Un simbolico ring di erba sintetica che sembra essere l’unica cosa vera, una relazione malata e non meglio precisata tra un lui, vestito invernale, e una lei estiva.
Differenze d’età, di intenzioni e di stile recitativo per un conflitto che non si risolverà perché «bisogna avere le spalle coperte, non importa da chi».
È stato presentato in prima nazionale al CRT Salone di Milano il nuovo lavoro della compagnia palermitana M’Arte, Ti mando un bacio nell’aria, intenso testo di Sabrina Petyx diretto con intelligenza da Giuseppe Cutino.
In scena, lui, Massimo Verdastro, abilissimo nel creare l’atmosfera claustrofobica e irritante in cui si svolge la pièce; e lei, Sabrina Petyx, dolente, a tratti battagliera ma mai con convinzione. Non è importante capire quale sia la relazione tra i due: amanti, padre e figlia, colleghi di lavoro, regista e attrice: l’una vuole andarsene da quell’eden fittizio e l’altro non la trattiene.
Eppure non accadde nulla. L’incessante dibattersi dei due, dentro e fuori il quadrato, è sempre diverso e sempre uguale: le affascinanti coreografie di Alessandra Fazzino – già coreografa in Come campi da arare, lavoro che valse alla compagnia il Premio Scenario 2003 – ricordano a tratti una danza, poi una corrida, l’atto sessuale, un campo da gioco.
La posta è la libertà: mettersi un cappotto e cominciare. Ma si sa, come dice Agota Kristof nella Trilogia della città di K, il difficile è proprio quello.
«Anche io – spiega Giuseppe Cutino, incontrato dopo lo spettacolo – mi ritengo uno che si lamenta, ma non mette in pratica i propri desideri: condivido parte di quello che lui dice. Ci vuole coraggio per riconoscere i propri fallimenti».
Cutino lavora sul testo di un’autrice con cui convive teatralmente da 25 anni: «Non è un lavoro sulla coppia – continua – ma su degli ideali, con un forte valore politico e sociale. Il finale ricorda un po’ la situazione in Egitto: dopo la cacciata di Mubarak, l’esercito ha ripreso il potere e ora tutto potrebbe tornare come prima».
Gli attori coinvolgono emotivamente gli spettatori e li fanno partecipi di quello che accade nella scena, che sembra davvero evocare un quadro di Hopper in cui il movimento dei corpi appare sempre in primo piano.
L’interesse registico è posto soprattutto sulla luce: lo spettacolo si apre con un color ambra che poi diventa verde. Il pubblico è illuminato e gli attori si rivolgono alla platea.
Giochi di ombre creano inquietudine nello spettatore che tenta sconsolatamente di comprendere le ragioni di quelle contraddizioni, di quel dimenarsi spirituale e carnale, puntuale e perfetto sulla scena.
Un teatro che assolutamente non vuole rassicurare. Ma che riesce a far riflettere con eleganza, svelando quel gelo sotto la luce del sole.
Visto al CRT Salone, Milano
Maddalena Peluso