Recensione a Mining – Rodrigo Sobarzo
Superano i confini tra danza e teatro gli spettacoli presentati durante la stessa serata del 24 agosto al Festival B.Motion Danza: Cosas di Alma Söderberg e Mining di Rodrigo Sobarzo si muovono entrambi nell’ambito della performance, indagando diversi aspetti del corpo. Entrambi usciti dalla scuola di danza di Amsterdam SNDO, i lavori dei due coreografi possono essere accostabili per alcune scelte ma allo stesso tempo si distanziano per le tematiche affrontate e per i risultati ottenuti. Se il pezzo della Söderberg ha riscosso un bel successo di pubblico ricevendo uno scroscio di applausi, non si può dire la stessa cosa del secondo spettacolo che ha suscitato non poche perplessità dividendo e alimentando discussioni all’uscita del Garage Nardini. A prescindere se sia piaciuto o meno, lo spettacolo ha già in sé un’ottima qualità, ossia quella di accendere una discussione e di spingere a riflettere.
Se è semplice elogiare la Söderberg e il suo Cosas per le capacità straordinarie che l’artista mostra sul palco, per la sua eccezionalità nell’intrecciare canzoncine bambinesche a testi tratti dalla cronaca facendo diventare il corpo una cassa di risonanza ed espandendo le potenzialità vocali, più complesso è analizzare lo spettacolo di Sobarzo. Il cileno, di adozione olandese, compie con Mining un esercizio fisico notevole, estenuante: mentre il movimento tende verso una continua contrazione, Sobarzo per lungo tempo produce un urlo mono-tono che sembra provocato da una sofferenza interiore. Ma più che dal suono prolungato, la sensazione di angoscia è data dagli spasmi fisici che si modificano a piccoli tratti: il coreografo compie un percorso non solo di natura corporea ma anche spaziale; come se partisse da un punto e percorresse, lentamente a tappe, tutto il Garage Nardini. Da una posizione eretta si piega sulle ginocchia per poi distendersi in terra e rialzarsi, accostarsi al muro e lì ripiegarsi: il tutto facendo fuoriuscire dal corpo questo forte urlo fatto di continui segmenti vocali che dopo un ascolto prolungato sembrano non provenire più dal corpo ma da un’altrove. E verso un altrove è proprio dove conduce il lavoro di Sobarzo: dotato di una forza incredibile, il coreografo sembra entrare in una sorta di trance psicofisica che gli permette di superare la soglia del dolore e di condividere questa condizione di passaggio con chi lo sta guardando. Se all’inizio la sofferenza di quel fisico in preda a spasmi è palpabile, andando avanti durante la performance si ha la sensazione che quel corpo potrebbe continuare all’infinito, che non abbia bisogno di fermarsi e che stia aprendo a sconosciuti la sua interiorità. Il dondolio di Sobarzo ricorda moltissimo i momenti di preghiera di alcune religioni islamiche o il movimento dei bambini che soffrono d’autismo: in entrambi i casi è un mondo privato quello che viene esteriorizzato e una volta entrati in questo luogo ci si abbandona come se si fosse sotto ipnosi. Non si tenta di comprendere le varie parti che compongono questo mondo: ognuno è libero di riceverne e osservarne gli aspetti che preferisce e semplicemente lo si esplora, entrando in una sintonia emotiva. A interrompere questo viaggio-trance è il suono di un cellulare, voluto dal coreografo, che riporta alla realtà e mette a tacere l’urlo prolungato di Sobarzo. Tornato il silenzio, l’artista lega il suo corpo a una lunga asse di legno: anche qui non ci sono percorsi di senso obbligati da percorrere, l’immaginario a cui rimanda spazia dove lo spettatore preferisce. E se inizialmente questo elemento esterno poggiato sul corpo può veicolare una sensazione di pesantezza, ecco che questa subito viene sostituita da una voglia di libertà: Sobarzo dondola da destra a sinistra, come quasi volesse spiccare il volo. All’angoscia rumorosa della prima parte subentra lo spostamento d’aria di queste ali ruvide: è questo un momento di ampio respiro che acquista valore e si rende necessario per un equilibrio interiore; equilibrio che in ogni caso non trova una stabilità, rotta stavolta dal violento gesto del coreografo che con un’ascia colpisce il legno fino a spezzarlo in due parti.
Una performance che spinge lo spettatore a superare dei confini ben marcati tipici della nostra esteriorità, come può essere il fermarsi al primo impatto: Sobarzo invita ad andare oltre, a farsi catturare e vivere un’esperienza unica. Un lavoro che mostra come la novità, significativa e difficile da comprendere, sia ancora possibile oggi; ma che deve anche trovare lo spazio necessario per mostrarsi e la predisposizione delle persone ad accoglierla.
Visto al CSC-Garage Nardini, B.Motion Danza Bassano del Grappa
Carlotta Tringali