Recensione di ABQ: Mechanical extention in four arithmetic operations – Ooffouro
Un uomo, un piano di sabbia, quattro metronomi e un pendolo. La prima immagine è l’assenza, un corpo ranicchiato su se stesso, illuminato dall’alto, sulla cui testa pende un peso. Poi il primo movimento, un tremito, un lento spostarsi, da movimenti minimi nasce una danza: precisa, codificata, fatta di rette e diagonali. Il pendolo inizia ad oscillare, un movimento che ricorda gli esperimenti di Focault sulla rotazione del globo terrestre. Ma a spostarsi non è la scena bensì il danzatore che delimita uno spazio in funzione del movimento del pendolo. Tutto nel silenzio più assoluto, poi si attiva il primo metronomo: si scandisce un tempo, poi un altro, poi un altro. In tutto quattro tempi sovrapposti che vanno a fare da contrappunto ai movimenti. Una scena essenziale per una danza essenziale: quella che compie Alessandro Carboni, coreografo e unico interprete di ABQ: Mechanical extention in four arithmetic operations. L’operazione è complessa, lo spettatore si ritrova a essere osservatore di un esperimento quasi scientifico, è chiaro che i movimenti sono creati in base ad un codice, che la danza si è spinta oltre la coreografia tradizionale per raggiungere ambiti non convenzionali. Ma non sappiamo a quali materie si fa riferimento, non viene data una chiave di lettura per risolvere il problema. Il risultato è un’ immagine a volte suggestiva, ma vuota; come se al quadro avessero tolto la cornice e insieme ad essa tutto il contesto storico. Perplessi i volti del pubblico all’uscita dallo spettacolo. Peccato, perché dietro questo lavoro ci sono un pensiero ed un’esperienza molto ricchi, c’è una ricerca filosofica e intelletuale molto interessante. Il lavoro coreografico infatti è basato sullo studio del testo Quad di Beckett: un algoritmo performativo per quattro interpreti, che si muovono lungo il perimetro e le diagonali di un quadrato seguendo le traiettorie stabilite da un numero limitato di variabili matematiche. Legato a questo è lo studio di pattern e sequenze di movimento di alcune danze classiche del sud dell’India. Carboni indaga in profondità la relazione tra il numero e il processo di composizione coreografica, prendendo come riferimento lo zero, e iniziando una ricerca basata sullo zero come non-numero, come entità spaziale nulla.
Uscita dallo spettacolo chiedo un foglio di sala, qualcosa che mi aiuti a decifrare, a decodificare il tutto, perché, purtroppo, i riferimenti sono molto lontani dalla cultura media di uno spettatore, anche per quanto possa essere interessato. Ci si chiede allora perché tanto studio e fatica se poi tutto questo risulta non arrivare al pubblico; la ricerca alla fin fine sembra perdersi, diventare autoriflessiva, ripiegarsi su se stessa.
Visto a Teatro Fondamenta Nuove, Venezia