Recensione a Sequestro all’italiana – Teatro minimo
“Ci interessa poco la denuncia, ci interessa l’approfondimento di quella denuncia e ci interessa capire come questi fatti intervengano sulle persone e sui comportamenti delle persone”. Michele Santeramo, autore attento e scrupoloso che riesce a coniugare una scrittura prettamente scenica all’attualità che racconta, spiega così l’essenza di Sequestro all’italiana durante un’intervista. L’interesse per la parola è anche ciò che lega la sua ricerca teatrale a quella di Michele Sinisi, che firma la regia dello spettacolo e con il quale ha dato vita, nel 2001, alla compagnia Teatro minimo.
Sequestro all’italiana rappresenta per Santeramo un modo per indagare l’italianità: i nostri modi di fare, il non prenderci mai troppo sul serio, la nostra malinconica ironia, le contraddizioni che caratterizzano il nostro modo di pensare. Forse è proprio una contraddizione questo sequestro, è una provocazione, un pretesto, un modo per farsi notare, ma c’è davvero bisogno di arrivare a tanto? I due protagonisti ne sono davvero capaci? Ottavio e Adriano – fermo e risoluto il primo, preoccupato e ansioso il secondo – sono due uomini qualunque, due esempi dell’italica brava gente, costantemente al limite tra la rassegnazione e la ribellione. Ad impersonarli, Vittorio Continelli e Michele Sinisi che con la giusta dose di sentimentalismo restano convincenti per tutto lo spettacolo facendo ben percepire lo sconforto e la desolazione dell’uomo moderno.
Prendono in ostaggio una classe di bambini, qualcuno dovrebbe avvisare la polizia, anzi no, la televisione, perché è così che oggi si affrontano queste cose, male che vada puoi sempre concedere un’intervista in esclusiva e recitare un reale pentimento. Quindi i due aspettano, guardano continuamente fuori dalla finestra, una finestra sospesa nel nulla, forse semplicemente perché non c’è nulla da guardare; controllano i bambini e si raccontano. Attraverso incalzanti battibecchi si scoprirà la vera natura dei due rapitori e il sottotesto di questa messa in scena, fatto di problemi familiari ed economici, rabbia, impotenza e un unico desiderio: parlare con il sindaco. Hanno preparato un discorso, la dichiarazione è forte, sentirsi inutili e andare avanti, ma non può esserci alcuna risposta perché non c’è alcuna domanda. È uno sfogo, non propone un dialogo e le loro parole risultano inconcludenti spegnendosi in questioni personali non inerenti alla loro denuncia, e così fino all’epilogo. Il finale è a sorpresa ma si trascina un po’ e il testo perde la forza iniziale che faceva presagire più audaci risvolti: ogni minima motivazione seria rimane un vago abbozzo.
Visto al Teatro Galleria Toledo, Napoli
Stefania Taddeo