Recensione a Amleto – Teatro del Lemming
Il Teatro del Lemming è una delle realtà più consolidate nel panorama del teatro contemporaneo veneto e non poteva certo mancare all’interno di Sguardi (il festival vetrina che si propone di dare nuove possibilità distributive alle realtà del territorio). La compagnia fondata da Massimo Munaro nel 1987, si è distinta fin dagli anni Novanta per la particolare ricerca nel rapporto tra scena e platea, trovando nel coinvolgimento attivo dello spettatore, sia dal punto di vista drammaturgico che sensoriale, una nuova via per una poetica sempre più orientata verso lo scuotimento emotivo attraverso l’esperienza teatrale. Ne è stato un esempio clamoroso la Tetralogia dello spettatore: costituita da testi classici come Edipo, Dioniso, Odisseo e Amore e Psiche, coinvolgeva un piccolo gruppo di spettatori – nel caso di Edipo uno soltanto – e li calava nelle stesse condizioni degli eroi tragici. Il pubblico così non assisteva ad un racconto, non vedeva rappresentata davanti a sé una storia, ma si ritrovava a vivere la stessa esperienza dei personaggi.
Il teatro inteso in questi termini viene concepito come strumento per far vivere al singolo un’esperienza che lo cambi internamente, uno sconvolgimento emotivo che provochi un mutamento interiore. Un modo per comprendere attraverso la vita del personaggio, la propria condizione di esseri umani, di singoli all’interno della società. Dal lavoro sull’individuo, l’attenzione del regista si sposta negli ultimi anni intorno alla comunità, al teatro come luogo dove si riunisce un’assemblea: ricordiamo in questo senso la rilettura di Antigone che andò in scena alla Biennale di Venezia del 2009, un’attenta interpretazione che rifletteva sul rapporto tra singolo e comunità, tra giusto e sbagliato, tra la ragione personale e il bene comune coinvolgendo il pubblico e costringendolo a scegliere se schierarsi dalla parte di Antigone o da quella di Creonte.
Sulla stessa linea si presenta la riflessione su Amleto andata in scena al Teatro delle Maddalene per l’edizione zero di Sguardi. Il punto d’analisi intorno a cui si costruisce la regia di Massimo Munaro risalta fin da subito agli occhi di uno spettatore attento: dall’ingresso il teatro si trasforma per far spazio ad una teatralità quotidiana, quella della società mondana contemporanea, basata sul culto dell’apparenza e dello spettacolo in quanto ingranaggio delle relazioni tra individui. La corte del castello di Elsinore si manifesta in tutta la sua vivace essenza, accogliendo il pubblico e invitandolo a banchettare, rendendolo contemporaneamente parte integrante e osservatore esterno dello “spettacolo della società”.
Un montaggio serrato ripercorre gli episodi salienti della tragedia, calcando l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali del testo. Il Teatro del Lemming aderisce completamente alla natura di dramma multigenere, caratteristica dell’opera shakespeariana – conosciuta come una delle più varie e complesse, un insieme di stili che spaziano dalla commedia alla tragedia –, allontanandosi da alcuni versanti poetici e andando a traboccare nel musical-kitsch, decisamente calzante per la rappresentazione della corruzione dilagante tra alte sfere del potere. Non mancano immagini di poesia pura, che ricordano i quadri a lume di candela di De la Tour: lume della ragione o della follia? L’intelletto diviso di Amleto riecheggia in tutta l’opera attraverso la frammentazione e la molteplicità dei personaggi: la duplicità attraverso la quale appaiono nel testo – sempre in coppie Rosencrantz e Guildenstern, Ofelia e Amleto, Claudio e Gertrude – si moltiplica ulteriormente lasciando scorrere i ruoli tra tutti gli attori presenti in scena. E Amleto? Amleto è seduto sugli spalti e guarda lo spettacolo della società consumarsi nell’ipocrisia e marcire nella corruzione: Amleto non ha voce in capitolo, non ci sono battute per lui in questo copione, come sottolineano gli attori stessi.
Tutti si ricordano Amleto per il monologo dell’indecisione, pochi come colui che tenta di combattere lo spettacolo – come forma mentis di un’esistenza fondata sull’ipocrisia e l’inganno – con lo spettacolo, colui che oppone alla finzione perpetua e diffusa un teatro di svelamento che tocchi la coscienza di chi lo guarda. Ecco allora che l’Amleto del Lemming si basa sull’equazione di Ecuba («Cos’è Ecuba per lui, o lui per Ecuba?») applicata al protagonista della vicenda e al pubblico come destinatario della rappresentazione. Cos’è Amleto per lo spettatore ed egli per lui? Quel che accade è uno slittamento del piano meta-teatrale dalla posizione interna al testo a quella della realtà. In questo senso il lavoro di immedesimazione ed esperienza del personaggioaderisce completamente all’opera, interpretando Amleto/pubblico/persona come unico spettatore cosciente della tragica realtà in cui vive la società contemporanea. Il lavoro del Lemming raggiunge il suo obiettivo, scuotendo il pubblico, scardinando i meccanismi classici di visione passiva, e anzi innescando, per reazione, pensiero attivo: sia nei confronti dello spettacolo che della società.
Visto a Sguardi, Padova
Camilla Toso