Recensione a Conferenza – Riccardo II – di e con Roberto Corradino
Luci di sala accese. Possiamo prendere posto solo nelle prime file del teatro perché alle poltrone in tessuto rosso, oltre la metà della platea, è affisso il cartello “riservato”. Non è difficile capire da subito che stiamo prendendo parte ad un bluff teatrale: troppi posti tenuti in serbo, troppo lontano dalle posizioni d’onore! E lui è lì, sul palco, ci aspetta appoggiato ad un tavolo con le braccia conserte, attende che ognuno di noi scelga la propria postazione… e ci osserva.
Nessun cambiamento di scena ma oramai è calato il silenzio in teatro, in segno di attesa. Noi lo vediamo così come lui vede noi. La “conferenza” può iniziare. Unico mediatore dell’incontro è l’attore – e autore – Roberto Corradino, anima del gruppo pugliese Reggimento Carri, che ha portato a Venezia Conferenza – Riccardo II, una rilettura dell’opera shakespeariana. Del testo originale Corradino estrapola un momento particolare e continua a ripeterlo scandendo bene le parole: «Atto IV, I scena, Riccardo II, di William Shakespeare», ovvero il tentativo di difesa del re inglese davanti al Parlamento, prima di cedere la corona a Bolingbroke e di essere condotto nella torre-carcere di Pomfret. Il pubblico, chiamato ad essere protagonista, viene insignito della carica di Lord, garantendo in tal modo al re gli uditori necessari di fronte ai quali esporre le proprie ragioni: un monologo privato di autocelebrazioni e di consequenzialità. Corradino riscrive il Riccardo II restituendo l’immagine di un re pacifico e amante delle arti ma, contemporaneamente, annientato dalla viziosità della parola, creatrice di riflessioni e ridondanze che affossano il soggetto nella citazione svuotata di senso. Tante parole, a volte troppe o troppo poche per ritrarre un indebolimento fisico e psicologico in cui la frase pronunciata da Corradino – citando Lacan – «tutta l’arte è decorazione attorno al vuoto», diviene metafora di uno sproloquio vacuo e fine a se stesso, caratterizzante un re che sta attraversando una “crisi d’identità”, come viene detto dall’autore.
In Conferenza, Corradino indaga il coinvolgimento del pubblico e tale ricerca appare centrale nella definizione ritmica del lavoro (con il meccanismo di domanda e risposta: “Chi è Riccardo II?” o “Cosa fa?”, per citarne solo alcune), ma tali eventi appaiono così ben calcolati da lasciar supporre allo spettatore la presenza di un falso gioco di interazione finalizzato unicamente alla costruzione dello spettacolo. Questo non annulla tuttavia l’efficacia della struttura drammaturgica, che dall’ironica presentazione didattica e puntuale fornita dall’interprete sul re inglese – basata sulla relazione attore-pubblico – si dirama nella costruzione delle figure di Corradino-attore e Corradino-re. Il passaggio tra il divagare e temporeggiare dei due, in cui gesto e parola si coordinano perfettamente nella restituzione dell’intento, è così fluido che quando Corradino si dichiara prima “artista” poi “poeta”, non si sa più bene a chi riferirsi e l’intreccio scaturito da quell’unica presenza apparentemente neutra e vestita di nero – agente in una scenografia costituita solo da un tavolo con sopra una corona, una croce e un microfono – trasporta lo spettatore attraverso i molteplici livelli di lettura con curiosità e indefinitezza. Ma a fare la differenza tra le due sponde è la presenza di una consapevole partitura di buio/luce e il cambiamento del timbro vocale: a Riccardo di Bordeaux è assegnata una “erre” alla francese, vibrante ma caricaturizzata che semplifica il processo di riconoscimento e consegna al re la lingua parlata alla corte. Lo slittamento viene inoltre enfatizzato da Corradino con l’ausilio di una musica emotiva come il Quando corpus morietur, il canto gregoriano interpretato da Mina.
Ai tanti soggetti chiamati in causa da questo spettacolo, consapevoli e allo stesso tempo vittime di un processo di autodistruzione, Corradino accosta anche se stesso; mantiene il filo rosso che lo lega all’opera shakespeariana e temporeggia (anche lui!) per trovare nuovi finali ad una chiusura certa, ad un lavoro finora elogiato da critici teatrali – e ironizza facendo nomi e cognomi – ma che si sta evolvendo in un fallimento, o meglio, nella sua caduta. Nella riscrittura del Riccardo II a tirare le somme della storia, in corrispondenza della morte del re – “Atto V, V scena, Riccardo II, di William Shakespeare”, prosegue coerentemente il gioco dell’autore – è Il carrozzone di Renato Zero. Anche Corradino viene deposto da un ragazzo del pubblico chiamato sul palco per sostenere la pretestuosa scena dell’uccisione di Riccardo che necessità di due attori, lasciando chiaramente trasparire come sia in realtà un modo per tirare per le lunghe il finale. E se finora «lo spettacolo per andare avanti ha avuto bisogno di un re o di una regina», come ha più volte dichiarato Corradino nel corso della rappresentazione, è a questo punto che si possono abbassare le luci.
Visto a Teatro G. Poli, Venezia
Elena Conti