recensione pantakin

La parola al circo!

Recensione a Circoparola – di Pantakin Circo Teatro

Sono piccole luci della ribalta quelle che occupano il fondale bianco di Circoparola, l’ultima fatica messa in scena dalla compagnia Pantakin Circo Teatro, che già l’anno scorso aveva deliziato il pubblico di grandi e piccini del Teatro delle Maddalene di Padova con un divertentissimo Cirk. Con questo ultimo lavoro, la compagnia veneziana forza i limiti del linguaggio circense, attraverso la parola poetica di Tiziano Scarpa, autore del testo che conduce la spettacolarità delle azioni dei performer in scena.

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Sulla scena, un gruppo di teatranti combatte contro il proprio successo, stanco delle risposte sempre positive ed entusiaste di un pubblico che sembra amarlo troppo: «Noi guadagniamo troppi soldi! Smettetela di darci soldi!» esclama il clown/capomastro della piccola compagnia – interpretato da un sempre divertentissimo Emanuele Pasqualini, regista dello spettacolo. Il gioco scenico è tutto basato su un meccanismo in cui esibizioni e pause riflessive si incastonano, facendo perdere in alcuni momenti i confini tra l’arte e la vita sulla scena. Lontano dall’essere una semplice successione di gag divertenti e circensi, Circoparola accoglie sulla scena un testo che riesce a essere poetico senza rinunciare a un’ironia sottile, capace di strappare un sorriso anche nei momenti più lirici della rappresentazione. Il trio in scena – che vede la presenza, oltre al già menzionato Pasqualini, dell’acrobata e contorsionista Alice Macchi e del giocoliere-acrobata Marcel Zuluaga Gomez – sembra raccontare se stesso, il proprio passato, i propri dubbi e le proprie paure, nascosto dalla maschera di chi, nella vita, non ha più nulla da chiedere. Lo spettacolo scava nell’interiorità di questi personaggi, senza timore di rivelarne le fragilità. Ne nascono momenti di pura spettacolarità, che accompagnano e marginalmente toccano le parole recitate, in un meccanismo in cui è difficile determinare quale dei due elementi sia didascalia dell’altro. Ed ecco allora che temi quali l’amore, i giornali e la politica si riempiono di immagini capaci di meravigliare un pubblico che si perde tra i movimenti coreografici ideati da Silvia Gribaudi e Gaetano Ruocco Guadagno, tra acrobazie, giocolerie e clownerie. Ed è forse a causa di questa capacità fascinatoria che i protagonisti si trascinano stanchi da un palco all’altro, nel tentativo di staccarsi da un pubblico avido di immagini e intrattenimento: un attacco sferrato gentilmente e candidamente, ma reso evidente sin dall’inizio dello spettacolo, in cui Pasqualini riesce a far alzare gli spettatori di fronte a sé e a far intonare l’inno italiano. Grazie al testo di Scarpa, la narrazione procede dinamica – seppur in alcuni momenti si perdano gli snodi che collegano i diversi episodi l’uno all’altro, anche a causa di bruschi cambi di registro –  muovendosi tra i poli opposti della critica a un pubblico “troppo televisivo” e ad artisti troppo impegnati a stupire, più che a comunicare: un’urgenza che emerge timidamente nel corso della rappresentazione, per poi esplodere in uno sfogo finale che porterà i protagonisti ad abbandonare il teatro, per improvvisarsi imbianchini, idraulici ed elettricisti.

Con Circoparola, Pantakin cerca di riaffermare la propria identità, sottolineando in chiusura di spettacolo la situazione attuale in cui versa il teatro. Togliendosi di fronte al pubblico la maschera indossata sino a pochi minuti prima, Pasqualini – con un coupe de théâtre anomalo – rivela ciò che continua a essere il centro del fare teatrale, nonostante tagli, ostacoli e giochi di potere: mettendo in scena il paradosso di teatranti ricchi e mitizzati dai propri spettatori (che forse in alcuni casi appartengono alla realtà più di quanto siamo abituati o vogliamo credere), la finzione viene smontata pezzo dopo pezzo, per rivelare che ciò che conta – afferma il clown con la sua nuova veste di imbianchino – è che «Si può fare meglio».

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli

Routine al microscopio

Recensione a Cirk − Compagnia Pantakin

Foto Laura Pevian

È un universo in miniatura fatto di piccole sorprese e meraviglie in vitreo quello ricreato dalla Compagnia Pantakin sul palcoscenico del Teatro delle Maddalene, in occasione della rappresentazione di Cirk. Il “magnifico quotidiano” viene qui celebrato attraverso una serie di tableaux molto vivants che fanno riemergere la piccola routine ordinaria − che tante volte angoscia e stressa − in un gioco di allontanamento che incuriosisce e stimola la fantasia: al pari dell’esotico, del lontano e sconosciuto, le azioni degli atleti, ginnasti, giocolieri e clown presenti sulla scena aprono una finestra su un mondo parallelo al nostro, costruito su ritmi e necessità ordinarie identiche a quelle degli spettatori. Ma in un circo.

La storia si presta moltissimo a sottolineare come in ogni gesto banale si possa nascondere un lato comico o, semplicemente, stupefacente. In città è arrivato il circo, e con lui, i suoi artisti. Alle prese con i preparativi dello spettacolo, la “tranquilla” quotidianità è sconvolta da due eventi: da una parte, la scomparsa dell’attrazione principale, ovvero l’elefante Bombo; dall’altra l’arrivo di un nuovo compagno di viaggio, accolto con gioia in seguito al susseguirsi di prove di abilità e dimostrazioni ginniche stupefacenti. Punto di partenza è quindi la preoccupazione per l’amico scomparso, che tende un velo di tristezza misto a preoccupazione sul gruppo di circensi, che, ahimè, era già pronto ad andare in scena. Un pretesto per svelare la magia che si cela dietro ad ogni piccola azione, che cade nella banalità solo per pigrizia di chi ogni giorno si trova a ripeterla meccanicamente. È infatti osservando la magia di oggetti che scompaiono e che si animano, di corpi che si dimezzano e che si librano su funi, corde e pali, che piano piano anche gli spettatori − e non solo i più piccini − entrano in un mondo fatto di vecchie poltrone e abiti polverosi che rimandano ad un passato affascinante e a forme di intrattenimento per cui si è persa qualsiasi capacità di meravigliarsi.

Eppure Cirk non mette solo in scena una «tragedia comica sull’arte di sopravvivere con tre palline, una corda, una pertica e una energia coinvolgente» come scrive lo stesso regista Ted KeijserEmmanuelle Annoni, Giovanna Bolzan, Emanuele Pasqualini, Benoit Roland Beppe “Sipy” Tenenti sfruttano la loro abilità nelle diverse arti circensi − muovendosi tra danza, acrobatica, giocoleria e clownerie − per creare un mondo stratificato, un labirinto di specchi che distorcono la realtà, senza mai perdere attinenza con l’immagine originale. Grazie a questo meccanismo di riconoscimenti reciproci tra palco e platea, si viene a creare un punto di vista nuovo per gli spettatori e che fa osservare le meraviglie delle azioni e dei trucchi scenici con sempre maggiore familiarità, frutto anche di una metateatralità che a volte pervade la rappresentazione, senza mai risultare forzata o artificiosa. Sulla scena si alternano così personaggi che osservano il costruirsi dell’azione, sketch corali e corpi che si dimezzano e si sdoppiano, in un simpatico gioco di assemblaggio di nuove figure che generano a loro volta nuovi piani e sovracostruzioni di un mondo già dichiaratamente illusorio. Un’illusione che mai infastidisce e che sempre porta a rileggere il proprio modo di approcciarsi alla quotidianità.

Torna alla mente Mirrormask − libro con illustrazioni di Dave McKean e testo di Neil Gaiman ispirato all’omonimo film − la cui protagonista Helena vorrebbe scappare dal circo dei genitori per unirsi «alla Vita Vera», mentre la madre le risponde che non saprebbe cavarsela. Una distinzione totalmente assente in Cirk, che anzi, grazie alla sua magica leggerezza porta in primo piano un bisogno di compenetrazione reciproca, suggerendo agli spettatori di approcciarsi alla “Vita Vera” con la magia del circo e, in generale, del teatro.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli