Recensione a Perché il cane si mangia le ossa – Deriva Film / Teatri del Sud
Il tempo scorre senza sosta e spesso ci si dimentica abbastanza precocemente delle persone che si sono conosciute anche solo pochi anni prima, o di tragedie passate, di coloro che hanno perso la vita in incidenti che potevano essere previsti. Francesco Suriano, autore del testo Perché il cane si mangia le ossa sfiora una tragedia che ha risvegliato nell’Italia del 2007 le coscienze di politici, e non solo, facendoli interrogare sulle morti sul lavoro: l’incidente della Thyssen Krupp di Torino. Oggi, a distanza di tre anni, gli operai bruciati vivi mentre si guadagnavano da vivere sembrano essere un ricordo lontano, dato che il momento di riflessione sulla sicurezza a lavoro è già passata in secondo piano e ancora di morti bianche si possono sentire notizie veloci al telegiornale. Il testo di Suriano nasce da un incontro con l’attore Carlo Marrapodi, attore sì, ma anche ex metalmeccanico della Thyssen Krupp, dove ha passato sette anni della sua vita a lavorare. Curioso come i lavori si intrecciano sul palcoscenico ma nella stessa vita della persona-personaggio: Carlo Marrapodi si appropria in scena di un’altra identità, quella di Rocco Fuoco, uomo del sud che ritorna in quel nord dove ha lavorato per anni ma dove nessuno sembra riconoscerlo. Il suo è un viaggio delirante, fatto di numerosi incontri con personaggi particolari, oserei dire assurdi, nonostante si possano riconoscere veramente nella realtà: dalla donna fatale di nome Vita Tormentata all’Arrobbafumu fino ai ragazzini teppisti che lo picchiano senza motivo, solo per puro razzismo. Divertenti i personaggi restituiti non solo da Marrapodi, ma anche da Emilia Brandi che riesce ad atteggiarsi diversamente a seconda delle situazioni. Fa sorridere questo quasi surreale viaggio in cui il protagonista viene scambiato per nord africano, immigrato clandestino e mai per chi ha contribuito in qualche modo ad aumentare la produzione lavorativa in una città dove spesso chi lavora in fabbrica è un emigrato del sud.
In dialetto calabro l’attore racconta la sua avventura rendendola ancora più vera e ancora più diretta. Esprime anche una metafora significativa, che continua a dividere le diverse categorie di lavoratori: «u cane si mangia l’ossa pecchi’ a carne s’ha pijata u patrune» e il cane continua a stare in piedi nonostante tutto. Continua a stare in piedi ma non se lo si fa lavorare in condizioni ignobili e non in sicurezza. Tolti i panni di Rocco Fuoco, Carlo Marrapodi è se stesso e racconta come nell’ultimo giorno di lavoro alla Thyssen si sia accorto che il pericolo era in agguato. Ma lui il giorno dopo quel maledetto dicembre 2007 è riuscito a svegliarsi e continuare a vivere, non come alcuni suoi compagni che non hanno avuto la stessa fortuna. Momento toccante per uno spettacolo che affronta problemi che non andrebbero mai dimenticati, anzi ricordati senza bisogno di doverli leggere.
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Carlotta Tringali