elena Conti