Recensione a Alexis. Una tragedia greca – Motus
Corpo come potenza catalizzatrice; forza generata dall’influenza di un contesto sociale insinuatosi nell’individuo; energia che, nell’impossibilità di un rilascio graduale, si irradia all’esterno mantenendo tuttavia la figura imprigionata in quel miscuglio di rabbia e dolore assorbito. La performer Silvia Calderoni è la manifestazione di tutto questo, è un corpo-simbolo. La sua figura esile si scaglia contro l’illuminazione di tre neon rossi posti sul fondale e un ritmo frenetico pulsa nel suo corpo lasciando che la voce si leghi al movimento in una totale esplosione di energia.
Alexis. Una tragedia greca è la quarta e ultima parte del progetto artistico Syrma Antigónes avviato da Motus nel 2008 e, allo stesso tempo, è il mio primo incontro con il lavoro della compagnia riminese sviluppatosi attorno alla figura di Antigone. Alla mancata visione degli antefatti – i tre “contest” che hanno preceduto la nuova produzione – Alexis sembra soccorrere ripresentando alcuni indizi del perduto e lasciando al pubblico la libertà di assemblare i pezzi. Nel succedersi organico della drammaturgia si inseriscono azioni che appartengono dichiaratamente agli studi (come la scena incentrata sul rapporto con il corpo del fratello morto di Let the sunshine in – Antigone – contest#1), e che indagano nella memoria degli attori nel tentativo di raccontare il già fatto, una testimonianza volta alla contestualizzazione del presente. «In scena si recita una documentazione», dichiara Silvia Calderoni muovendosi tra le file della platea dello Storchi di Modena. Ma è una documentazione dell’oggi che fa del lavoro un’opera complessa, impegnata e aperta ad infinite riflessioni sul tema della rivolta, concetto quest’ultimo che si sviluppa in ogni anfratto della scena espandendosi oltre, fino ad avvolgere il singolo spettatore.
Nel dicembre 2008, mentre Enrico Casagrande e Daniela Nicolò svolgevano il primo workshop di studio sull’opera sofoclea, il quindicenne Alexandros Andreas Grogoropoulos veniva ucciso da un poliziotto nel quartiere Exarchia di Atene. Da allora l’Antigone di Motus si legò alla storia di Alexis divenendo motivo di indagine strettamente connesso agli eventi della contemporaneità: Alexis come Polinice; il quartiere Exarchia come Antigone. In scena la ripresentazione di una realtà, di un frammento di Storia, di una rivolta che nel suo essere “sospensione del tempo normale” – così come definita dal mitologo Furio Jesi – non si caratterizza per la determinazione di un cambiamento storico come la rivoluzione, ma nella libera scelta dell’uomo di impegnarsi nella sommossa. Una forma di resistenza individuale. Come si può partecipare oggi a questa ribellione? «Come si può trasformare l’indignazione in azione?» si chiede Motus. E la risposta è che «forse il teatro non basta» ma questo è ciò che loro sanno fare meglio e con Alexis. Una tragedia greca il teatro si riempie di immagini che documentano gli scontri tra polizia e manifestanti, la rivolta nata in seguito all’uccisione del giovane, e tutti quei simboli che il mito ha generato. Dalla proiezione della ripresa video di un sentiero, percorso da Motus nel viaggio da Tebe ad Atene, alla carrellata ravvicinata di quei murales e manifesti che occupano le strade e i palazzi di Exarchia: le voci di una vera insurrezione popolare; ritratti di donne e bambini che si chiudono occhi e orecchie, poi il lancio di fumogeni, tutti disegni del conflitto attuale greco che resistono sulle case del quartiere. A questi si intervallano graffiti quali: “Remember, remember the 6th of december”, “HOPE”, “Carlo vive, Alexis vive, siete voi che siete morti” proiezione quest’ultima che, nel semplice cambio di direzionalità del fascio luminoso, viene scagliata contro il pubblico, nella parete della galleria, in un atto fortemente accusatorio.
Quattro performer in scena (Silvia Calderoni, Vladimir Aleksic, Benno Steinegger e Alexandra Sarantopoulou) alternano e sommano alla rappresentazione di frammenti della tragedia sofoclea gli avvenimenti della contemporanea guerriglia urbana. Alexis si presenta in una molteplicità di linguaggi che, dall’uso di materiali audio-video registrati all’azione scenica, rendono protagonista la parola. Motus lancia un grido. Un fuoco di protesta viene acceso nel chiuso dello spazio teatrale in cui le poltrone di velluto rosso affossano i corpi e aumentano la pesantezza delle gambe e il disagio provato di fronte al rappresentato. Ad alcune persone viene chiesto di salire sul palco; il desiderio di unirsi a loro viene smorzato dal poco spazio presente tra una fila e l’altra di sedute che non consente alcun movimento. Solo un lungo e sentito applauso finale.
Visto a VIE Scena Contemporanea Festival, Modena
Elena Conti