Recensione a The Syringa Tree – Rita Maffei e Larry Moss
Uno spezzato sul Sud Africa degli anni Sessanta, la storia di una vita e l’intreccio di altre venti: The Syringa Tree parla dell’Apartheid visto da Elisabeth Grace, una bambina di sei anni che guarda il mondo intorno a sé e cresce raccontandolo. L’autrice del testo è Pamela Gien, attrice e drammaturga sudafricana che da vent’anni lavora negli Stati Uniti. The Syringa Tree è il suo primo testo teatrale, un intreccio complesso di storie e personaggi. La voce di Elisabeth, che con candida innocenza racconta i peggiori risvolti della segregazione razziale, dopo dieci anni, arriva in Italia grazie alla traduzione di Maria Adele Palmeri e all’interpretazione di Rita Maffei.
Un testo complesso, che vede l’attrice nei panni di Elisabeth raccontare la storia della sua famiglia: una famiglia di bianchi, in un’Africa nera, una famiglia fuori dal comune che ama la sua terra e la gente a cui appartiene. Scritto per una sola interprete il testo si presenta come una vera e propria sfida – a metà tra il teatro sociale e quello di narrazione – mettendo in mano a chi lo rappresenta ventiquattro storie vere per altrettanti personaggi, ognuno alla ricerca di un’interpretazione fedele. È nei continui dialoghi e canti che si snoda il racconto, è sempre Elisabeth a tenere le fila della storia, attraversata via-via da tutti i componenti del suo piccolo mondo: quello stretto tra le mura di casa e lo steccato bianco del cortile.
Apartheid in africans significa “separazione”. Un’unica parola che ne nasconde un’infinità di altre: sono queste – parole e storie – che ha svelato Rita Maffei e prima di lei Pamela Gien. Non è facile per una bambina raccontare qualcosa che non capisce, come non deve essere facile per un’attrice impersonare tanti personaggi di etnie e lingue diverse. Eppure la chiave sembra essere proprio l’unicità dell’interpretazione, quasi che a voler dare veramente un volto diverso a tutti, questa storia non avesse più senso. Quasi che la drammaturgia prima della regia, dando voce ad un unico personaggio, uno per tutti, restasse fedele al proprio punto di vista etico e politico sulla verità che racconta.
Non stupisce la scelta della Maffei ricaduta su un testo così importante, stupisce piuttosto il coraggio nell’affrontare un’interpretazione difficile per un’artista che non avremmo mai definito trasformista. Ad aiutarla nell’impresa sicuramente la regia e lo studio attoriale fatti con Larry Moss, lo stesso regista che ha curato la messa in scena americana. L’attrice canta, gioca, balla; è una bambina, un’anziana, è una donna depressa, un medico, un’inglese, una levatrice incinta, una ragazza ribelle; è bianca, è nera.
Un testo leggero non troppo impegnato che lascia però un prurito dentro, la voglia di sapere una fetta di storia, di scoprire un Paese e nel nostro piccolo di rimarginare ferite.
Visto a Teatro San Giorgio, Udine
Camilla Toso