Recensione a Otello – Balletto di Roma
Mentre le tragedie shakespeariane continuano a porsi al centro dell’attenzione di registi e coreografi, la loro rilettura diviene fonte di aspettative e curiosità dello spettatore. Il coreografo Fabrizio Monteverde, alla guida del Balletto di Roma, è tornato, a distanza di quindici anni dal primo lavoro sul tema creato con il Balletto di Toscana, a confrontarsi con l’Otello, in una lettura che approda alle dinamiche emozionali e psicologiche del soggetto. Lo spettacolo comincia mescolando e lasciando nell’ambiguità la tradizionale triade Otello-Cassio-Jago, interpretati rispettivamente da Giovanni Ciracì, Placido Amante e Marco Bellone. Danzatori e danzatrici si presentano in lunghi cappotti neri che, foderati di tessuto rosso, vengono rivoltati dalle ballerine come a porre in gioco la dualità uomo-donna, passione-dolore. Una pluralità di “Otelli” e “Desdemone” sembra affollare la scena. Le danze di insieme lasciano scivolare in secondo piano le vicende della tragedia shakespeariana, focalizzandosi invece su relazioni umane, come l’amore, la passione e la conflittualità, analoghe al rapporto tra i due amanti. Solo con l’ingresso del fazzoletto bianco, simbolo dell’allusotradimento, la coreografia di Monteverde consentirà allo spettatore di tracciare un filo rosso con l’opera originale. La scena è caratterizzata da un’unica passerella vicino al fondale a identificare un porto di mare in cui intrecciare le vicende del generale e della sua amata, fino al tragico epilogo.
Questo luogo ospiterà infatti il corpo senza vita di Desdemona, interpretata da Claudia Vecchi, e sempre qui avverrà il pentimento del furioso Otello. Di notevole bellezza la scena finale dell’uccisione e del (rim)pianto, in cui il resto della compagnia si accosta ai protagonisti con fare corale, con accumulazione di gesti ripetuti che lasciano trasparire dai corpi, per un breve istante, un’interiorità bauschiana. L’opera non manca di scene in cui la retorica classica sembra prendere il sopravvento anche a causa dell’eccessiva enfasi musicale, sulle pagine di Antonín Dvořàk, ma l’Otello di Monteverde si aggiunge alle possibilità di rappresentazione della tragedia, in cui la danza continua ad affermare il suo primato nel rivelare gli impulsi dell’animo umano.
Visto al Teatro Toniolo, Mestre
Elena Conti